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Il precariato nella ricerca scientifica

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Presentata al Cnr di Roma, il 13 dicembre 2006, la ricerca, pubblicata “Portati dal vento-Il nuovo mercato del lavoro scientifico”, curata da Maria Carolina Brandi dell’Irpps-Cnr (Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio Nazionale delle Ricerche).
 
L’indagine ha coinvolto, tramite questionario informatico, pubblicato on-line sul sito dell’Irpps, quasi ottocento ricercatori (798 per l’esattezza), con contratto a termine di alcune Università, e dei maggiori Enti pubblici di ricerca italiani.
Dai dati emerge che l’ età media dei ricercatori è elevata, anche a causa del blocco delle assunzioni a tempo indeterminato negli enti pubblici di ricerca.
“ Il 5,2% ha più di quarant’anni, il 20,6% è tra i 35 e i 39 anni, mentre il 43,4% è tra i 30 ed i 34 e solo il 30,7% ha 29 anni o meno” spiega Carolina Brandi
I tempi di attesa per ottenere un contratto sono inconcepibilmente lunghi. Alla luce di questi dati, risulta quanto meno improprio definire i ricercatori “giovani in formazione”.
“Anche 5 anni prima che un ricercatore possa vedere stabilizzata la propria collaborazione. Al momento dell’intervista il 60% dei casi aveva rapporti di lavoro in atto di durata intermedia (2-3 anni), ma il 32,3% usufruiva di contratti brevi (di un anno o meno), mentre pochissimi (7,7%) avevano contratti di durata superiore ai tre anni”.
L’indagine rivela, inoltre, che il 10,2% di loro ha avuto un contratto a tempo determinato, il 9,7% un assegno di ricerca; i ‘Co.co.co.’ e le altre forme di collaborazione sono il 35,8%, e i borsisti di vario genere sono 37,4%.
La vita del ricercatore in Italia appare avvolta da incertezze: per la durata, per la sede, per i finanziamenti, ecc. Tutto ciò provoca stress e tensioni anche nella vita privata.
Il 97,4% dei ricercatori dichiara di subire stress emotivo, soprattutto all’approssimarsi della scadenza del contratto. Stress subito in modo “forte” dal 59,3% degli intervistati.
Più dei tre quarti del campione (78,2%) è in cerca di un altro lavoro e circa il 60% crede che questa situazione influisca negativamente sul proprio lavoro. Praticamente, tutti gli intervistati (96,6%) denunciano effetti negativi: il 71,6% sul rapporto di coppia, l’89,7% su quello di paternità o maternità, l’89,3% sulla scelta dell’abitazione, il 91,7% sul bilancio familiare, l’87,2% sulla capacità di affrontare gli imprevisti e quasi tutti (95,6%) anche su altri aspetti della vita privata”.
A fronte di tanto disagio, risulta salvarsi la produttività scientifica, che non sembra risentire dell’incertezza.
“L’output scientifico del campione è elevato, e nella media” afferma Maria Carolina Brandi,
a conferma del fatto che esso dipende dalle capacità e dalla validità del gruppo e non dalla stabilità del rapporto di lavoro”.
E i numeri sono eloquenti: 272 monografie italiane, 70 monografie straniere, 389 saggi collettanei italiani, 127 saggi collettanei stranieri, 1.362 articoli su rivista nazionale, 6.329 articoli su rivista internazionale.
In Italia, però, i ricercatori diminuiscono.
La Tecnica della Scuola ha voluto conoscere l’opinione di Maria Carolina Brandi, che ha così risposto:
A proposito del calo delle vocazioni scientifiche è evidente che i giovani percepiscono con chiarezza il fatto che il sistema economico e sociale italiano dedica un’attenzione bassissima alla ricerca”. 
“Se la maggioranza dei giovani vede che ad ogni Finanziaria le spese dello Stato per ricerca vengono ridotte, che pochissime imprese italiane lavorano nei settori tecnologicamente avanzati, che i giovani ricercatori, dopo anni di precariato, debbono andare a lavorare all’estero, è superfluo quindi chiedersi perché in Italia le iscrizioni alle facoltà scientifiche calino. Mi sembra chiaro che purtroppo in Italia non c’e’ un vero interesse per la ricerca scientifica”.