
La verità, vi prego, sull’intelligenza artificiale. Si potrebbe parafrasare il poeta W. H. Auden per descrivere gli interrogativi che suscita il ruolo sempre maggiore dell’IA nella nostra società, scuola compresa. Per molti gli algoritmi sono una minaccia, per altri possono rappresentare una grande opportunità. Quel che è certo è che sempre più persone li usano, e che il trend è destinato a crescere nel futuro. Tecnica della Scuola ha domandato al filosofo Cosimo Accoto – research affiliate presso il Sociotechnical Systems Research Center del MIT di Boston, tra i maggiori studiosi della trasformazione culturale delle tecnologie – quale sarà l’impatto dell’IA sull’istruzione, nel breve e nel lungo periodo.
Intelligenza artificiale a scuola, ma è utile chiedersi se sostituirà i docenti? Come usarla e le norme – FOCUS
Verso nuove pratiche per l’educazione
Molti, infatti, si chiedono se l’IA sconvolgerà le nostre vite come altre rivoluzioni tecnologiche del passato. “I paragoni servono fino ad un certo punto, così come i pochi dati che abbiamo in mano”, chiarisce il filosofo delle nuove ingegnerie. “Piuttosto, dobbiamo guardare speculativamente all’orizzonte e intravedere i vettori e le forze, le logiche e le dinamiche dei nuovi assemblaggi cognitivi umano-macchinici nella società del capitalismo digitale”. In concreto, per Accoto si intravedono “pratiche emergenti di educazione e formazione”, come quelle al centro di eventi recenti (MIT AI & Education Summit2025), che hanno presentato “esperienze e casi di frontiera sull’adozione potenziante dell’intelligenza artificiale nella scuola”.
Italia in affanno rispetto ai Paesi esteri
Al momento, spiega lo studioso, “non ci sono strategie e modelli d’intervento e d’azione che possiamo dire di successo”. L’Italia però rischia di restare indietro, visto che “l’orizzonte trasformativo, in molti casi, è stato più rapido in altri Paesi”. Un caso eclatante riguarda proprio la disciplina di Accoto, la filosofia. “All’estero ci sono da tempo cattedre universitarie, programmi di ricerca, collane editoriali dedicate alla produzione e circolazione di cultura digitale. La filosofia da tempo ha come oggetto di studio e ricerca l’orizzonte tecnologico. A partire dai software studies americani (mentre noi siamo fermi ai media studies più classici) per fare un esempio”.
No allo stem, sì all’umanistica digitale
Accoto lancia l’allarme sulla focalizzazione di moda su discipline stem, “mentre dovremmo integrare anche digital humanities“. In altre parole, “non basta insegnare nelle scuole a vari livelli il coding (come si cerca di vare oggi), ma insegnare la filosofia del codice. Non basta imparare a scuola gli strumenti tecnici della civiltà digitale, dobbiamo anche capire in profondità la scrittura informatica e la sua ermeneutica filosofica”. Tra un po’, del resto, a scrivere operativamente (non strategicamente) il codice saranno le macchine, “quindi quella competenza verrà decentrata su di loro. Vitale sarà allora e piuttosto capirne la logica di funzionamento e, soprattutto, di significato”.
Le linee guida del ministero per la scuola
Va detto che l’Italia non parte proprio da zero. “Le linee guida del ministero dell’Istruzione e del Merito, da poco pubblicate, sono un primo segnale e passo, perfettibile naturalmente, per mobilitare le risorse e le professionalità tutte della scuola nella direzione del futuro“, riconosce il filosofo. Il quale mette in guardia da un utilizzo non consapevole dell’IA, soprattutto da parte degli studenti. “Gli algoritmi incarnano abilità umane diverse e ridisegnano competenze, capacità e comportamenti. È importante porre all’attenzione su cosa guadagniamo e cosa perdiamo in questi passaggi epocali cercando di fare in modo che il saldo sia positivo (a livello individuale tanto quanto collettivo)”.
L’algoritmo come “compagno” di studi
Se quello che è in atto è un processo di “coevoluzione”, è da indirizzare nella direzione giusta. “Purtroppo, l’AI oggi viene sviluppata soprattutto in modalità predatorie (dei nostri dati), competitive (nel mondo del lavoro), parassitiche (a nostro svantaggio)”. Accoto cita un caso concreto. “Se un modello linguistico automatico ci accondiscende stupidamente, non ci sta aiutando a valorizzare la conoscenza e anzi può innescare fenomeni di regressione“. Al contrario, se lo stesso modello funge da “compagno” di allenamento, “allora non ci infantilizza o anestetizza il nostro pensare. Occorre quindi lavorare alla costruzione di modelli di AI che valorizzino la co-intelligenza by design“.
Sull’IA coinvolgere le comunità educanti
La priorità è non ripetere gli errori del passato. “Il web è nato nel 1994, ma non ci si è preoccupati per nulla di educare in maniera strutturata e pervasiva giovani e adulti alle navigazioni consapevoli, all’attenzione alle fonti e alla loro valutazione in rete”, ricorda il filosofo. Per far fronte all’IA “occorre rapidamente, con un piano nazionale continuo e diffuso, accelerare più intensamente l’adeguamento delle competenze digitali in cui siamo carenti rispetto agli altri Paesi europei”. Per raggiungere questo obiettivo, “è importante anche coinvolgere le comunità educanti a più largo spettro valorizzando una didattica veramente innovativa nei modi, nei tempi e negli scopi”.
L’importanza della scuola e della politica
Un ruolo chiave, in questo contesto, spetta alla scuola. “Se vogliamo entrare nel nuovo millennio con la giusta strategia ci sono solo due dimensioni che ci possono aiutare: la scuola e la politica. Lo dico sempre: solo queste due istituzioni ci possono consentire di non subire passivamente le rivoluzioni tecnologiche“. E le famiglie? Per Accoto hanno un ruolo chiave, “di supporto e di incoraggiamento, di vigilanza, cura e attenzione”. In generale, “occorre non rimanere disinteressati, avvicinarsi e esplorare insieme ai ragazzi e ragazze i nuovi mondi digitali. E magari, perché no, tenere a freno anche alcuni pregiudizi che talvolta sono presenti nei modelli mentali di genitori e educatori“.




