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La necessità di punire

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Scrive Cesare Beccaria: “…ogni atto di autorità di uomo a uomo che non derivi dall’assoluta necessità è tirannico…”.

Aristotele diceva che “non è baloccandosi che s’impara, l’apprendere è unito a sofferenza”, forse perché ai suoi tempi non c’era il cinema e la televisione. Ma chi è disposto a soffrire in libertà senza alcuna costrizione? La sofferenza dell’apprendimento può essere piacevole ad alcuni e non ad altri, e triste sarebbe un mondo dove tutti provassero piacere a leggere Voltaire e nessuno nello stare alla guida di una Ferrari. La scuola ammassa dentro le aule studenti di diversa cultura, estrazione sociale, interessi, capacità, e indica agli insegnanti gli obiettivi da raggiungere. Dentro ogni aula ci sono in media venti trenta individui ai quali bisogna insegnare delle nozioni, pretendere che queste nozioni vengano apprese, valutare i risultati di apprendimento per ogni singolo studente.

Poniamo il caso che su venticinque studenti, cinque reputano gradevole studiare, cinque lo reputano necessario ma non piacevole, dieci lo reputano noioso, il rimanente inutile e persino ridicolo. L’insegnante per svolgere il programma, per fare lezione, per rendere gli argomenti che lui ha in testa con chiarezza e semplicità ha bisogni in primo luogo del silenzio.

Il silenzio a scuola è una parola magica, vuol dire che, oltre all’insegnante, nessuno parli o faccia versi o rutti. Ma per quale motivo uno studente che non ha voglia di soffrire non solo per apprendere ma neppure per stare inchiodato ore ed ore al banco debba stare in silenzio? Ci vuole qualcuno o qualcosa che glielo imponga. In mancanza di una imposizione oggettiva ogni insegnante fa da sé in modo soggettivo con quello che si chiama carisma. Ed anche questa è una parola magica, carisma, dal greco charisma, indica un dono divino, in psicologia è la capacità di esercitare una forte influenza su altre persone; pensate che uno che abbia carisma si metta a fare l’insegnante? Fa il leader di un partito con altri guadagni e soddisfazioni. Non si può pretendere dall’insegnante il carisma, si può pretendere la preparazione culturale adeguata e la capacità di trasmettere nozioni, nient’altro. Quindi per metterlo in condizione di svolgere la lezione sono necessari i deterrenti, le punizioni, gli allontanamenti dall’aula di coloro chi impediscono il regolare svolgimento delle lezioni.

Se qualcuno sfogliasse i registri di classe, alla voce note troverebbe che la frase “Tizio impedisce il regolare svolgimento delle lezioni” è riportata innumerevole volte. Ma dopo che questi Tizi hanno impedito cento e mille e un milione di volte in tutta Italia il regolare svolgimento delle lezioni, cosa succede? Nulla, non succede proprio niente. A chi interessa che in un’aula, in cento e mille aule, ogni giorno, qualche studente, perché è irritato, perché ha dormito male, perché ha litigato con la ragazza, perché non gli hanno comprato il motorino, impedisca all’insegnante di fare lezione? Se un utente delle poste si mette davanti a uno sportello al solo scopo di impedire ad altri utenti la fruizione di un servizio forse si chiamerebbero le forze dell’ordine per allontanare l’utente incivile.

A scuola tutto ciò è impensabile, e a volte basta un solo studente indisciplinato per impedire che altri venti o più studenti possano fruire della lezione come è loro diritto. Lo studente indisciplinato non può essere allontanato dall’aula, non può essere sospeso a meno di gravi e ripetute indiscipline, che possono arrivare anche a quindici giorni di sospensione, ma solo nei casi estremi di violenza fisica sul corpo inerme dell’insegnante al quale è proibito reagire, persino per difendersi.

Tornando a Beccaria, a scuola la si può intendere così: ogni atto di autorità di docente a discente che non derivi dall’assoluta necessità è tirannico. Quindi, per considerare non tirannico l’atto di autorità dobbiamo prima dimostrare la sua assoluta necessità, che è cioè sia impellente che imprescindibile. Che sia impellente è fuori dubbio, a tutti è capitato di avere qualcosa di impellente da fare e, quindi, perché la scuola non deve averla? E poi mi hanno insegnato che se bisogna fare una cosa, prima si fa e meglio è. Ed è anche imprescindibile, perché il suo contrario prescindere vuol dire fare eccezione, e non possiamo fare della scuola un’eccezione. Quale eccezione poi? Quella che conferma la regola? Ma se la regola ancora non c’è? Quindi si arguisce che è  imprescindibile in quanto inoppugnabile. Ma andiamo all’atto di autorità. L’atto nel nostro caso è un’azione che produce un effetto, mentre sul significato di autorità non abbiamo dubbi che sia quel potere di governare i comportamenti. Si può pensare una società dove gli individui non si diano delle regole? Quante volte abbiamo detto a qualcuno che ci rompeva i cabbasisi: datti una regolata? In conclusione possiamo dire che l’atto di autorità in quanto necessario, come detto prima, non è tirannico, per come volevasi dimostrare.

A questo punto manca solo da aggiungere che il marchese Jacques de La Palice un quarto d’ora prima di essere morto era ancora vivo, per dare chiarezza e completezza alle argomentazioni sin qui riportate sulla necessità dell’atto di autorità del docente sull’allievo.

 Pasquale Faseli  

 

Tratto dal libroSCUOLA Luogo di pena per insegnanti – pubblicato su Amazon in versione cartacea