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La Memoria è una cosa seria: i diplomati magistrale e la loro storia

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Le scienze umane e sociali ci ricordano quanto fondamentale sia tenere viva la Memoria di qualcosa, di ciò che ha segnato la Storia ma anche di ciò che ha contribuito, nel bene o nel male, a definire la nostra identità o parte di essa. La Memoria non è semplicemente il ricordo di qualcosa, ma lo spartiacque che ci indica “da che parte stare”, che si staglia su un piano etico, principalmente, ma che è anche politico, nel senso che indica la direzione verso cui tendere.

Potrebbe apparire blasfemo, in prossimità della Giornata appena celebrata, evocare tale tratto distintivo, la Memoria appunto, in un ambito come quello scolastico e professionale. Tuttavia, ritengo questo accostamento non forzato, soprattutto se si pensa all’oblio nel quale sono cadute le storie di ciascuno di noi e, complessivamente, di un’intera categoria di precari. Invece, recuperare alla memoria questa “storia” particolare, permette a mio avviso di sgomberare il campo dalle mistificazioni, dai falsi motivi, dai pregiudizi, conditi da una “spolverata” di iniquità di cui sono stati oggetto i Diplomati magistrali non negli ultimi, faticosi, controversi e contraddittori cinque anni, ma negli ultimi venti, da quando cioè il loro titolo è stato oggetto di negazioni e vessazioni di ogni tipo.

Richiamare alla memoria nostra, ma soprattutto del mondo politico attuale, questa storia, significa svelare la mancanza di assunzione di responsabilità di tutti gli attori istituzionali, in un Paese dove nessuno paga per gli abusi perpetrati e dove le iniquità trovano sede persino nella Giustizia. Oggi, a partire dalle consapevolezze ‘storiche’ proprie della vicenda, si dovrebbe tirare una linea, per azzerare tutto in virtù degli errori di commessi a danno di migliaia di persone, ma questo imporrebbe di avere “memoria” e rispetto per le migliaia di docenti sfruttati per anni nel silenzio delle istituzioni e dell’opinione pubblica. Solo quando la linea da tirare prometteva di estrometterli per sempre dal circuito professionale e lavorativo nel quale erano inseriti, il ricorso alla Magistratura ne ha svelato l’esistenza. Il MIUR faceva orecchi da mercante alle richieste di rivalutazione del loro titolo, in un momento in cui le Università, per logiche puramente di mercato, chiudevano loro in faccia tutte le porte, per poi sobillare persino gli studenti contro i lavoratori della scuola, una vergogna tutta italiana che non ha precedenti nemmeno nella storia nazionale. Poi, però, è “cambiato orientamento” e la Magistratura, in virtù di una giustizia difficile da capire, ha ridisegnato il corso degli eventi, decretando “figli e figliastri” nel mondo della scuola.

Tuttavia non basta: ogni scusa addotta, per motivare le scelte politiche finora operate, suona come un disco rotto e di dubbia credibilità. Merito, qualità, tutela dei minori, centralità degli alunni nella scuola, suonano come scuse risibili se messe in relazione alla realtà. Dove sono questi sani principi negli anni di precariato anonimo e senza prospettive subiti dai docenti di primaria e infanzia? Che ruolo ha avuto il MIUR nel determinare il limbo in cui sono stati tenuti i docenti di questi ordini di scuola per più di dieci anni, ormai quasi venti? Che senso ha avuto l’anno di prova superato nelle migliaia di casi di immissione in ruolo? Gli alunni erano forse finti? Finte le loro carriere e finte le valutazioni di cui sono stati oggetto? Qui, in sostanza, per buttare l’acqua sporca, si butta pure il bambino e non mi sembra un’operazione edificante, da nessun punto la guardo.

Per me, bisognerebbe riportare alla memoria tutto, in sostanza, per uscire dalla sterile retorica e guardare i fatti nella loro storicità, sebbene operazione scomoda e impopolare.

Ancora la politica ha una chance, specie in questo momento di grande incertezza e instabilità, ancora la vicenda non si è conclusa, ancora le iniquità sono vive… forse questo rende tutto così difficile? Meglio le ammissioni “postume”?

Credo che non sia possibile sentirsi a pieno in uno Stato di Diritto, quando a pagare per i torti subiti sono le vittime di un sistema.

Valeria Bruccola