Home I lettori ci scrivono Il fallimento delle politiche di contrasto alla dispersione scolastica

Il fallimento delle politiche di contrasto alla dispersione scolastica

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Una delle soluzioni che si propongono per il contrasto della dispersione scolastica è: ”Più tempo a  scuola, la scuola aperta fino a sera ”.

Ebbene, se questa soluzione può valere per gli alunni normodotati e per rispondere ad alcuni bisogni sociali, per esempio serve ai figli dei genitori che lavorano fino a tardi, non vale per gli alunni che si disperdono.
Già porsi la domanda: ”Ma come, non vengono al mattino a scuola, li facciamo venire dal pomeriggio fino a sera?” fa capire l’insufficienza della soluzione per questi alunni dispersi o a rischio di dispersione.

Eppure tutte le politiche attuate per il contrasto della dispersione scolastico si basano su questa soluzione: ”Più tempo a scuola, la scuola aperta fino a sera”.

Poi si scopre che la dispersione scolastica non solo non si riduce, ma addirittura aumenta. Non parliamo solo  dell’effetto DAD che ha fatto sparire dalla scuola molti alunni in più, e non solo perché non avevano i device necessari, la connessione internet o gli spazi necessari e l’aiuto adatto, ma per le politiche fallimentari seguite fin qui di contrasto alla dispersione scolastica.

Se non individuiamo chi si disperde o chi è a rischio di dispersione (il problema), non riusciamo nemmeno ad individuare la soluzione.

Ebbene chi è a rischio di dispersione è un soggetto proveniente da ambiente povero economicamente, ma anche culturalmente, e per la sua famiglia la scuola non ha importanza. Ha più importanza per i suoi genitori la possibilità di mettere un piatto a tavola, e quindi mandano il minorenne a lavorare, perché contribuisca anche con una paga misera a riempire una parte di quel piatto; oppure è una famiglia malavitosa ed è più importante per essa la scuola del crimine (i primi scippi, la vendita di droga) piuttosto che l’istruzione.

Se questa è la tipologia del ragazzo che rischia la dispersione scolastica, allora alla famiglia povera ma onesta, costretta a ricorrere al lavoro nero del figlio minorenne, occorre dare un sussidio economico, in cambio della frequenza scolastica.

Più complesso è sradicare la mentalità malavitosa, che è antistatale e amorale. Sottrarre i figli alle famiglie malavitose può essere un rimedio per liberarli da quel mondo violento e senza futuro. 

Ci sono poi i cosiddetti “iperattivi”, i ragazzi che mal sopportano la disciplina scolastica  e sono mal sopportati dagli insegnanti, perché disturbano la lezione. Spesso questi ragazzi/e hanno una rabbia dentro (a causa di problemi familiari: genitori separati, padre o madre in carcere, familiare malato o depresso per le misere condizioni di vita) che sfocia in atti di vandalismo contro la struttura scolastica, contro i propri compagni/e o anche contro gli stessi insegnanti. E’ facile che siano bocciati, è facile che siano ribocciati e poi non vengono più a scuola.

Per questi ragazzi ci vuole una scuola diversa che deve offrire certamente le competenze che servono in questa società, ma deve alternare studio e divertimento; soprattutto non può essere tutto il tempo a scuola, perché altrimenti, pur offrendo dei diversivi, diventa noiosa per loro.

Questi ragazzi hanno bisogno di evadere dalla scuola, che ritengono una prigione, per andare a cinema, per vedere spettacoli musicali e teatrali, per  fare sport in strutture convenzionate. E dovrebbero anche imparare un mestiere in botteghe artigiane.

Ma qui ci si scontra con un dogma dei nostri tempi: i fanciulli, con meno di 15 anni, non possono lavorare. Intanto si tollera il lavoro nero minorile.

Si deve fare come in Germania dove c’è un sistema duale di scuola sin dalla scuola media: un percorso scolastico che porta al liceo e un percorso scolastico che è finalizzato all’istruzione professionale, in base alle votazioni conseguite. Ma ci scontriamo con un altro tabù: il falso egualitarismo, la scuola media unificata, il cui fallimento è sotto gli occhi di tutti. Infatti gli alunni meno bravi comunque vanno agli istituti professionali, compresi molti immigrati che hanno il deficit della lingua italiana, e quelli bravini vanno ai licei. Ma si impedisce un percorso di studio differenziato a scapito degli uni e degli altri: gli insegnanti sono costretti a rallentare il programma, a causa degli alunni più lenti, i quali, non riuscendo a seguire un tipo di studio solo teorico, si distraggono o danno fastidio. Per questi ultimi serve una scuola più pratica e ce lo dice lo stesso Gardner quando ci parla di intelligenze multiple e diverse. Il lavoro manuale  non ha meno dignità dello studio teorico. Certo il sistema duale non può essere ridotto alla burla del sistema italiano di alternanza scuola-lavoro, che  costringe i liceali a “percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento” e gli insegnanti a inventarsi uno pseudo lavoro che non esiste, mentre non si intreccia la domanda delle industrie con l’offerta di istruzione delle competenze richieste dal mercato nei tecnici e nei professionali.

Quindi la soluzione al problema della dispersione scolastica è: non più tempo a scuola, ma più tempo scuola (che è diverso).    

Eugenio Tipaldi