Home Attualità La responsabilità della scuola nel contrastare la catastrofe climatica

La responsabilità della scuola nel contrastare la catastrofe climatica

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Docenti e dirigenti scolastici spesso non ci pensano, ma la Scuola ha una funzione talmente importante nella società da poter costituire il discrimine tra il disastro e la salvezzacomune.

Dodici anni al punto di non ritorno: entro il 2030, secondo la quasi totalità degli studiosi, bisogna investire una parte non indifferente del PIL mondiale per eliminare i combustibili fossili ed abbattere le emissioni di gas serra. Altrimenti accadrà il peggio: ossia, il pianeta si surriscalderà ben oltre i limiti tollerabili dagli ecosistemi, con conseguenze letteralmente terrificanti (e solo parzialmente prevedibili). Serve dunque il rimedio più difficile da realizzare: l’accordo tra gli stati per limitare gli effetti devastanti del riscaldamento globale e correre ai ripari. Per ottenere ciò, occorre che le popolazioni siano consapevoli del pericolo e dei possibili rimedi, e facciano pressione sul potere politico. Fondamentale è dunque il ruolo della Scuola: solo se i docenti e i Dirigenti Scolastici impegneranno professionalità, conoscenze, passione al servizio di questa causa, potremo sperare che i cittadini di domani crescano con una mentalità non solo grettamente consumistica ed ottusa, ma volta a difendere i propri diritti e il proprio futuro dalla catastrofe incombente.

Nulla è (ancora) perduto: ma bisogna far presto

Molto si può fare ancora, ma solo se le classi dirigenti del pianeta capiscono che va fatto. I capitalisti potrebbero guadagnare — ad esempio — dalla fabbricazione di filtri industriali per catturare la CO2 e stoccarla; ma ciò richiederebbe (a causa di alcune difficoltà tecniche) forti investimenti iniziali; è molto più comodo, invece, godersi gli sconfinati utili derivanti dai capitali già investiti (spesso proprio nel mercato dei combustibili fossili) senza pensare al domani. Ecco perché siamo obbligati a consumare fino all’ultima goccia di petrolio, all’ultimo granello di carbone, all’ultima molecola di gas. Ecco perché andiamo ancora a zonzo su automobili superaccessoriate ed eleganti, connesse ad internet e magari teleguidate da Google, ma dotate ancora di motori a scoppio quasi identici a quelli di centodieci anni fa: rumorosi, inquinanti, nocivi, ma capaci di procurare tanti bei miliardi alle multinazionali del petrolio. Ci convincono che non c’è nessun problema nella prosecuzione di questo modello suicida di sviluppo; che comunque le fonti di energia tradizionali sono insostituibili; e che in ogni caso… ci penseremo domani!

Frenare il neoliberismo

Convincere il turbocapitalismo attuale a spendere una seppur minima percentuale dei propri utili per il benessere collettivo è davvero impresa ardua. Per questo dovrebbero prendere l’iniziativa gli Stati: i soli che hanno il potere di governare l’economia con la forza della legge e degli accordi internazionali. Ma ciò implicherebbe una limitazione all’ultraliberismo di stampo ottocentesco che dalla metà degli anni Settanta imperversa su tutto il pianeta, e che è riuscito a distruggere ogni traccia delle scelte keynesiane e del welfare state costruito nei Paesi dell’Occidente dopo la Seconda Guerra Mondiale. Implicherebbe anche una presa di posizione di molti politici attuali, che in tutto il mondo hanno legato la propria carriera politica alla propria capacità di servire fedelmente le multinazionali e gli organismi finanziari (come l’arcinotoFMI o International Monetary Fund).

Fingono di non capire…

Per questo motivo i medesimi politici sembrano proprio non comprendere l’urgenza di assumersi le proprie responsabilità rispetto alla tutela dell’ambiente. Il loro stipendio dipende purtroppo proprio dal loro non comprendere. E finché i popoli saranno addormentati e presi dalla quotidianità e dalle pubblicità martellanti e narcotiche, nessuna pressione verrà dal basso a convincere i politici della priorità assoluta che il problema ambientale riveste. Se un argomento non è prioritario per i loro elettori, i politici non lo mettono in agenda: questa è una regola che vale sempre ed in ogni luogo. Ecco perché è importante che ognuno di noi faccia la propria parte per tentare di risvegliare le coscienze su questo problema: a cominciare dai nostri figli, genitori, amici, colleghi, vicini, alunni. Non si può stare a guardare lo tsunami che si avvicina senza nemmeno dare l’allarme!

… ma hanno capito benissimo

Eppure, i vertici della politica mondiale conoscono assai bene il problema (anche se cercano di far sì che la maggior parte degli esseri umani non se ne interessi troppo). Lo dimostrano i tanti accordi internazionali per contenere quanto meno l’aumento costante di CO2 nell’atmosfera (l’ultimo incontro in ordine di tempo si sta svolgendo a Katowice). L’accordo principale fu il Protocollo di Kyoto, che l’11 dicembre 1997 emendò lo United Nations Framework Convention on Climate Change, riunendo 180 Paesi. Però fu attuato solo il 16 febbraio 2005, e non ratificato da Stati Uniti d’America (i maggiori produttori di gas serra, responsabili da soli del 36,2% del totale delle emissioni di CO2) e Kazakistan. Il 13 marzo 2001 l’allora Presidente degli USA George Walker Bush contrastò il Protocollo di Kyoto valutandolo illegittimo ed inutile al fine di impedire il riscaldamento globale, ed asserendo che “lascia fuori l’80% del mondo, tra gli stati più popolati come Cina e India, e potrebbe rappresentare un grave pericolo per l’economia degli States”. Pochi ricordano, del resto, che lo stesso George Walker Bush (da qualcuno soprannominato George Wehrmacht Bush dopo la guerra in Iraq) svolge la professione di imprenditore petrolifero. Come dire: Cicero pro domo sua.

Il grande potere della Scuola

Cosa possono fare in concreto le scuole? Cosa possono fare i Dirigenti Scolastici? Cosa i docenti?

Anzitutto mettere ogni energia — anziché in progetti d’immagine e nel “customer care” dell’“utenza” in stile “open day” — nel recupero della propria dignità di professionisti della cultura e dell’istruzione, nonché nella funzione sociale della propria professionalità. Quindi finalizzare professionalità e dignità nell’impegno, affinché i cittadini di domani siano consapevoli che dal pericolo si esce tutti insieme, o non se ne esce affatto. Bisogna insegnare a prendere la propria vita per quello che è: non una festa per alcuni e una tragedia per molti, ma un impegno per tutti.

Gli studi più recenti parlano di milioni di morti nei prossimi anni a causa del “global warming”. La Scuola non può diplomare studenti inconsapevolicome lo sono quelli che nella Scuola entrano ora (e come lo sono attualmente quasi tutti gli Italiani). I docenti di tutte le materie facciano quello che possono per informare i giovani: perché quella incombente sul pianeta è una delle minacce più gravi che la civiltà si si sia trovata ad affrontare dall’inizio della sua storia, e colpirà soprattutto i Paesi della fascia temperata (come l’Italia!).