
Siamo agli sgoccioli dell’esame di Maturità e più che in altri momenti dell’anno scolastico gli addetti ai lavori – docenti, educatori, pedagoghi – danno consigli, suggerimenti sullo studio, sul suo valore, sulla sua importanza.
Lo scopo, di per sé lodevole, è quello di creare nei giovani l’interesse e l’amore per lo studio solo ed esclusivamente per il piacere di apprendere. Un’intenzione di per sé nobilissima, ma difficilissima da realizzare, dove i successi sono più unici che rari. In anni e anni da me passati nel mondo della scuola, prima come studente poi come insegnante, io non ho mai mai mai trovato nessun compagno o allievo che studiasse solo perché gli piaceva farlo e voleva imparare solo per il gusto di sapere.
Neanch’io – onestamente parlando – sono mai stato mosso da questa unica motivazione. Anche, ma non solo.
Lo studio è animato (soprattutto?) da altri fattori: si studia affinché un giorno i contenuti appresi consentano di esercitare una professione ben retribuita e/o per la soddisfazione di conseguire buoni voti e/o perché si è obbligati da padre e madre a stare sui libri.
Curiosità: un mio compagno delle elementari mi disse una volta: “io studio perché così poi partecipo ai quiz televisivi e guadagno tanti soldi (erano appena finiti i tempi di “Lascia o raddoppia”).
Morale: l’opera di convinzione nei confronti dello studio dovrebbe basarsi su argomentazioni più concrete, che saranno magari meno nobili e sublimi ma molto più efficaci.
Daniele Orla