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Le prove Invalsi non sono “inutili”. Sì al confronto, ma non basato sul nulla

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Leggo un discutibile articolo di Antonella Currò sugli “Inutili test Invalsi”.

Articolo disinformato e sfacciatamente fazioso; un esempio di argomentazione scorretta che potrebbe essere usato in classe per mostrare cosa si intende per “disonestà intellettuale”.

L’autrice non sa o finge di non sapere – non so quale delle due opzioni sia peggiore – che in un sistema scolastico possono e devono convivere momenti diversi nella didattica e nella valutazione.

Si straccia retoricamente le vesti per convincerci che un giorno ogni tre anni di valutazione standardizzata basti a spazzare via il quotidiano lavoro di valutazione formativa e sommativa che si realizza in aula o se le due cose fossero intrinsecamente incompatibili.

Finge di farci credere che una periodica misurazione standardizzata sia in conflitto con una quotidiana didattica innovativa, costruttivista e realmente centrata sulle competenze, quando in realtà sappiamo bene che sono proprio le classi che portano avanti modalità di lavoro di questo tipo quelle in cui le prove Invalsi certificano spesso i risultati migliori, a differenza di chi si ostina a un mero addestramento alle prove.

Ignora la normativa su DSA e prove. Ignora cosa sia il valore aggiunto, come cioè i dati INVALSI, se ci si prende la briga di leggerli, rendano giustizia proprio al lavoro di scuole “di frontiera”.

Insulta con alterigia, leggerezza e una approssimazione inaccettabili il lavoro di centinaia di insegnanti autori dei quesiti e quello del personale Invalsi con il lavoro di pretest, analisi dei dati, revisione dei quesiti, etichettando tutto con sprezzo come “quiz”.

Certamente tutte le opinioni devono essere rispettate, ma è troppo chiedere che dietro alle opinioni ci sia un po’ di sostanza e di informazione? Ben venga il confronto, ma non basato sul nulla!

Matteo Viale