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L’Antimafia si accorge della dispersione scolastica in Sicilia: ma il fenomeno è antico

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Anche la Commissione antimafia siciliana si interessa delle dispersione scolastica isolana, dopo avare preso atto che essa raggiunge, in alcune periferie delle grandi città, anche picchi del 65%, mentre la media si attesta attorno al 23%, la più alta d’Italia, se si considera che in Friuli e in Trentino siamo attorno al 12%. Un fenomeno tuttavia già abbondantemente denunciato, oltre che dalla nostra testata, da parecchi giornali locali e nazionali, ma su cui da anni nessuno ha mosso un dito, tranne le solite parole di promesse di futuri impegni.

Oggi, presidente della Commissione Claudio Fava, si incomincia a capire che questa enorme dispersione è anche un luogo fisico privilegiato delle organizzazioni malavitose per attingere manovalanza per i loro affari.

Dice inoltre Fava che manca uno studio della condizione minorile in Sicilia, insieme a una serie infinita ma essenziali di strutture sociali e culturali per contenere il fenomeno a causa del quale,  questi ragazzini, in assenza di altra proposta civile e sociale, vengono reclutati dalla criminalità. “Tutto questo per colpa delle poche risorse, senza nessuna sinergia”, afferma ancora Fava. 

Tuttavia questo studio non è stato mai redatto, nonostante da decenni il gravissimo problema della dispersione e degli abbandoni scolastici venga denunciato anche in forma del tutto oggettiva dalle indagini Ocse-Pisa o dai rilievi di agenzie specializzate. 

Una politica seria infatti si sarebbe dovuta da decenni, e anche prima, chiedere che fine fanno questi ragazzi che lasciano la scuola, dove vanno, chi incontrano, che attività svolgono in alternativa. 

E una politica seria avrebbe dovuto, da decenni, e anche prima, implementare appunto quello studio di cui parlava Fava, avrebbe dovuto porre rimedi, avrebbe dovuto dare risposte, cercare strade.

È vero che molte scuole hanno pure istituito progetti mirati, usufruendo dei fondi Por, Pon o Fse, ma sui cui esiti nessuno ha mai chiesto nulla, mai nessuno ha sollecitato i risultati ottenuti, né mai nessun ispettore è stato mandato per verificarne la bontà e la loro corretta gestione. 

E ancora. Nonostante da decenni venga ripetuto che nelle scuole di periferia, o meglio di frontiera, bisogna cercare di mandare i prof con lunga esperienza, motivandoli con incentivi e promozioni, si continua a lasciarli in mano a giovani insegnanti alle prime esperienze, ai supplenti, mentre i docenti di ruolo, e dunque stabili per garantire la continuità non solo didattica ma anche educativa, non vedono l’ora di chiedere il trasferimento per togliersi da ambienti difficili. 

Dunque, in queste scuole, martoriate anche da bullismo interno ed esterno, ogni anno si assiste al classico balletto di precari e anche di supplenti del supplente.

Una situazione che gli Uffici scolastici provinciali e regionale conoscono bene, perché sono loro alla fine che gestiscono non solo i dati dei fallimenti della scuola ma anche quelli del personale che lasciano per altri lidi. 

E in ultimo: possibile che i dirigenti scolastici che vedono sparire gli alunni dalle loro scuole non denuncino queste fughe improvvise di ragazzi? Alle forze dell’ordine certamente, ma anche al Ministero.

Sicuramente forse la piaga da cui tutto dipende, e dai cui sgorga questo sorta di pericolosa suppurazione, deriva pure dall’alto tasso di disoccupazione e sotto occupazione degli abitanti della Sicilia. 

Probabilmente la vera chiave di volta per stagnare tale fuoriuscita è quella di generare lavoro, togliendo prima i genitori dal giro velenoso e poi i loro figli, mettendo pure in atto politiche serie e rigorose volte all’istruzione professionale che nell’Isola fa acqua da tutte le parti.