Home Politica scolastica Occuparsi solo di Scuola aiuta i docenti a comprendere la politica scolastica?

Occuparsi solo di Scuola aiuta i docenti a comprendere la politica scolastica?

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Il disagio che gli insegnanti avvertono nella Scuola di oggi è riconducibile — lo abbiamo già scritto più volte — ad una politica precisa e coerente in materia scolastica, praticata presso di noi da circa un trentennio, ed in linea con precise direttive europee e internazionali. Chiediamoci allora: è giusto sacrificare la tradizione scolastica italiana — che ha contribuito a rendere grande il Paese fino agli anni ‘80 — ad una politica sovranazionale decisa fuori dai nostri confini? Sarebbe ragionevole farlo, forse, se questa politica sovranazionale fosse fedele ai principi che ispirarono i padri fondatori dell’Europa intesa come patria comune: ma lo è veramente? O non è piuttosto informata a principi economici che, dagli anni ‘70 in poi, hanno gradualmente sostituito gli ideali originari in nome dell’ideologia neoliberistica (che ha determinato la globalizzazione), e sulla base di interessi economici oligarchici, che con gli ideali originari nulla hanno in comune? Ed è utile ai docenti disinteressarsi di tutto ciò, chiudendosi nelle proprie aule senza porsi altro problema se non quello dello svolgimento dei programmi ministeriali (o dell’elaborazione di “progetti”)?

Europa unita, ma anche democratica, giusta, libera

L’idea di un’Europa unita era già venuta, dopo la Prima Guerra Mondiale, ad un filosofo e politico austriaco, il conte Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi (1894-1972). Nel suo libro “Paneuropa”, tuttavia, egli aveva teorizzato un’unione europea guidata da tecnocrati: idea che aveva infatti trovato consensi tra i banchieri.

Diverso era lo spirito di Ventotene (come abbiamo già visto in un precedente articolo). Spinelli e Rossi guardavano lontano, ad una società più giusta, democratica, libera. Ernesto Rossi (1897-1967), in particolare, poneva l’accento sulla necessità di giustizia sociale nello Stato europeo futuro.

«Un’Europa che emancipi e umanizzi»

La terza parte del “Manifesto di Ventotene”, quella intitolata “Compiti del dopoguerra. La riforma della società”, è soprattutto opera sua. Sue, probabilmente, le parole seguenti: «Un’Europa libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna, di cui l’era totalitaria rappresenta un arresto. La fine di questa era sarà riprendere immediatamente in pieno il processo storico contro la disuguaglianza ed i privilegi sociali. Tutte le vecchie istituzioni conservatrici che ne impedivano l’attuazione, saranno crollanti o crollate, e questa loro crisi dovrà essere sfruttata con coraggio e decisione. La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni più umane di vita». Un’Europa socialista, dunque, e ben diversa da quella auspicata — come abbiamo già visto in precedenti articoli — da JP Morgan e realizzata dai governanti europei di questi nostri anni sventurati.

Imprigionato per queste idee

Dopo aver combattuto come volontario nella Prima Guerra Mondiale, Ernesto Rossi si era avvicinato per breve tempo al nascente movimento fascista. Poi però aveva conosciuto Gaetano Salvemini: il quale, come lo stesso Rossi ammise, gli «ripulì il cervello da tutti i sottoprodotti della passione suscitata dalla bestialità dei fascisti e dalla menzogna della propaganda governativa». Nel 1925, insieme ad altri seguaci di Salvemini (tra cui Carlo Rosselli), aveva fondato “Non mollare”, giornale antifascista clandestino. Divenuto dirigente di Giustizia e Libertà, Rossi era stato infine condannato a 20 anni di detenzione. I primi nove se li era fatti in carcere; altri quattro nel confino di Ventotene.

«Le aziende grandi e strategiche devono essere pubbliche»

Le sue idee, recepite nel “Manifesto di Ventotene”, appaiono oggi profetiche: «Non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo un’attività necessariamente monopolistica, sono in condizioni di sfruttare la massa dei consumatori (ad esempio le industrie elettriche); le imprese che si vogliono mantenere in vita per ragioni di interesse collettivo, ma che per reggersi hanno bisogno di dazi protettivi, sussidi, ordinazioni di favore, ecc. (l’esempio più notevole di questo tipo di industrie sono in Italia ora le industrie siderurgiche); e le imprese che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai occupati, o per l’importanza del settore che dominano, possono ricattare gli organi dello stato imponendo la politica per loro più vantaggiosa (es. industrie minerarie, grandi istituti bancari, industrie degli armamenti). È questo il campo in cui si dovrà procedere senz’altro a nazionalizzazioni su scala vastissima, senza alcun riguardo per i diritti acquisiti». Viene in mente la svendita dei “gioielli” dello Stato italiano realizzata negli anni ’90, dopo la quale è cominciato il declino del nostro Paese: il contrario di quanto il “Manifesto di Ventotene” auspicava.

Possiamo immaginare cosa direbbero oggi Ernesto Rossi e Altiero Spinelli constatando lo strapotere delle grandi industrie, dei poteri finanziari e delle multinazionali, che proprio attraverso le istituzioni comunitarie europee assoggettano ai propri interessi le politiche dei governi nazionali (e puntano alla privatizzazione persino delle risorse idriche, della Sanità, della Scuola e dell’Università!).

«L’imparzialità è un sogno, la probità è un dovere»

Gaetano Salvemini (1873-1957), docente universitario, storico, giornalista — nonché convinto antifascista, socialista, meridionalista — aveva insegnato ai propri discepoli e allievi il rigore del pensiero laico. Egli sosteneva che «L’imparzialità è un sogno, la probità è un dovere»: l’onestà intellettuale come unica possibilità di rimediare alla inevitabile parzialità del proprio modo di vedere i fatti. Una lezione per tutti quanti  oggi dogmaticamente considerano — per esempio — l’attuale imperante modello della scuola-azienda come unico possibile.

Vedremo in un prossimo articolo cosa pensava della Scuola questo grandissimo pensatore, che ebbe come allievi personalità del calibro di Camillo Berneri, Carlo Rosselli ed Ernesto Rossi.