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Il regista Giovannesi: “Contro l’emarginazione, tutelare e proteggere il lavoro dei docenti” [INTERVISTA]

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Nell’aula Magna del Liceo Classico Statale “Terenzio Mamiani” di Roma ha avuto luogo, il 26 febbraio scorso, una conferenza di Claudio Giovannesi, regista e sceneggiatore (nonché compositore delle colonne sonore) di opere cinematografiche di grande successo — di critica e di pubblico, soprattutto all’estero — e della serie televisiva Gomorra. Straordinario è stato l’interesse degli studenti del Liceo, che hanno posto al regista svariati quesiti sul suo recente film “La paranza dei bambini”: opera premiata nel 2019 con l’Orso d’argento per la migliore sceneggiatura al Festival di Berlino. Tratto dal romanzo omonimo di Roberto Saviano, La paranza dei bambini punta l’obiettivo su alcuni quindicenni di Napoli che scelgono la strada del male, scivolando nella perdita dell’innocenza per seguire i disvalori consumistici di una società profondamente plasmata dalle leggi non scritte dell’economia neoliberistica. Qualcosa di simile a quanto accade in tutti i ghetti (e non solo nei ghetti) di tutte le città d’Italia, ove la Scuola non riesce, con i pochi mezzi a sua disposizione, a costituire un’alternativa alla fascinazione che il delitto esercita sulle giovani menti in formazione di molti adolescenti.

A margine della conferenza, La Tecnica della Scuola ha intervistato Claudio Giovannesi, che molto gentilmente ha risposto alle nostre domande.

Dottor Giovannesi, lei ci ricordava che, laddove la formazione scolastica è insufficiente, si possono verificare condizioni di emarginazione come quelle che lei raffigura nel film. D’altro canto lei durante la conferenza ha messo in evidenza l’intelligenza di alcune osservazioni degli studenti di Liceo Classico e Scientifico. Secondo lei quanto può fare una scuola con contenuti e conoscenze “forti” (come un Liceo Classico) per combattere l’emarginazione? Può essere utile recuperare queste conoscenze “forti” anche per ragazzi che vivono situazioni di emarginazione e di deprivazione culturale?

“Al di là del film, io penso che la Scuola sia fondamentale, nel senso che uno Stato che non investe nella Scuola non investe nel futuro. Questo tipo di storie – come quella de “La paranza dei bambini”, ambientata a Napoli — può accadere in qualsiasi metropoli occidentale in cui esistano luoghi ove lo Stato è assente, la formazione scolastica non è all’altezza, è insufficiente e, soprattutto, il lavoro non c’è. In questi contesti la criminalità organizzata ha terreno libero, perché porta reddito. L’unico argine è, negli anni, credere nella Scuola e rafforzare il sistema scolastico. Il lavoro dei Professori è tra i più importanti che esistano e deve esser tutelato, protetto. Dove esiste una formazione scolastica, la vita sociale si realizza in maniera più piena e più corretta. Dove non c’è formazione scolastica, purtroppo, c’è il caos, c’è l’impossibilità di crescere secondo valori civili, sociali, culturali. E c’è assenza di futuro”.

A proposito dell’assenza di lavoro: lei cosa pensa di una Scuola che fosse orientata esclusivamente alla formazione ed al lavoro? Non crede che i contenuti culturali siano fondamentali anche per spingere i ragazzi a porsi domande sul senso della vita, orientando le proprie scelte per dare un senso umano alla propria esistenza?

“Io non credo che la Scuola debba essere esclusivamente una preparazione tecnica al lavoro. O meglio: anche quella andrebbe bene, perché tutto quanto è formazione — tecnica, scientifica o umanistica che sia — è fondamentale. L’equivoco (e il paradosso) sta nel fatto che noi diciamo: “La formazione culturale non ha a che fare con la formazione professionale”; e ci convinciamo che la cultura umanistica sia ormai in crisi. Però questo è un paradosso, perché in realtà la cultura può e deve produrre reddito: succede in Paesi molto vicini a noi. In Italia invece stiamo un po’ dimenticando questo concetto. Stiamo poi dimenticandoci di dare un valore alla cultura anche dal punto di vista puramente economico, e di creare occupazione mediante la cultura. La cultura può e deve produrre reddito, soprattutto in un Paese come il nostro”.