Home I lettori ci scrivono Pas per i dottori di ricerca: solo false speranze?

Pas per i dottori di ricerca: solo false speranze?

CONDIVIDI
La mancanza di un meccanismo di reclutamento regolare nell’università, nella scuola e nel resto della PA comporta la creazione di nuovi precari che vanno a sommarsi ai vecchi e consentono solo soluzioni emergenziali e di ricaduta immediata con la totale assenza di una pianificazione a lungo termine.

In particolare ciò porterà, anche per il prossimo anno scolastico, la mancata copertura di tutte le cattedre libere e vacanti. In alcune regioni ci sono classi di concorso in cui, essendo già esaurite GaE, GM2016 e GMRE2018, si dovrà ricorrere a supplenti anche per posti che si sarebbero dovuti destinare a nuove immissioni in ruolo.

Questo abuso del precariato non solo è nocivo per gli aspiranti docenti, ma in particolar modo anche per gli studenti e le famiglie, in quanto comporterà ritardi nell’avvio regolare dell’anno scolastico.

L’intesa tra Miur e sindacati ha introdotto due novità che si aggiungono al concorso ordinario disciplinato dal D.Lgs. 59/2017 e modificato dalla Legge di Bilancio 2019:

1) un PAS (percorso abilitante speciale), percorso universitario annuale a pagamento al termine del quale si ottiene il titolo di abilitazione, che consente l’iscrizione nella II fascia delle GI. Ciò non implica automaticamente l’immissione in ruolo, per la quale si dovrà comunque superare un concorso selettivo;

2) un concorso straordinario riservato a chi possiede 3 anni di servizio nelle scuole statali;

Entrambe le misure saranno una tantum; per chi non potrà accedervi rimarrà il concorso ordinario. Per approfondimenti rinviamo al nostro precedente comunicato (clicca qui).

PAS: analisi e commento

Consideriamo positivo il fatto che i sindacati, a differenza di altre volte, abbiano dimostrato interesse e riconoscimento nei confronti della nostra categoria includendo anche i dottori di ricerca nell’accesso all’abilitazione tramite PAS.

Se da un lato l’inclusione dei dottori di ricerca tra le categorie del PAS può essere un punto di avanzamento per la valorizzazione del titolo, dall’altro lato temiamo che questo tipo di percorso possa creare false speranze.
Riteniamo, anzi, che la reintroduzione di un percorso abilitante come il PAS sia un passo indietro nella storia del reclutamento scolastico italiano. È stato già ampiamente sperimentato, infatti, che i sistemi di reclutamento che richiedono un percorso abilitante per l’abilitazione e un successivo concorso per ottenere il ruolo, come SSIS, TFA e PAS, non fanno altro che allungare il periodo di precariato nella scuola e non danno alcuna garanzia di stabilizzazione, oltre che prestarsi a facili ricorsi che rallentano ulteriormente il meccanismo.

Il PAS, infatti, è semplicemente un percorso abilitante, che dunque non garantisce la diretta immissione in ruolo, ma solo il titolo di abilitazione all’insegnamento. Di fatto l’unico risultato sarà quello di spostare il precariato dalla III alla II fascia: infatti, per ottenere il ruolo sarà necessario vincere un concorso. Tuttavia, segnaliamo che il superamento di un concorso ordinario consente automaticamente di ottenere il titolo di abilitazione, senza i costi aggiuntivi in termini di tempo e denaro richiesti dai PAS.

Ricordiamo, infatti, che il PAS sarà a pagamento (in passato oltre 2000 euro), misura che avvantaggerà gli aspiranti docenti più abbienti, danneggiando invece coloro che, pur meritevoli, avranno difficoltà a pagare l’iscrizione. Ciò implica una selezione degli aspiranti docenti basata anche su criteri economici, mentre sarebbe stata auspicabile una selezione basata esclusivamente sulle conoscenze e competenze.

Inoltre, non essendoci alcuna selezione in ingresso, il numero di partecipanti a tali percorsi sarà presumibilmente elevatissimo: tra questi e gli idonei del concorso ordinario nei prossimi anni si formeranno probabilmente tanti abilitati e, di conseguenza, la II fascia si trasformerà in una III fascia 2.0, annullando i vantaggi dell’abilitazione e svalutando il titolo.

Inoltre, dato che i partecipanti al PAS saranno decine di migliaia e le università non sono in grado di gestire tali numeri, i partecipanti verranno probabilmente suddivisi in diversi cicli, che teoricamente dovrebbero essere attivati nel corso dei prossimi anni.

Tuttavia la forte instabilità politica che ha causato innumerevoli modifiche al reclutamento dei docenti nella scuola non ci rassicura sulla certezza dell’attivazione di tutti i cicli necessari per soddisfare l’intera platea.

A tutto ciò si aggiunge il problema della compatibilità con attività lavorative: il PAS richiede obbligo di frequenza, quindi risulterebbe difficilmente compatibile con molti lavori, soprattutto se svolti in un’area geograficamente lontana dall’ateneo in cui si è iscritti.

In sintesi: pagare migliaia di euro per entrare in II fascia assieme a decine di migliaia di persone, mettendo il merito in secondo piano rispetto alle disponibilità economiche degli aspiranti insegnanti, e poi dover comunque affrontare un concorso non ci sembra una soluzione efficace al problema del reclutamento dei docenti della scuola secondaria, né per i dottori di ricerca né per le altre categorie di precari coinvolte.

Ciò detto, persino il percorso FIT appare migliore sotto diversi aspetti: il concorso di accesso al percorso infatti, equivaleva all’attuale concorso ordinario e il percorso abilitante, che immetteva direttamente in ruolo, prevedeva per gli aspiranti docenti un salario, ed era compatibile con il lavoro. Sebbene il salario proposto dalla Buona scuola fosse troppo basso (infatti avevamo chiesto una retribuzione mensile di almeno 1000 euro), risulta una soluzione migliore rispetto alla richiesta di pagamento per frequentare un percorso abilitante che non garantisce alcuna prospettiva di stabilizzazione. Inoltre il FIT dava risposte alle esigenze di tante categorie di docenti: la fase transitoria per gli abilitati, il concorso riservato per i docenti con 3 anni di servizio, i percorsi abilitanti per i docenti di ruolo che vogliono chiedere il passaggio di cattedra e i percorsi abilitanti per coloro che vogliono lavorare nelle scuole paritarie.

Concorso riservato: analisi e commento

La scuola, così come l’università, ha il ruolo fondamentale di istruire e formare i cittadini di domani. Per raggiungere tale obiettivo è necessario che il personale docente sia adeguatamente qualificato, formato e soprattutto selezionato. Nella storia della scuola italiana abbiamo fin troppo spesso assistito ad eccessive disparità di trattamento nel reclutamento dei docenti: per lo stesso ruolo alcuni hanno superato un doppio concorso (come coloro che hanno superato una selezione per l’accesso al TFA e successivamente hanno dovuto superare un concorso per ottenere il ruolo), altri hanno avuto accesso tramite percorsi non selettivi.

Il concorso riservato ai docenti con 3 anni di servizio, introdotto nel decreto del FIT, poi eliminato nella Legge di Bilancio 2019 e nuovamente ripristinato a breve, prevederà una prova scritta selettiva (probabilmente blanda), un orale non selettivo e molto punteggio al servizio. Un concorso molto più leggero e semplice rispetto quello ordinario, che prevede 3 prove altamente selettive, che potrebbero salire a 4 con una preselettiva se il numero dei candidati sarà 4 volte superiore al numero dei posti. Come già accaduto in passato, quindi, si conferma la volontà di creare canali di reclutamento con livelli di selettività eccessivamente differenti, creando forti disparità e mettendo la base per ulteriori ricorsi che ritardano ulteriormente l’avvio del processo di reclutamento. Riteniamo fondamentale per tutelare la qualità della scuola e il merito degli aspiranti docenti selezionati che l’unica prova selettiva del concorso straordinario garantisca un livello minimo di selezione per merito.

Riteniamo senz’altro positivo che i vincitori del concorso 2016 siano stati tutelati confermando la loro priorità nelle assunzioni dalle graduatorie di merito concorsuali.

Infine, i concorsi straordinari dovrebbero essere, appunto, straordinari, non dovrebbero essere banditi più spesso e regolarmente di quelli ordinari.

Le proposte dell’ADI

ADI continuerà a spendersi con tutte le forze per far valere nella scuola il maggior titolo formativo esistente al mondo, non solo per difendere la nostra categoria ma per la qualità e la salute del sistema formativo stesso.
Alla luce delle nostre osservazioni, il concorso ordinario rimane la strada più veloce e sicura per l’accesso in ruolo. Per tale motivo riteniamo importante focalizzare l’impegno per la valorizzazione del titolo di dottore di ricerca nei concorsi a cattedra. Il 26 aprile è stata inviata una lettera per la richiesta di un incontro con il Miur per discutere le seguenti proposte:

1) Attribuire un punteggio significativo al dottorato di ricerca nel concorso per la scuola secondaria. Come stabilito nell’art.3, comma 6, del D.Lgs. 59/2017, il dottorato sarà tra i titoli valutabili. ADI propone che costituisca almeno il 60% del totale dei punti da attribuire ai titoli.

2) Valutare adeguatamente la didattica universitaria certificata in fase concorsuale. Oltre al punteggio del servizio scolastico, ADI chiede di inserire anche la valutazione di quello universitario, così come già avviene per le graduatorie d’istituto. Suggeriamo di attribuire un determinato punteggio per ogni contratto di docenza universitaria e di didattica integrativa e/o tutorato.

3) Istituire tabelle di conversione tra dottorati (SSD) e classi di concorso (CdC). Al fine di istituire un fondamentale raccordo tra l’attività di ricerca e quella di insegnamento, alla stregua di quanto accade per le analoghe corrispondenze tra corsi di laurea e classi di concorso, chiediamo di potervi sottoporre una proposta di tabelle di conversione tra settori-scientifico disciplinari e CdC.

4) Esonerare i dottori di ricerca dalla prima prova scritta di carattere disciplinare per l’accesso al concorso. Il titolo di dottore di ricerca certifica elevate e approfondite conoscenze disciplinari, oggetto sia della prima prova scritta sia dell’orale. Pertanto l’ADI chiede l’esonero dalla prima prova scritta. L’esonero dalla prima prova in un concorso pubblico per una determinata categoria è già prevista, ad esempio, per l’accesso all’esame di stato di dottore commercialista per i laureati nelle classi di Laurea Specialistica 84/S Scienze economiche aziendali, 64/S Scienze dell’economia, ovvero nelle classi di Laurea Magistrale LM-56 Scienze dell’economia e LM-77 Scienze economiche aziendali che abbiano conseguito un determinato numero di crediti formativi.

In particolare, chiediamo che la prima prova di accesso al concorso sia considerata un’idoneità per tutti i concorrenti e che i dottori di ricerca, in virtù del loro titolo, vengano automaticamente ritenuti idonei. Se, in alternativa, la prima prova rimanesse inalterata, chiediamo che i dottori di ricerca, alla luce della loro conoscenza specialistica della materia, vengano esonerati con l’assegnazione del massimo punteggio previsto.

Viste le novità sul reclutamento e osservate le loro forti criticità, stiamo lavorando per un’adeguata valorizzazione del dottorato anche verso questi nuovi canali, con il fine di migliorare la qualità della scuola in un sistema che ci sembra tenga poco conto di essa. Come ADI auspichiamo di poter avviare il prima possibile un confronto ampio e costruttivo con il Miur su tutte le tematiche sollevate.


ADI Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia