Home Attualità L’amara denuncia di Sabatini: la scuola non insegna più la lingua italiana

L’amara denuncia di Sabatini: la scuola non insegna più la lingua italiana

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Francesco Sabatini, linguista, filologo e lessicografo, presidente onorario dell’Accademia della Crusca, che ha presieduto dal 2000 al 2008, e professore emerito all’Università degli Studi Roma Tre, in un lungo articolo per il Corriere della Sera, sottolinea i mali del sistema dell’istruzione che ignora il ruolo della nostra lingua nello sviluppo cognitivo:

“I mali del nostro sistema di istruzione vengono spesso denunciati pubblicamente non dalla scuola, ma dall’Università e, a livelli più avanzati, dagli ordini professionali. Non si contano le lamentele dei professori di Giurisprudenza sull’incapacità degli studenti di quella Facoltà (la chiamo ancora così, anche se questa struttura è stata cancellata) di redigere la tesi o anche solo una tesina in un italiano accettabile. Alcuni docenti hanno deciso di eliminarle, perché sarebbero tutte da riscrivere. Fanno seguito le lamentele dei presidenti degli ordini forensi, nazionali e regionali, che denunciano l’impreparazione linguistica di molti giovani avvocati. Sui concorsi che riguardano questa categoria e anche quella degli aspiranti magistrati cali un velo pietoso (basta leggere le cronache dei giornali a ogni tornata di tali concorsi). Non si contano neppure le lagnanze per l’oscurità delle circolari ministeriali, dei testi normativi (perfino lo schema preliminare del decreto per l’esame di italiano nella maturità!), degli avvisi pubblici, criptici (che cos’è il «luogo dinamico di sicurezza» negli aeroporti, se non un «percorso di fuga» in caso di pericolo?) o pletorici (le Ferrovie dello Stato stanno consultando l’Accademia della Crusca per migliorarli)”.

“Ogni tanto lo si proclama, nella nostra scuola, come la disciplina centrale e trasversale per tutti gli studi, ma di fatto non viene coltivato come tale, anche qui per molti motivi, ma tutti riconducibili a una causa profonda: manca ampiamente nel nostro mondo scolastico una cognizione scientifica del ruolo che ha la lingua prima nello sviluppo cognitivo generale dell’individuo. Tutto il curricolo di questo insegnamento (per l’uso parlato e ancor più per l’uso scritto) è inficiato da errori di impostazione che le scienze del linguaggio hanno messo da tempo in evidenza, ma che non vengono conosciuti e riconosciuti nelle sedi responsabili: la formazione universitaria dei futuri docenti; la tradizione dei nostri curricoli scolastici ispirati alle «Indicazioni» ministeriali, ogni tanto ritoccate, ma mai veramente ripensate; di conseguenza anche l’impostazione di molti dei libri di testo, che non osano scalfire l’esistente”.

“Nella scuola Primaria «modernizzata» viene insegnata in maniera sempre più approssimativa, per la mancata considerazione del complicato processo cerebrale che consente il suo apprendimento, attraverso l’attivazione, a fini linguistici, di un nuovo canale sensoriale, la vista, in aggiunta all’udito, con l’apporto fondamentale delle operazioni della mano. Una sottovalutazione che si accompagna da un lato alla convinzione che ormai serve solo la scrittura elettronica (si dimostra di ignorare che lo scrivere a mano coinvolge tutto il nostro corpo), dall’altro a un incontrollato desiderio di molti insegnanti di «andare avanti», per insegnare quanto prima la «grammatica», che ritengono necessaria fin dall’inizio (ma così non è) o per elevare il proprio ruolo e far bella figura con i docenti della Media e con i genitori. Intanto il bambinetto e la bambinetta leggono male e scrivono peggio, beccandosi a volte, a torto, le qualifiche di dislessici e disgrafici, che distorcono tutto il loro percorso scolastico successivo”.

“Il clima generale è in fondo creato dalle attese frettolose delle famiglie: soprattutto di quelle che chiedono di far studiare quello che, secondo loro, serve direttamente a trovar lavoro, meglio se all’estero; tanto, si sente dire da non pochi, «l’italiano prima o poi diventerà un dialetto europeo che non servirà a nessuno». E in questo modo si toglie al cervello dei nostri studenti, dai 6 ai 19 anni, in un contesto già pieno di altre suggestioni, la possibilità di sviluppare al meglio in sé la facoltà linguistico-cognitiva di base, propria ed esclusiva della nostra specie, facoltà ulteriormente evoluta con l’invenzione, estremamente significativa e impegnativa, della scrittura”.