
Il 4 novembre 2024, il primo dopo la promulgazione della Legge del marzo 2024 che ha portato all’istituzione della “Giornata dell’Unità nazionale e delle Forze armate” il presidente del Consiglio così si esprimeva (sui social!): “Nella solenne ricorrenza della Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate rendiamo omaggio a tutti coloro che, con coraggio e amor di Patria, sacrificarono la vita per un’Italia libera e unita. […] custodiamo e tuteliamo quei sacri valori in cui credevano e che rappresentano la nostra Nazione”. Non c’è nemmeno da sottolineare l’astratta retorica che permea queste parole. A distanza di più di cent’anni dalla fine dell’orrendo massacro che ha inaugurato il XX secolo ci sarebbe da sperare che persino il ceto politico guardi a quel tragico evento per quel che è stato: una carneficina orrenda, crudele, che ha massacrato più della metà dell’esercito italiano, che ha lasciato dietro di sé una triste eredità di miseria materiale e morale e che ha aperto le porte ad una dittatura feroce.
E allora, è tempo di dirlo chiaro da che parte si sta: se la premier Giorgia Meloni vede ancora la prima guerra mondiale come “la quarta guerra di indipendenza”, se parla ancora di “amor di Patria” vuol dire che probabilmente ha studiato poco cosa accadde in quei terribili anni. Non ci meravigliamo troppo: il nostro governo attuale ha lo sguardo rivolto ad un passato di maniera, in cui l’eroismo si spreca e per la Patria bello è il morir. Se non fosse così non avremmo letto sulle Indicazioni nazionali del 2025 che nella seconda classe della scuola primaria nel programma di Storia ci si deve occupare delle “vicende del Risorgimento e della Resistenza a scelta degli insegnanti e collegati a riferimenti territoriali e all’esperienza dei bambini (es. di contenuti: Piccola vedetta lombarda, i martiri del Belfiore, le 5 Giornate di Milano, Anita Garibaldi, Salvo d’Acquisto, altri protagonisti di eroismo e di virtù civili nella Resistenza)”. (sic!)
Ci sono argomenti che non ammettono atteggiamenti tiepidi: ce lo insegna anche la nostra Costituzione quando afferma che l’Italia ripudia la guerra usa un verbo dal significato inequivocabile. Ora, come pensiamo di insegnare ai nostri studenti a ripudiare la guerra? Seguendo il metodo che, da quando il governo attuale è in carica, ha moltiplicato gli interventi a vario titolo dell’Esercito e delle Forze dell’ordine nelle scuole? Il sito dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle Università dà puntuale informazione sull’ingerenza dei militari nelle nostre scuole. E dire che tale ingerenza non dovrebbe esistere non significa mancare di rispetto a nessuno: semplicemente, significa adottare un’ottica nonviolenta (si scrive così, come lo scriveva Aldo Capitini) ed essere convinti che una educazione che non sia orientata alla nonviolenza in modo coerente seminerà sempre semi di violenza, pronti ad attecchire. Allo stesso modo è inutile parlare di “libertà”, come fanno molto spesso i documenti ministeriali nell’era di Valditara, dimenticandosi dell’eguaglianza, senza la quale la libertà sarà riservata soltanto a pochi fortunati.
Sono tempi difficili e la guerra torna ad essere una dimensione quotidiana e non così distante da noi.
Vorrei chiedere a chi ci governa in quale modo, oggi, si possa educare alla pace.
È stata appena tolta ai lavoratori della scuola la possibilità di poter usufruire di un giorno di permesso per prender parte a un convegno, organizzato dal CESTES (un ente formatore accreditato dal MIM) in collaborazione appunto con l’Osservatorio contro la militarizzazione, dal titolo “La Scuola non si arruola” Bene, questo corso di formazione è stato cancellato d’ufficio, sia perché l’Osservatorio non è soggetto formatore (ma lo è il CESTES e l’anteporre l’Osservatorio poteva essere, sì, un vizio formale ma facilmente correggibile) sia perché “l’iniziativa ‘La scuola non si arruola’ non appare coerente con le finalità di formazione professionale del personale docente presentando contenuti e finalità estranei agli ambiti formativi riconducibili alle competenze professionali dei docenti, così come definite nel CCNL scuola e nell’Allegato 1 della Direttiva 170/2016” (parole di Valditara).
L’educazione alla pace mi risulta invece essere una parte trasversale e importante della formazione; e l’educazione alla pace ha, come primo obiettivo la critica della guerra, che noi tutti dovremmo ripudiare. Riporto alcuni titoli della relazione del convegno: Una politica culturale del sociale per il mondo multipolare della pace,Rearm Europe e militarizzazione del sapere, Sguardi coloniali. Il genocidio nella didattica della storia: dall’inizio del Novecento alla Palestina odierna. Non mi paiono così propagandistici e poco interessanti. Quanto ai relatori, ne conosco almeno tre il cui curriculum ne fa formatori affidabili.
Dispiace che il ministro Valditara abbia sospeso la possibilità di usufruire del permesso per partecipare al corso (forse per le molte adesioni? Gli iscritti erano oltre mille); spiace ancor di più che abbia minacciato di togliere l’accreditamento all’ente formatore e tacciato di partigianeria la FLC-Cgil che accusava il ministro di “atto di censura e di lesione della libertà di insegnamento”.
Anche la visione del governo è di parte, quando esalta come valore il morire per la Patria – e poco ci manca che coloro che difendono la pace vengano accusati di vigliaccheria. Dove sta il “pensiero critico”? Dove sta la ragionevolezza nel destinare enormi risorse alle armi, mentre le condizioni di vita della popolazione peggiorano e in Italia si contano sei milioni di poveri? Il secolo scorso non ci ha insegnato che la corsa agli armamenti (pensiamo alla dissennata decisione della UE di portare la spesa per le armi al 5% del PIL) è il preludio del conflitto? Le rovine di Gaza non ci hanno insegnato proprio nulla?
Eccoci al 4 novembre, giorno in cui, nel 1918, l’Italia uscì dalla terribile prima guerra mondiale, il primo conflitto dalla dimensione planetaria, il primo a poter far uso di tremende armi di distruzione di massa. C’è un film esemplare per far comprendere ai giovani studenti cos’è la guerra: è Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick, uscito nel 1957 e ancora oggi attualissimo. Il regista, con lo sguardo visionario ed insieme nitido che fa di lui un artista di eccezionale levatura, ci racconta la guerra per quel che fu: i palazzi del potere fastosi in cui si elaborano strategie fallimentari fanno da contrappunto alle sordide trincee in cui i soldati vivono nell’attesa di essere sacrificati inutilmente in nome di una patria che richiede loro soltanto di obbedire ciecamente. La guerra di logoramento viene mostrata per quello che fu, un eccidio programmato; i vertici militari rivelano tutta la loro ottusità e smania di potere, pronti come sono ad accusare di viltà le truppe per il prevedibile insuccesso delle loro strategie. Non voglio riassumere il film, ma desidero consigliare a chi non l’avesse rivisto da tempo di rivederlo e a chi non l’avesse mai visto di rimediare alla lacuna.
Per gli insegnanti credo sia una sorta di passaggio obbligato, purché si abbia la pazienza di preparare gli studenti, ormai ubriacati dagli effetti speciali e dalla velocità del cinema di consumo, a seguire 88 minuti di un film in bianco e nero rigoroso e geniale, interpretato da Kirk Douglas con una intensità difficile da dimenticare. La conquista del cosiddetto Formicaio, una posizione tedesca molto ben protetta, attraverso una missione dichiaratamente suicida, la ribellione dei soldati che si rifiutano di uscire e attraversare la terra di nessuno dopo che la prima linea di soldati era stata falcidiata, l’accusa di codardia e la richiesta, da parte del generale responsabile dell’azione di far fucilare cento soldati (che si ridurranno, simbolicamente, a tre), il processo-farsa in cui il colonnello Dax (Kirk Douglas) difende a spada tratta i suoi uomini, la corruzione del potere, che attraversa tutto il film non si dimenticano facilmente. Per giunta, nessun ministro ci potrà impedire di presentare questo film dirompente ai nostri studenti.




