Home I lettori ci scrivono La formazione del neoassunto nella scuola-azienda di Renzi

La formazione del neoassunto nella scuola-azienda di Renzi

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Le modifiche introdotte dal DM 850 del 27 ottobre 2015 alle attività di formazione previste costituiscono un modello che il Ministero definisce trionfalisticamente completamente nuovo e che vorrebbe rafforzare le esperienze professionali dei docenti con una formazione che viene definita dal Ministero: “obbligatoria, permanente, strutturata”.
In realtà questo modello tanto pomposamente annunciato sembra pensato apposta per creare il docente prono alle esigenze del Dirigente, ai dettati del Miur e persino alle  esigenze delle aziende, così come voluto da tutte le scellerate riforme della scuola pubblica statale che si sono susseguite negli ultimi 20 anni, dalla Moratti alla Gelmini, fino alla Legge 107, che ha portato a compimento la trasformazione del docente in impiegato e in un tecnico della didattica, al servizio di un sapere pseudo-professionalizzante e di una dirigenza plenipotenziaria, che vuole una scuola volta alla formazione di meri esecutori, incapaci di pensare, mettere in discussione e tanto meno contestare l’esistente.

I laboratori formativi, pezzo forte del modello, prevedono infatti tutti i cavalli di battaglia che hanno guidato l’azione del Ministero e dei governi in questi ultimi anni. Moduli obbligatori sui BES, una sigla dietro la quale si nasconde il tentativo di etichettare come disagio e/o problema ogni differenza, da quelle economiche a quelle culturali e di equiparare la gestione della disabilità, a quelle di una qualsiasi difficoltà, nell’ottica, riteniamo, di iniziare un processo di  progressiva riduzione dell’organico e del ruolo dei docenti di sostegno, figure invece indispensabili in una didattica realmente inclusiva. Immancabile la formazione sull’alternanza scuola-lavoro, nuova attività obbligatoria per ogni istituto superiore (senza la quale non si può conseguire il diploma) che ci impone di inviare i nostri allievi nelle aziende a svolgere lavoro gratuito, sottraendo loro tempo scuola e occasioni realmente formative.

In quest’ottica di scuola-azienda, come dimenticare la formazione sulle nuove tecnologie e il loro influsso sulla didattica? D’altronde la parola d’ordine è ormai quella delle classi ribaltate, dei docenti facilitatori, delle classi senza docenti…In fondo, a cosa serve insegnare? Basta mettere a disposizione le conoscenze e le competenze in un supermercato globale, dove la cooperazione e l’integrazione dei deboli e dei diversi sono sostituite da competizione, efficienza, risposta immediata e irriflessa alle esigenze dirigenziali.

Cosa pensare poi della procedura per cui il docente appena immesso in ruolo deve stilare un bilancio delle competenze indicando un numero preciso di competenze da sviluppare o in cui si sente carente, per poi trovarsi con il dirigente e il tutor a stilare un patto per il proprio sviluppo professionale, sviluppo che evidentemente non può che seguire le line precostituite di cui abbiamo  scritto? O del nuovo ruolo del tutor che deve stilare una relazione da presentare al comitato di valutazione, comitato che esprime un parere, ma perde il ruolo essenziale che aveva fino all’anno scorso, visto che il superamento dell’anno di prova è demandato completamente all’autorità del dirigente. Un dirigente che davvero finisce per  definire in tutto e per tutto la possibile “carriera” di un docente che non si vede come possa mantenere quell’indipendenza che gli è garantita dalla Costituzione. A fronte della completa scomparsa di un rapporto paritario con i colleghi e di un reale confronto didattico, disciplinare, pedagogico tra chi la scuola concretamente la fa. Tutto questo si aggiunge all’assurdità tutta italiana per cui quest’anno di formazione vede, nella stragrande maggioranza dei casi, come protagonisti,  docenti con decenni di esperienza e che improvvisamente devono dimostrare di essere all’altezza del compito che svolgono da lungo tempo.

Questo nuovo modello formativo compie definitivamente il passaggio dalla scuola della repubblica alla scuola azienda, in cui il dirigente decide e agisce a seconda di interessi che nulla hanno a che fare con la formazione, la relazione, la cooperazione, l’inclusione. Una scuola in cui esiste un preside sovrano e una massa di docenti, magari estremamente specializzati, dei veri specialisti della didattica e della disciplina, ma supini alla volontà di chi comanda. Una scuola incapace di mostrare un modello di collaborazione e cooperazione, cui è chiamata dal dettato costituzionale, un ottimo allevamento per polli da batteria, pronti a tutto, tranne che a pensare.