Home Politica scolastica Ma cosa ha detto davvero Stefania Giannini?

Ma cosa ha detto davvero Stefania Giannini?

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Al Meeting di Rimini 2014 il Ministro all’Istruzione Stefania Giannini sembra non tradire le dichiarazioni di questi mesi e sembra delineare gradualmente lo scenario che auspichiamo sia svelato per intero nel tanto atteso CdM del 29 agosto, dove toccherà al Premier Renzi stupirci come ha preannunciato. Riprendiamo alcuni dei passaggi-chiave.

Una riflessione sulle “periferie”: «E’ periferico tutto ciò che eccede il centro, lo supera e se ne distanzia. In questo spazio che avanza, sono relegati anche i gruppi sfavoriti dallo status quo, quelli che sono esclusi dalle decisioni e svantaggiati dalle traiettorie di crescita economica e di progresso. Lontano da chi decide. Le terre e i popoli che non sono toccati da queste traiettorie diventano periferia geopolitica, restano ai bordi dell’agenda politica globale».  

La scuola, appunto, lo sa bene: bistrattata, ingannata, tradita; è una periferia dell’abbandono. La speranza: che sia realmente ritornata ad occupare l’agenda politica e soprattutto che chi è chiamato a governarci abbia imparato ad ascoltare le famiglie, gli studenti, i docenti, proprio loro che – il Premier ha sostenuto – potranno cambiare la scuola. Con un compito a casa per chi governa: «Ecco il nostro compito oggi, nel ripensare il ruolo, gli strumenti e i metodi della scuola italiana: cogliere la veritas filia temporis che si affaccia dentro le situazioni concrete. Quindi far sì che l’affetto che una famiglia riversa su un figlio che va a scuola sia remunerato, restituendo alla famiglia una persona matura, padrona di conoscenze che lo abilitano a stare al mondo».

Finalmente la famiglia sembra recuperare il suo ruolo di cellula fondante la società, con una responsabilità educativa ed una conseguente naturale libertà di scelta educativa che, oltre ad esserle “riconosciuta”, ora le venga “garantita”, considerato che ha anche già pagato le tasse.

Il Ministro sembra aver chiaro il pensiero liberante dei nostri Costituenti, dichiarandolo con la forza che nasce dalle certezze maturate di Gramsci e del padre della Legge 62/00: «La nostra scuola, quella della Costituzione, è una società che sa andare in periferia e che conosce a menadito le periferie esistenziali e sa che avere per compagno di banco un ragazzo autistico, o la figlia di un profugo che ha fatto il Sahara a piedi per fuggire la guerra è il modo migliore per crescere e per meritare un’istruzione che guarda alla crescita della persona. E perché la scuola è scuola sempre e solo se è “repubblicana” nel senso dei compiti della Repubblica dell’art. 3: organizzata dallo Stato o dall’iniziativa privata, essa viene misurata per come si colloca davanti all’ultimo e all’ultimo vuole aprire una via verso il futuro di riscatto e un’opportunità di emergere per le sue qualità. Su questo deve essere giudicata».

Bene allora dovremmo vedere una risposta al dramma di una famiglia di onesti e modesti lavoratori che vorrebbe scegliere e non può, ancor più alla famiglia con il figlio diversamente abile, che per esercitare il proprio diritto alla libertà di scelta educativa vorrebbe iscriverlo in una scuola pubblica paritaria che per assicurare il docente di sostegno deve farlo pagare alle altre famiglie… o chiudere. E allora addio diritto alla libertà di scelta. E’ vivo il ricordo drammatico del Decreto 144/13 che esclude 11.878 bambini diversamente abili che frequentano le scuole pubbliche paritarie. Che sia il tempo del riscatto? Questo per ora non è dato saperlo, ma arriva una prima risposta: «Lo dico in maniera esplicita.

Per troppo tempo abbiamo pensato che il finanziamento della scuola paritaria potesse essere preteso, negato, concesso, negoziato, in una logica simbolico-elettiva, che disegnava i confini fra amici e nemici e individuava chi sta con la famiglia e chi sta con lo Stato. Mentre, come vediamo oggi dal profondo di questa crisi, la famiglia ha bisogno dello Stato per non affondare e viceversa.» Ci resta la consolazione che lungo questi mesi la questione è stata ricollocata in una posizione di diritto in cui, chiariti e ripuliti da pregiudizi i termini “servizio pubblico”, “libertà di insegnamento” e “libertà di scelta educativa”, “pluralità di offerta formativa” è stato favorito il corretto ordine delle cose: la famiglia alla base del welfare ne deve influenzare le logiche e il futuro dipende dalla formazione dei giovani, caratterizzata dalla libertà di scelta educativa in un pluralismo educativo garante lo Stato. Da qui si riparta …

Il Ministro conferma: «Questo Governo ha le idee chiare sull’istruzione, sul ruolo che le spetta nell’agenda politica. E questa consapevolezza si sta trasformando in atti concreti, nei tempi rapidi a cui l’emergenza della crisi e il bisogno di concretezza espresso dalla società ci vincolano». Da qui la scadenza del CdM 29 agosto.

«Siamo partiti, doverosamente, da un’opera di rammendo fisico delle nostre scuole: un piano straordinario di piccoli e grandi interventi che puntano a rimettere in sicurezza e a ridare dignità ai luoghi dell’insegnamento in tutta Italia. Da alcuni mesi siamo al lavoro sulla parte decisiva del Progetto scuola, quella che riguarda l’infrastruttura umana e immateriale: la governance, il personale, i contenuti ed i metodi dell’insegnamento, l’autonomia degli istituti». Linee che trovano conferma, come ieri si è scritto in merito.

Gli interventi sono dunque indirizzati a raggiungere un sistema educativo:

1) «che potenzi il diritto allo studio»; dunque, seppur in modo graduale (non ci aspettiamo azioni miracolistiche ma neanche eterne), uno studente che ha il diritto di scelta allo studio potrà esercitarlo in un sistema scolastico che ormai abbiamo capito essere pluralista; altrimenti che diritto di scelta sarebbe senza scelta?

2) «che restituisca professionalità agli insegnanti e ne programmi la formazione e l’aggiornamento»,

3) «che curi definitivamente la piaga del precariato»,

4) «che dia competenze adeguate alle mutate condizioni economiche, sociali e culturali». Questo progetto è «il motore principale del riscatto sociale di cui tutto il Paese ha urgente bisogno per non restare ultimo». Il tutto nella convinzione che è necessaria  «la cultura del merito contro le molte e facili retoriche del merito». Per estirpare il patto diabolico: stipendio scarso ma garantito, qualunque cosa tu faccia o non faccia.

Sul come sarà possibile tutto ciò, il Ministro sembra risponderci che per fare tutto questo serve  «un confronto a viso aperto, misurato sul fatto che esistono problemi che non si risolvono entro il mese. Serve allora che tutta la società italiana, insegnanti e studenti in primis, e poi le famiglie e le amministrazioni locali, le imprese e gli intellettuali si mobilitino e diano il proprio contributo di riflessione e di azione».

Che sia un processo lungo è noto, che domandi un confronto con le parti coinvolte è auspicabile, che non ci sia tanto tempo è un allarme già lanciato e allora si agisca sul breve periodo con interventi efficaci perché capaci di aprire alle soluzioni di lungo periodo. Qui si inserisce la proposta di far parlare il costo standard per ogni allievo della scuola pubblica italiana, statale e paritaria. E’ questo l’“anello mancante” alla possibilità di ristrutturazione del sistema scolastico pubblico.

Giungeremo finalmente ad un risultato armonico:

1) la dignità restituita ai genitori di esercitare la propria responsabilità educativa sui figli, un ruolo ritrovato e una libertà agita;

2) una buona e necessaria concorrenza fra le scuole sotto lo sguardo garante dello Stato, come previsto dalla Legge sull’Autonomia;

3) l’innalzamento del livello di qualità del sistema scolastico italiano con la naturale fine dei diplomifici e delle scuole che non fanno onore ad un SNI d’eccellenza quale l’Italia deve perseguire per i propri cittadini;

4) la valorizzazione dei docenti e il riconoscimento del merito, come risorsa insostituibile per la scuola e la società;

5) l’abbassamento dei costi e la destinazione ad altri scopi di ciò che era sprecato.