Home Ordinamento scolastico Niente sconto fiscale se l’attività rende agli Istituti religiosi

Niente sconto fiscale se l’attività rende agli Istituti religiosi

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Solo se gli enti ecclesiastici svolgono un’attività educativa senza connotazioni commerciali è possibile l’esazione fiscale e lo stesso vale quando le prestazioni di insegnamento non perseguono un obiettivo strettamente religioso.

Lo scrive Il Sole 24 Ore che riporta la sentenza dell’Avvocato generale della Corte di giustizia dell’Unione europea, Kokott, nelle conclusioni depositate nella causa C-74/16.

Tutto è nato da una controversia tra un istituto della Chiesa cattolica e il comune di Getafe in Spagna e quindi l’azione dinanzi ai giudici spagnoli che, prima di pronunciarsi, hanno chiamato in aiuto i giudici Ue per alcune questioni interpretative in materia di aiuti di Stato.

 

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Posto che non è da escludere che singole attività religiose possano essere considerate di carattere economico, il giudice europeo sostiene che è necessario, quindi, analizzare le singole attività dell’ente. Se l’ente religioso gestisce i propri istituti con un approccio commerciale «ed eroga le attività didattiche ivi tenute essenzialmente quale controprestazione per i contributi economici e le altre prestazioni pecuniariamente quantificabili degli scolari e dei loro genitori» vuol dire che l’ente eroga servizi e, quindi, svolge un’attività economica.

Lo scenario cambia se l’ente religioso gestisce l’istituto scolastico non con modalità commerciali ma nell’ambito sociale, culturale ed educativo «non ricorrendo o ricorrendo solo marginalmente per il finanziamento delle lezioni ai contributi degli scolari o dei loro genitori». In quest’ultima ipotesi, scrive Il Sole 24 Ore, manca l’attività economica e, quindi, la normativa Ue sulla libera concorrenza non va applicata. Di conseguenza, l’esenzione fiscale non è un aiuto di Stato e può essere concessa all’ente ecclesiastico. E questo anche quando l’attività svolta negli edifici non persegua un obiettivo strettamente religioso, proprio perché è sufficiente che con i servizi didattici l’ente persegua realmente un obiettivo sociale, culturale ed educativo.

Per l’Avvocato generale, spetta poi ai giudici nazionali verificare, per l’ente che svolge una pluralità di servizi didattici, quale attività è realizzata senza motivi commerciali nell’edificio per il quale è chiesta l’esenzione, tenendo conto del numero di classi e di ore di lezione, del numero di scolari e di insegnanti impegnati nelle diverse attività, nonché del budget medio annuale che la scuola destina alle diverse attività didattiche. Se l’attività imprenditoriale è marginale è giusto negare che si tratti di attività economica lasciando spazio alle esenzioni.