Home I lettori ci scrivono Ma davvero i problemi sono gel, mascherine e distanziamento?

Ma davvero i problemi sono gel, mascherine e distanziamento?

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Ci si sta indignando per le foto postate di bambini immobili in spazi confinati nell’attesa dei genitori, così come per i racconti di ragazzi costretti a tenere la mascherina tutta mattina.
Giustamente, ma è questo il vero punto dolente?

Ciò che sta spuntando come un vulcano in piena eruzione in questi giorni è ben altro. La scuola ha seppellito per decenni tante mancanze educative, mentre ha coltivato il bisogno sotterraneo di conservazione sociale e competizione economica. Una buccia pesante è diventata tappo sul cratere, ma il magma ha continuato ad accumularsi.
E cosa c’è nel vulcano apparentemente quieto? Guardiamo in retrospettiva.

Se siamo arrivati alla riapertura delle scuole ad attivarci solo per sostituire degli arredi, senza riassestare l’intera impostazione scolastica e accogliere degnamente gli alunni, è perché già prima si lasciavano classi pollaio e strutture statiche simili a carceri, senza badare a emozioni e bisogni, bellezza e flessibilità. Se è stato deciso di impedire scambi ravvicinati tra bambini, è perché già prima si assolutizzava un aspetto piuttosto che un altro (razionalità su corpo e relazioni). Se la scuola è iniziata con un sacco di cattedre vacanti, soprattutto di sostegno, se sono ignorati e sottopagati gli assistenti educativi, è perché già prima si facevano le nomine troppo tardi e non si consideravano i diritti dei disabili e degli educatori. Se gli insegnanti si attaccano ancor più a circolari e registri così come gli alunni alle striminzite pause d’ossigeno, entrambi oberati di lavoro e voti poco utili per la vita quotidiana, già prima si sentivano schiacciati dalla didattica che sacrifica l’educazione alla vita.
Se i dirigenti sono in affanno, i collaboratori scolastici si sentono di serie B, i genitori puntano i piedi o delegano del tutto, già prima qualcuno si sentiva iper-responsabilizzato e qualcun altro per nulla coinvolto. Se ci sono numeri crescenti di bambini diagnosticati e di insegnanti in burnout, se tra aule e corridori si consumano violenze verbali e fisiche, rabbie e frustrazioni, ansie e angosce, significa che c’è un malessere diffuso che non si vuole vedere. Se siamo arrivati fin qui è perchè tutto ciò già soggiaceva silente.

Insomma, la scuola è un serbatoio in pressione. E da tempo, su molti punti.
Quindi “grazie covid” perché l’hai portata in prima pagina! Le disposizioni attuali stanno creando difficoltà pratiche e incongruenze educative, oggi pare più grave la situazione, ma in realtà sono solo più accesi i sintomi e i riflettori. Si è solo aggiunta lava su lava.
L’assillo per la salute fisica è forse il più eclatante lampeggiante che sta rendendo la scuola invivibile, o almeno poco godibile. Lo era già prima, ma ora vediamo meglio…che fare?

Tornare al vulcano intero. Non fermiamoci a questa sbuffata. Andiamo a forare il tappo del vulcano.

Ripartiamo dalla costruzione di approcci pedagogici nuovi in direzione di una comunità educante consapevole e autodeterminata. Facciamo defluire il magma almeno verso tre canali: partecipazione allargata, “esperienzialità” e sensibilità educativa.

La PARTECIPAZIONE ALLARGATA attinge dalle assemblee cittadine democratiche e dai percorsi sperimentali di gruppi comunitari in istruzione parentale. Tutti gli attori della scuola, politici e cittadini compresi hanno bisogno di essere ascoltati e avvicinati perché siamo interconnessi. Certo responsabilità e scelte spettano ad alcuni, ma possono essere redistribuite, almeno meglio comprese e discusse, assunte in forme nuove. Si possono avanzare proposte, scoprire agganci e soluzioni inedite. Così che le decisioni non siano calate dall’alto, ma siano digerite e compartecipate, anche diversificate per classi o istituti.

L’ESPERIENZIALITA’ centrale negli approcci dell’outdoor education e del learning-by-doing delle scuole attive. Perché la conoscenza di sé e del mondo passa per mani e piedi, impastati con gli elementi naturali, stimolati dalla modernità e dai luoghi che brulicano di storie, da incontri e scoperte dirette. Bambini e ragazzi apprendono quanto si conquistano ciò che attraversano, lo possono riportare alla loro vita. Allora offriamo loro esperienze vive e creiamo condizioni mobili per intercettare i loro istinti d’esplorazione e ricerca. La professione stessa dell’insegnante può riprender guizzo.

La sensibilità educativa si affina con l’esperienza, gli studi delle neuroscienze sul legame tra emozioni e apprendimenti, agli approcci della psicologia del profondo, della comunicazione non violenta e del “conflitto creativo”. Perché è quando ci entusiasmiamo e proviamo a fare insieme agli altri che ci sentiamo motivati, mastichiamo e creiamo cultura. Perché la capacità di cogliere stati interiori di sé e dell’altro permette di trovare modalità rispettose per affrontare le difficoltà. È sensibilità emotiva e introspettiva perciò è fondamentale dedicarsi all’autoeducazione. Così le “bandierine” delle emozioni e dei copioni nella nostra storia, simili a quelle altrui, diventano mappe per una serena convivenza.
Possiamo imparare a prenderci cura di noi, delle relazioni, del contesto, dove stiamo per molte ore al giorno.

Dovremmo porci decine di domande esplorative e maieutiche più che risposte appiattite sull’istante che chiama al “meno peggio”. Quale scuola vogliamo davvero? Occorre rifarsi a una regia fluida, che nasce dallo scambio. Per questo non ci vogliono tecnici, ma pedagogisti, filosofi, antropologi per riprendere le fila delle visioni sottostanti ai progetti formativi, alle scelte organizzative, alle modalità relazionali o didattiche. Ma anche facilitatori alla comunicazione per avviare processi decisionali condivisi. Architetti e urbanisti per ripensare la scuola nel territorio, psicologi che abbiano a cuore il benessere di tutti, ricercatori delle scienze umane per approfondire dinamiche varie.

Diverse competenze per rimettere al centro l’educazione, che tiene insieme emozioni e vissuti di tutti gli attori in campo, gli aspetti normativi e culturali, contestuali e sociali. Usiamo l’autonomia scolastica in questa direzione: un’occasione per non subire la scuola com’è da troppo tempo. Non è già tutto fatto e deciso. Abbiamo una scuola da vivere e finalmente cambiare. La sfida è allettante, ci sono già belle energie in circolo!

Monica Gemma