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Il mito e la moda della regionalizzazione

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L’Italia è uno Stato unitario (indivisibile) che,  sulla base dell’ art. 5 della nostra Costituzione, per scongiurare il rischio di  una  nuova deriva totalitaria, riconosce e promuove le autonomie locali. Per le Regioni, inoltre, l’art. 119 prevede anche l’autonomia finanziaria.

Sulla base di questi riferimenti e  richiami costituzionali, in ambito prettamente politico, si sta cercando di far risaltare ed esaltare, il principio di autodeterminazione  e realizzare un discutibile  progetto di autonomia differenziata, di  regionalizzazione della sanità, della scuola, dell’economia, della cultura  ecc.,  che scaturisce dal pensiero di Carlo Cattaneo,  dalle esperienze federative degli Stati Uniti d’America e che, ignorando o scavalcando il principio di sussidiarietà, sta facendo cadere l’illusione di un Paese unito,  fondato sulla solidarietà politica, sulla solidarietà economica e sulla solidarietà sociale.

In ambito prettamente scolastico, questo percorso è iniziato diversi anni fa e, precisamente, con la legge n. 59 del 15 marzo 1997: con l’art. 21 fu introdotta l’autonomia scolastica come garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale che, gradualmente,  a causa della disuguaglianza delle opportunità (scuole del Nord più ricche di quelle del Sud), sta intaccando  l’art. 3 comma 2 della Costituzione che  dovrebbe assicurare a tutti i cittadini l’eguaglianza dei punti di partenza.

“E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Nel nostro Paese, nobili figure di eroi, benemeriti dell’unità hanno lasciato esempi e ricordi indelebili e  un monito perpetuo per essere sempre pronti al soccorso quotidiano  che, da diversi anni,  una politica, almeno in linea di principio  avversa a contribuire sempre e generosamente allo sviluppo unitario del Paese, sta cercando di offuscare.

Prima di progettare un Paese  e una scuola nuovi, è opportuno che ciascuno rifletta e tenga ben presente che dall’ unità della geografia politica ed economica discende l’unità del popolo italiano, dell’educazione e della cultura. Non si può quindi pensare di proporre contesti, conoscenze e realtà parcellizzate e di separare, in virtù  di una generica  e non ben definita regionalizzazione e  autonomia differenziata,  percorsi formativi che lasciano intravvedere lo spettro e lo squallore della divisione.

Restaurare, preservare, propagare l’unità è il grande compito e la grande sfida di un Paese che,  senza  compromettere la ricerca comune  delle soluzioni, deve favorire un dialogo costruttivo e non equivoco,  non con i padroni della politica e della cultura,  ma con l’ identità  peculiare e originaria  dei singoli e dei gruppi.

Alla scuola, che conserva ancora nel proprio seno tutta la forza necessaria per opporre  a bugiarde e ingannevoli proposte  un alito possente di vera rigenerazione e unità, spetta il compito di riaccendere la  fiamma del fuoco della solidarietà che fonde, salda e unisce tutto ciò che è   intaccato e minacciato   dalla scissione.

La grande industria educativa, nel suo difficile cammino,  ingombro spesso di ostacoli, ma sempre attiva e fruttuosa, deve orientarsi subito verso questa finalità e continuare a volgere lo sguardo e gli sforzi verso la   crescita di una  cultura umana sempre ancorata ai vincoli dell’unità.

Occorrono scuole e docenti sciolti da ogni legame regionale, da ogni  gerarchica parcellizzazione  economica, culturale e professionale e adeguatamente motivati per  ottundere  distinzioni,  differenze e garantire, in qualunque luogo, una formazione di carattere nazionale.

Dalla voce ardente e unitaria di tutti i docenti, in modo particolare da quelli meridionali nelle cui opere è sempre viva la lezione d’amore per la scuola, per il Sud e per tutto il Paese,  deve venir fuori un monito perpetuo all’ impegno quotidiano. Questo significa che la  Buona Scuola  e le azioni buone  non nascono  già pronte  come Pallade nel cervello di Zeus, ma scaturiscono sempre da una continua disponibilità al dialogo, al confronto  e alla responsabilità.

A quale fonte bisogna attingere per contribuire generosamente alla vita e allo sviluppo della fulgida stella dell’amore per l’Italia e colmare i vuoti della vanità e dell’amor proprio?

Se non si vuole condannare la scuola e una parte della società a mangiare il povero pane, bisogna, senza esitazione o imbarazzo, dare impulso  al nobile valore sociale della collaborazione e della cooperazione.

Quando la scuola funzionava più o meno bene, quanta soavità, quanta dignità nell’ educare, nell’affrontare e risolvere tutti insieme i problemi  e scoprire l’alto interesse per l’ordine morale, sociale  e nazionale.

Il contatto quotidiano con i limiti, le fatiche e le divisioni  che impediscono di levarsi in un vasto e libero volo, il colpevole ritorno dei mali che divorano e allontanano dal fascino delle virtù,   procurano profonde ferite e favoriscono l’organizzazione e lo sviluppo di  una concezione egoistica della vita che non trasforma dinamicamente la società  e non rende gli uomini migliori.

Fernando Mazzeo