Home I lettori ci scrivono Lo stato di polizia dentro la scuola è servito!

Lo stato di polizia dentro la scuola è servito!

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Via i docenti contrastivi e polemici.

La scuola sta pericolosamente cambiando, non la riconosco più, sempre più lontana da quel luogo dove si dovrebbe respirare cultura, dove si aiutano gli studenti ad acquisire il sapere critico, dove si respira libertà e democrazia.

La fiducia è un sentimento di sicurezza che deriva dal confidare in qualcuno o in qualcosa. E’ una convinzione personale di correttezza e verità e non può essere forzata. Se si ottiene la fiducia di qualcuno si è stabilita una relazione interpersonale sulla comunicazione e sulla condivisione di valori ed esperienze.

La fiducia dipende sempre dalla reciprocità. Il rapporto che si crea tra studente ed insegnante è fondamentale e si basa sulla fiducia, sulla correttezza, sulla verità. Il comportamento del docente diventa spesso un modello educativo da seguire per gli studenti.

Vietare l’utilizzo di Facebook a scuola e il dialogo sul Web tra genitori alunni e prof è assolutamente sbagliato.

La formazione, la conoscenza, il sapere, l’interesse, la curiosità per le materie deve essere condivisa il più possibile. Smettiamola con l’inquisizione e la caccia alle streghe e stregoni (i prof…) del terzo millennio.

Io come tanti colleghi continueremo a pubblicare le lezioni sul Web e condividerli sui social networks. I genitori e gli alunni sono liberi di contattarci sul Web.

Inizialmente ero contrario e l’ho scritto spesso ma il problema non sono i mezzi di comunicazione ma il cattivo utilizzo e in quale contesto e momento si fa.

Il progresso non si può fermare. Oggi i giovani fanno più cose contemporaneamente e la sollecitazione mentale è continua. Hanno un sistema di acquisizione diverso, più elastico del nostro.

La nostra generazione (ho 55 anni ) ha la capacità di distribuzione dell’attenzione carente. Noi non siamo “nativi digitali” anche se utilizziamo le tecnologie per diverse ore al giorno e facciamo fatica a fare più cose contemporaneamente.

Alcuni dicono che le donne hanno una predisposizione innata, dalla notte dei tempi, a fare più cose contemporaneamente perchè basano l’attenzione sul concetto “emozionale” degli eventi. Oggi le donne sono sempre più costrette a destreggiarsi tra lavoro e famiglia, sanno fare più cose insieme, gli uomini no.

Sfatiamo anche questa leggenda: Non è vero, come dimostra un recente studio svedese che le donne sono più multi-tasking gli uomini. Guidare e parlare al telefono (vietato), dare il biberon e controllare l’agenda: a casa o in ufficio, prima ancora che nei centri di ricerca, la guerra dei sessi sulla capacità di svolgere contemporaneamente più attività va avanti ormai quasi da quando Giulio Cesare dettava, si dice, tre testi contemporaneamente.

Il mutitasking riferito agli esseri umani vuol dire “multi-attività” o “multi-compito”. Quindi il “multitasker” è colui che fa multitasking.

Cercare di fare multi-attività può essere fastidioso quando siamo alle prese con compiti complessi, ma l’abitudine ad altri tipi di multitasking può essere piacevole, o addirittura assai gratificante. La ragione di questa irresistibile tendenza alla distrazione, ancora una volta, è legata alla struttura del nostro cervello.

Nella nostra evoluzione di esseri umani, comunicare e ottenere informazioni sull’ambiente che ci circonda, cioè sul mondo, è stato fondamentale per la nostra sopravvivenza.

La strategia che la natura ha usato per spingerci a svolgere queste attività è stata quella di “programmare” geneticamente il nostro cervello in modo tale che esso ci fornisca gratificazione (attraverso il rilascio di alcuni neurotrasmettitori, come la dopamina) quando comunichiamo o assimiliamo informazioni sugli altri e sul mondo. Per questo motivo ci piace ricevere un messaggio o individuare una notizia interessante (e non solo attraverso il pc), in quanto sono attività riconducibili a propensioni umane ben radicate nella nostra evoluzione e nel momento in cui il multitasking avviene coinvolgendo attività di questo tipo può risultare perfino piacevole.

Mentre scriviamo un articolo, studiamo, facciamo i compiti, che è un’attività faticosa per il nostro cervello, siamo spinti ad a prenderci delle pause gratificanti, dato che lo strumento attraverso cui stiamo lavorando, cioè il pc o il tablet, in pochi istanti può trasformarsi in modo camaleontico da attrezzo di lavoro a passatempo appagante. Bastano pochi clic. (Pasquinelli 2012).

Il multitasking viene svolto con successo soprattutto da chi è cresciuto immerso nell’ambiente digitale, per esempio i bambini di oggi, che per questo sono chiamati “nativi digitali”.

L’idea di usare un’aula, un laboratorio come unico spazio per la didattica è ormai superato.

Il luogo deve essere secondario rispetto alla lezione, la corretta comunicazione, la vera informazione, sono questi gli elementi prioritari di “fare didattica”.

Non ci devono essere limiti nei modi e nei processi formativi-educativi.

Durante le mie lezioni frontali vieto l’utilizzo del cellulare ma solo nel momento della spiegazione, per il resto gli studenti utilizzano l’iPad con i libri digitali e producono app (software) non solo con il classico pc e tastiera ma tramite tablet e smartphone.

Permetto agli studenti di registrare e riprendere le mie lezioni. I tempi e i modi di studio sono cambiati, continuo a ribadirlo. Ovviamente molti colleghi non sono d’accordo. A me non interessa, non ho nulla da nascondere anzi sono contento se i miei studenti acquisiscono la conoscenza con questi nuovi sistemi.

Lo studio deve essere un piacere, non un obbligo!

Invece la scuola sta diventando sempre di più un luogo dove si determinano scenari quasi inquetanti, uno stato di polizia che deve controllare cosa fa un insegnante e soprattutto che rapporti ha instaurato con i genitori e gli studenti.

Marco Rusconi, presidente dell’Ass. nazionali presidi del Lazio (come scrive la giornalista Flavia Amabile della Stampa) chiede l’introduzione di «un codice deontologico» a livello nazionale che delinei «i parametri organizzativi della governance» e «le direttrici etico-professionali» che si intende seguire nella scuola unite all’adozione di un «trasparente sistema di valutazione del contesto scolastico».

La ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli ha avvertito che «chi viene giudicato colpevole, dopo il procedimento disciplinare, sarà comunque licenziato». Una norma in questo senso potrebbe essere inserita nel nuovo contratto per la scuola.

Ovviamente non tutti i dirigenti scolastici sono d’accordo con questo sistema e mi auguro che facciano sentire la propria voce al Miur. Questo modo di limitare la libertà di comunicazione è tremendamente reazionario e fascista!

Pensate il mostro normativo che produrrà il prossimo contratto. Mi auguro che non venga firmato dai sindacati.

La performance, le punizioni, i controlli saranno elementi fondamentali mentre ci inviano a fare i corsi per diventare animatori digitali.

Come dire… cari docenti impegnatevi a diventare al più presto esperti di nuove tecnologie ma attenzione usatele solo a scuola, se gli studenti vi contattano di pomeriggio tramite il social network non rispondete, potreste essere licenziati oltre a diventare ciechi e sordi…

Paolo Latella