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Il gruppo classe nella scuola dell’integrazione delle diversità

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Quasi come una regola, l’attività del pedagogo al di là della disciplina oggetto di insegnamento, pare trovare il favore in una consolidata alacrità di trasmissione dei contenuti disciplinari a mezzo di una immortale comunicazione verbale ai propri allievi.

Ciò nondimeno, la lezione frontale è da più parti criticata con continuità, ponendo l’accento sull’ingiusto ruolo passivo di quelle intelligenze che siedono nelle aule delle scuole di ogni ordine e grado.

Questa perpetuità nel condurre la lezione, se da un lato consente di ridimensionare gli oneri derivanti da una attività formativa di massa, dall’altro testimonia la continuità storica di questo modello di apprendimento.

Un modello consolidato in studenti e docenti, attecchito sempre più grazie a quella dimostrata efficacia nel creare un’interazione allievo-docente in cui le informazioni possono essere calibrate dall’insegnante adeguandole, per flusso e rapidità di trasmissione, alla qualità e quantità di apprendimento da parte dei singoli alunni.

La preoccupazione cogente è quella che vede da più parti il sorgere di interrogativi circa i rischi di una modalità di ancoraggio dell’apprendimento e della sua qualità alla esclusiva individualità del pedagogo e dell’oggettività del metodo di insegnamento adottato con i propri educandi.

Con non meno punti di domanda, assai sentito è l’interesse sulla conservazione e tutela della lezione frontale nel momento in cui la strada della promozione dei processi di apprendimento si affaccia ad essere percorsa da un modello didattico che stimoli ad un intervento attivo dell’intero gruppo-classe con le sue naturali soggettive ineguaglianze e che meglio permette di esercitare un controllo su quella diffusa tendenza alla disgregazione del gruppo e delle sue potenzialità.

Di fatto è proprio la tendenza alla disgregazione del gruppo e della dispersione degli alunni che palesa, al di là del metodo, l’inefficacia della lezione e del modo di condurre pedagogicamente la classe ed i singoli.

In molti sostengono che una lezione frontale integrata rappresenterebbe la soluzione per una didattica maggiormente inclusiva e anti disgregatrice del gruppo; un’azione pedagogica supportata e validata con altre forme di approccio didattico, trascendendo la realtà classe, come fosse un “micro mondo” da considerare non come dato immutabile, bensì in un visione tipicamente freiriana del mondo, come luogo in cui la prassi diventi l’unione di due dimensioni non divisibili: riflessione e azione, riflessione e azione che devono guidare il docente all’interno di questo “micro mondo” per trasformarne la realtà di partenza in produzione di conoscenze che permettano a ciascun allievo di comprendere il significato di questa trasformazione personale e di gruppo.

Nelle classi caratterizzate da una funzione didattica orientata al riconoscimento ed al valore delle intelligenze multiple la prospettiva pedagogica muta radicalmente sia nel ruolo del docente quanto nella esposizione dei compiti.

L’insegnante deve tener conto che ogni proprio discente apprende o trova il favore di aree cognitive che prediligono stimoli differenti per acquisire al meglio la stessa nozione e compito. Stimoli che hanno la duplice valenza: garantire una semplificata acquisizione della lezione e mostrarsi come elemento di sviluppo delle differenti potenzialità cognitive.

Per tali ragioni risulta apprezzabile l’opera di un pedagogo che riesce a presentare contenuti variandone, con valutazioni di senso, le modalità di presentazione a mezzo di una comunicazione verbale, cinestetica, musicale, spaziale, visiva, ecc, riuscendo a diversificare, a personalizzare, gli apprendimenti all’interno dello stesso contesto classe.

Ad esempio, secondo Gardner per trasmettere la conoscenza delle lingue straniere occorrerebbe impiegare una metodologia che si fondi sulla possibilità di spiegare la lingua per mezzo di riferimenti spaziali, musicali e, ancora, cinestaticamente, oltre che attraverso l’acquisizione (intelligenza) linguistica. Ciò è vero se si pensa che ogni intelligenza “disegna” una diversa modalità del pensare e di risolvere problemi e apprendere.

Ogni alunno, come ogni essere umano, è quindi intelligente in modo diverso così come diverso è il suo profilo intellettivo, il quale ultimo non è destinato alla inalterabilità o staticità, ma si sviluppa e cambia nel tempo in funzione del contesto e dell’interazione dell’individuo con l’ambiente circostante o del dominio in cui è chiamato ad operare. Tale positiva e multipla visione delle intelligenze operanti in una classe, incoraggia ad una diversificazione e personalizzazione degli apprendimenti, configurandosi come stimolo tanto per gli alunni quanto per il docente.

Una scuola interessata alle differenze individuali, esaltandone l’offerta formativa più benefica per i soggetti che vi partecipano, deve essere in grado di rendere efficace il momento della valutazione distraendo l’occhio e le orecchie del docente da una mera e scontata verifica visuale ed uditiva di ciò che l’alunno dimostra di aver acquisito seguendo la regola della uniformità con quanto enucleato dal docente nel corso dell’attività didattica.

Il momento della verifica semmai dovrebbe avvenire sul grado di utilizzo da parte del discende delle diverse abilità, tecnologie incluse, e sulle strategie esposte in un ottica di meta-apprendimento e meta-riflessione indipendentemente dall’uso, e mai abuso, di uno smartphone o di un tablet nel corso di una attività di lezione frontale o laboratoriale.

Secondo Ausubel “L’apprendimento significativo si verifica quando chi apprende decide di mettere in relazione delle nuove informazioni con le conoscenze che già possiede. La qualità di questo apprendimento dipende anche dalla ricchezza concettuale del nuovo materiale che deve essere imparato”. Anche l’uso non libero di uno smartphone, sotto la guida consapevole del docente, – come ha ribadito il ministro dell’istruzione Valeria Fedeli partecipando all’incontro “La rete e la degenerazione del linguaggio: parole ostili”, nell’ambito della manifestazione “Cortile di Francesco” alla Piazza Inferiore San Francesco, presso la basilica di San Francesco ad Assisi nel settembre del 2017 – deve rientrare in quel prolungamento dell’apprendimento significativo innovato dalla parte significativamente buona della tecnologia e del media digitale.

Ogni alunno, dunque, impegnato nell’attività di apprendimento, può decidere di mettere in atto tale processo senza conoscenza o consapevolezza alcuna di strategie di studio, ma ciò può anche essere spiegato, stimolando nel discente l’acquisizione di abilità volte a permettergli di collegare e accomodare autonomamente e con efficacia le nuove informazioni con quelle già possedute.

In questo, la produzione di mappe concettuali ha dato prova di influenzare positivamente le abilità intellettive degli alunni. Ancor più è possibile estendere e migliorare la gamma di possibilità che possono essere integrate in una lezione frontale attraverso le lezioni sviluppate in PowerPoint o test analogici e digitali, immagini, filmati ecc., in modo da incoraggiare e facilitare la condivisione delle risorse didattiche tra gli alunni tutti, ricorrendo la dove si renda possibile, anche all’infinita quantità di materiali e di informazioni che la ‘rete’ rende accessibile e consultabile in formati e modelli ben riconoscibili dalla new generation.

La mappa concettuale realizza indubbiamente la dorsale pluridisciplinare atta ad evidenziare anche dal punto di vista iconografico le acquisizioni di nozioni e competenze dello studente nelle diverse discipline.

Come metodo innovativo del contesto didattico, la mappa concettuale, anche nella versione digitale e rapidamente elaborabile con LIM, tablet o smartphone, consente di evidenziare la prontezza di analisi e della meta-riflessione dello studente nell’approfondimento interpretativo dei singoli argomenti e delle abilità di sintesi e di co-costruzione degli argomenti in una proiezione unitaria, dimostrando di saper cogliere le problematiche apprese.

Altra metodologia che si fonda sulla teoria della pedagogia realmente inclusiva è il tutoring ovvero una modalità di reciproco insegnamento tra alunni che stimola la nascita di una coscienza sociale all’interno della classe.

Tale coscientizzazione, da non intendere come presa di coscienza, bensì come apprendimento della presa di coscienza e dunque coscienza riflessa, permette di essere un valido aiuto anche per quegli alunni certificati a rischio o disabili, realizzando una vera e propria opera di inclusione/integrazione.

Il tutoring è un metodo di lavoro tra alunni introdotto in numerosi programmi americani come strategia per affrontare situazioni problematiche, esso ha trovato parecchi riscontri di efficacia in diverse ricerche che, se per un verso permette al tutor di acquisire un comportamento pro sociale, d’altro canto sprona l’apprendimento all’interno di una struttura di aiuto consentendo una maturazione emotiva con un incremento delle relazioni positive e appropriate nella classe.

CONCLUSIONI

Non possiamo pensare ad un’unica procedura ottimale per attuare la migliore opera di inclusione / integrazione, ma è necessario vagliare e saper scegliere le altre diverse e altrettanto valide strategie adattabili all’età degli alunni, alla materia da insegnare, al differente contesto gruppo-classe, ai singoli alunni e alle diverse situazioni contingenti che l’insegnante, dotato di preparazione e sensibilità professionale, è in grado e deve essere in grado di individuare pena il fallimento professionale e di ruolo dentro il gruppo classe, al di là di qualsivoglia riforma scolastica. Poiché il docente deve essere in grado di indossare correttamente l’abito dell’educare al di là delle riforme e della scuola ove è chiamato ad operare, facendo cogliere al discente il bello della conquista di apprendere e del saper spendere le proprie abilità dentro e fuori la scuola. Ciò anche con uno smartphone in mano che non deve diseducare all’uso della biro, perché bisogna educare alla perdita di quell’ignoranza, quest’ultima vista come via di mezzo tra la ragione e l’errore, che vede sempre più giovani intrappolati in essa a causa dallo sconfinato mondo del duepuntozero, sempre più vasto di notizie false condivise.

Compito del docente è pertanto anche quello di orientare l’ignoranza verso la ragione e puntellare sui pericolosi “non so” dei discenti o su quegli altrettanti non ragionati e pericolosi “so” figli di arroganza e svariati fake dentro e fuori i social o più in generale il Web.

Tutte le metodologie oggi presenti nel panorama pedagogico, sono state generate per aiutare gli alunni, anche quelli con difficoltà specifiche di apprendimento, ma si presentano come efficaci per tutti gli studenti sia che abbiano altre difficoltà non riconosciute sia che risultino “normali”, secondo qualsiasi parametro di valutazione.

Il riconoscimento delle intelligenze multiple da sostegno e fortifica l’apprendimento nelle classi, ciò è vero nella misura in cui i docenti riescono a scrutare con attenzione quanto risulti da stimolo per il coinvolgimento degli allievi durante una lezione e, di conseguenza, generi apprendimento o al contrario cosa invece rende i propri allievi apatici e passivi al punto da generare un processo di auto esclusione, di cesura cognitiva, che sembra a volte incontrastabile. Di certo l’utilizzo e il prendere in considerazione la teoria di Gardner può rendere il lavoro dell’insegnante vario, stimolante e creativo.

di Francesco Augello