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Paritarie e costo standard di sostenibilità, un problema da risolvere

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Sarà in libreria il prossimo 27 ottobre un interessante saggio sulla scuola e le sue complicanze fra pubblico e privato, fra diritto all’istruzione e libertà educativa; elementi che fra l’altro sono diventati “steccati ideologici” fra chi pensa che la libertà dell’uomo si esercita fra variegati mondi culturali, quale è appunto la “mission” della scuola pubblica, che arruola i propri insegnanti da graduatorie generaliste, e la libertà di scelta dei genitori di iscrivere i propri figli negli istituti più conformi alle proprie visioni del mondo.

Nasce da queste premesse l’attualissimo libro: “Il diritto di apprendere. Nuove linee di investimento per un sistema integrato” di Monia Alfieri (nella foto), Marco Grumo e Maria Chiara Parola, per i tipi della: G. Giappichelli Editori di Torino, e reso più sostanzioso dalla prefazione della ministra dell’istruzione, Stefania Giannini.

Il libro infatti si apre con una sorta di excursus storico, a cura di Maria Chiara Parola, proprio sul diritto di scelta educativa dei genitori: dai precettori greci al medioevo, dal Rinascimento al codice napoleonico e all’Unità d’Italia per arrivare al Ventennio fascista e, attraverso la scuola della Repubblica, ai giorni nostri.

Un esame puntiglioso e documentato, non solo della legislazione scolastica, ma anche degli indirizzi didattici e culturali che si sono in particolare succeduti nell’ultimo ventennio, ma con lo sguardo sempre rivolto alla discriminate “ideologica” fra, giusti gli articoli della Costituzione, il “dovere” e il “diritto” dei genitori a esercitare la loro responsabilità nell’espletamento delle funzioni di accudimento, istruzione, formazione dei figli in funzione di una pluralità di offerta formativa, che, chiosa l’autrice, “in Italia non avviene”.

Ma allora il “Il diritto all’Istruzione, è un diritto inviolabile dell’uomo”?

A queste domanda risponde Monia Alfieri nel secondo capitolo, riportando in primo piano, non solo i diritti costituzionali della Repubblica, ma anche quelli sanciti dalla “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata dalle Nazioni Unite il 10 febbraio 1948: “I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai figli”.

E per arrivare a questo obiettivo, a un principio cioè nel quale possa “esistere una reale possibilità di scelta, occorre che tutte le varie scuole siano costituzionalmente consentite; pertanto anche la scuola non statale deve essere salvaguardata e il cittadino deve essere posto nella condizione di potervi accedere liberamente”. Ma in Italia, sottolinea Alfieri, “pur riconoscendo alla famiglia il diritto alla libertà di scelta educativa in un sistema policentrico, non assicura l’esercizio reale di tale diritto. Le ragioni che hanno concorso a determinare simile situazione sono molteplici: alcune storiche, altre frutto evidente di un potere incapace di liberarsi dall’ansia dell’elettorato comodo e dalla conta dei voti”.

Le conseguenze:

a) il progressivo collasso del pluralismo educativo;

b) l’appesantimento dei conti pubblici; c) un welfare sempre più in difficoltà a sostenere la politica dello Stato Gestore che fra l’altro collassa sul principio di una spending review a carico dei cittadini che pagano le tasse per la scuola pubblica statale, ma contestualmente le pagano per il servizio pubblico della scuola paritaria.

Ma la mancanza di libertà è a carico, spiega Alfieri, anche “dei docenti della scuola paritaria, laureati e abilitati, e spesso anche vincitori di concorso, ma di fatto sono considerati docenti di serie B.

Interessante appare nel libro il raffronto con le altre realtà educative d’Europa, le cui scuole paritarie ricevono finanziamenti pubblici (da governo, enti dipartimentali, locali, regionali, statali e nazionali) che coprono più dell’80% dei costi annuali in: Belgio, Finlandia, Germania, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Repubblica Slovacca, Slovenia, Svezia, Ungheria. Particolarmente in Finlandia, Paesi Bassi e Svezia il finanziamento è pressoché totale. Il finanziamento copre più del 60% dei costi in Danimarca, Estonia, Repubblica Ceca, Spagna; più del 40% in Polonia, Portogallo, Svizzera. È invece inferiore al 40% in Italia, al 20% in Grecia.

E così l’Alfieri ritorna sulla disparità di trattamento rispetto all’allievo che frequenta la scuola pubblica paritaria, che, pur facendo parte del medesimo Sistema scolastico di istruzione, risulta “grave”, “come segue: a) a fronte di € 6.355,33 per un bambino della Scuola dell’Infanzia Statale, le risorse destinate al bambino della scuola dell’infanzia paritaria sono di soli € 540,19; b) a fronte di € 6.703,40 per un allievo della scuola primaria statale, si destinano € 814,26 per la spesa di un allievo che frequenta la scuola primaria paritaria; c) a fronte di € 7.413,67 per un allievo della scuola secondaria di I grado, si destinano € 108,51 per la spesa di un allievo che sceglie la scuola secondaria di I grado, ma paritaria; d) ben peggiore – semmai fosse possibile – la sorte del giovane che sceglie la scuola secondaria di II grado paritaria: troverà destinati € 50,49 dal medesimo Stato che destina € 6.919,20 per sostenere la spesa di un giovane coetaneo che sceglie però la scuola pubblica statale.

Emerge pertanto una discriminante, che vede costretta la famiglia, dopo aver pagato le tasse, a dover intervenire una seconda volta con il pagamento della retta per colmare il gap di risorse non erogate da parte dello Stato Italiano. Per altro, le rette versate dalle famiglie che scelgono la scuola pubblica paritaria sono di gran lunga inferiori alla corrispondente spesa pubblica che lo Stato Italiano affronta per un allievo della scuola pubblica statale. Un dato che lungo questi anni è emerso in svariate occasioni”.

Inoltre nel 2011 la spesa in Italia per studente per la scuola secondaria di I grado ($ 8.686) e Secondaria di II grado ($ 8519) è inferiore di circa il 10% rispetto alla media OCSE ($ 9.377 e $ 9.506 rispettivamente) e alla media UE per i 21 Paesi appartenenti all’OCSE ($ 9.795 e $ 9.457 rispettivamente). Mentre la spesa annuale per uno studente della Scuola Primaria in Italia è stata in linea con la media OCSE e UE.

Ed ecco la proposta, secondo Alfieri:

 

1) l’individuazione del costo standard per allievo nelle forme che si riterranno più adatte al sistema italiano;

2) la possibilità di scegliere, per la famiglia, fra buona scuola pubblica statale e buona scuola pubblica paritaria.

 

Risultati:

 

a) una buona e necessaria concorrenza fra le scuole sotto lo sguardo garante dello Stato;

b) l’innalzamento del livello di qualità del sistema scolastico italiano con la naturale fine dei “diplomifici” e delle scuole che non fanno onore ad un SNI d’eccellenza, quale l’Italia deve perseguire per i propri cittadini;

c) la valorizzazione dei docenti e il riconoscimento del merito, come risorsa insostituibile per la scuola e la società;

d) l’abbassamento dei costi e la destinazione dell’economia ad altri scopi.

 

Il capitolo terzo, a cura di Marco Grumo pone l’accento sulle “Linee-guida per la costruzione del parametro di finanziamento a costo standard di sostenibilità nella scuola statale e paritaria, e dove si tiene conto delle sfide che la società globalizzata coi flussi migratori, le crisi finanziarie, le complessità dei bisogni sociali delle famiglie pongono sia all’istruzione pubblica e sia privata.

“Per molte realtà scolastiche si impone oggi un vero e proprio cambiamento sostanziale. Un cambiamento radicale del modo di condurre le attività, e non semplicemente di qualche aspetto strutturale-organizzativo”, spiega Grumo.

 “In molti casi si tratta di compiere un vero e proprio “salto culturale”, da realizzarsi tra l’altro anche abbastanza velocemente, visti i tempi di evoluzione del contesto.

Il concetto di “amministrazione” deve essere completato da quello di “gestione”: non si tratta di un passaggio solamente nominalistico, ma di un cambiamento di sostanza nella conduzione delle organizzazioni.

Le scuole stanno passando infatti sempre più velocemente da un ambiente iper-protetto a uno semi-protetto, che diverrà sempre più ipo-protetto.

Corrispondentemente, la loro performance educativa, sociale ed economica, da variabile sostanzialmente indipendente, diventerà sempre più una variabile dipendente da una molteplicità di fattori esogeni, ma soprattutto endogeni”.

L’impresa scuola insomma non si prefigge “certamente al concetto di profitto e nemmeno a una prevalenza della logica economica sulla finalità scolastica, bensì il concetto di imprenditorialità fa riferimento alla capacità dell’organizzazione (e del suo personale) di intravedere prima degli altri i bisogni delle persone e, prima delle altre organizzazioni (e meglio delle altre), ideare e realizzare risposte concrete, economicamente sostenibili e soddisfacenti, in grado di soddisfare tali bisogni.

Le organizzazioni imprenditoriali sono di fatto realtà creative, che progettano costantemente, che “rompono” gli equilibri inerziali, spingendo continuamente l’organizzazione verso il nuovo.

Singolare tuttavia pare l’analisi sulla possibilità di “adottare l’esperienza della sanità anche nel settore scuola, sia quella statale che quella non statale.

Sul piano operativo, si tratta di identificare un parametro “costo standard”, anche per la scuola italiana, e di iniziare a impiegarlo, in via sperimentale, come il parametro fondamentale per il finanziamento della scuola statale e paritaria. Da qui l’esigenza di implementare “un costo standard virtuoso e “di sostenibilità” per le scuole pubbliche italiane, statali e paritarie”

Conclude questo libro, che soprattutto i sostenitori (a prescindere!) della scuola pubblica devono leggere, proprio perché pone analisi e studi assai puntuali, il Cap. IV curato a quattro mani da Anna Monia Alfieri e Marco Grumo dal programmatico titolo: Un primo studio di simulazione in tema di determinazione del parametro di finanziamento “costo standard di sostenibilità” da applicare alle scuole pubbliche italiane (statali e paritarie).

Capitolo cruciale e forse il cuore stesso dell’intero volume perché vengono riportate tabelle e analisi, raffronti e comparazioni sui “risultati di un primo studio condotto: su un campione di 16 scuole italiane paritarie di diverso grado analizzate sotto il profilo dei processi didattici, del modello gestionale adottato e dei conti di bilancio; un campione di 5 scuole statali di cui sono stati analizzati i corrispondenti bilanci annuali. In particolare sono stati calcolati i costi standard di sostenibilità relativamente alle seguenti scuole (oggetto di osservazione diretta): scuola dell’infanzia; scuola primaria; scuola secondaria di i grado; scuola secondaria di II grado: liceo scientifico; scuola secondaria di II grado: liceo classico; scuola secondaria di II grado: liceo linguistico; scuola secondaria di II grado: istituto tecnico (turistico)”.

La scuola professionale non è stata oggetto di analisi, poiché necessita di ragionamenti specifici e sono stati pure esclusi nel costo standard annuo di sostenibilità calcolato (e quindi potenzialmente finanziato dallo Stato alla scuola): il costo dei buoni pasto per fruire del pranzo a scuola; il costo della frequenza delle attività extra-curriculari; il costo del trasporto dello studente da e verso la scuola; gli eventuali costi di costruzione di una nuova scuola; il costo degli interventi di manutenzione straordinaria (eccedenti lo standard).

Da studiare attentamente questo libro, anche perché sembra una sorta di cavallo di Troia pronto a diroccare le mura delle cittadelle fortificate dei sostenitori della scuola pubblica che, attaccata anche da legislazioni farraginose e da riforme che l’appiattiscono verso il basso, rischia un confronto che la vede perdente non solo sui costi, ma anche sull’offerta formativa, se si escludono certamente i diplomifici che però nulla hanno a che fare con la scuola raccontata dai tre autori.