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Pas, un pass difficile per l’abilitazione

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Pas, ovvero percorsi di formazione per conseguire l’abilitazione all’insegnamento, rivolti ai docenti della scuola con contratto a tempo determinato che hanno prestato servizio per almeno tre anni nelle istituzioni scolastiche statali e paritarie. Anche i più scettici, anche i più ribelli, per forza di cose,non avendo scelta, sono stati costretti ad iscriversi a questi corsi. Mutui, finanziarie, soldi chiesti in prestito, sacrifici assurdi, per cercare di maturare l’abilitazione all’insegnamento per coltivare un sogno, che in realtà dovrebbe essere un semplice diritto, specialmente dopo anni ed anni di precariato, il contratto a tempo indeterminato. Recentemente mi è capitato il caso di un lavoratore Ata immesso in ruolo quasi a 65 anni, cioè un lavoratore che ben potrebbe ricorrere alla pensione di vecchiaia, ma dopo dieci anni e più di precariato ottiene il contratto a tempo indeterminato.
Neanche la migliore, o peggiore, questione di punti di vista, fantasia letteraria, riuscirebbe a superare la realtà del sistema scolastico italiano. Un sistema che è un vero anatema verso la dignità, e ripeto, la dignità di migliaia di lavoratori e lavoratrici. Non dimentichiamoci che nella scuola oltre il 70 % del personale è femminile e dunque esiste anche la questione del lavoro femminile e delle pari opportunità che andrebbe valutato. Ma visto che siamo in Italia ciò non accade. Figuriamoci. Pas, ovvero stress, ovvero tante situazioni incredibili, anzi tristemente credibili, perché semplicemente reali. Persone, e sono tante, che rinunciano alla proroga dei contratti, che si dimettono, forse senza neanche avere i requisiti per la disoccupazione, persone che devono percorrere centinaia di Km perché non tutte le regioni o sedi universitarie hanno attivato questi corsi, persone che devono usufruire dei permessi più variegati per accedere a questi corsi, che spesso devono anche sentire pure le rimostranze dei propri dirigenti che per ragioni di cassa non vorrebbero chiamare i supplenti in sostituzione dei supplenti. Senza dimenticare che il tutto avviene perché così ha deciso lo Stato italiano, e senza dimenticare che il tutto avviene anche durante la settimana lavorativa ed in orario pomeridiano od anche nei fine settimana.
Già il lavoro a scuola è stressante, anche se la valutazione dei rischi in tema di stress è latitante, ma è fatto notorio che lo stress è elevat o, senza dimenticare che ai docenti è stata anche negata la causa di servizio e non sono neanche assicurati all’Inail, ebbene, a tutto ciò, si aggiunge l’ulteriore beffa quella che per molti è diventata la maledizione del fine settimana. Neanche più il diritto a rilassarsi nel fine settimana è garantito. In base all’articolo 6 comma 1 del decreto n. 58 del 25 luglio 2013 “in linea di massima, le lezioni si terranno nelle ore pomeridiane e/o nell’intera giornata del sabato, fatta salva diversa articolazione fissata dagli Atenei e dalle istituzioni AFAM, in relazione a specifiche esigenze dei corsisti ed all’organizzazione di fasi intensive, da concentrare nei periodi di sospensione delle attività didattiche delle istituzioni scolastiche” . Ricordando che la frequenza dei corsi è obbligatoria, con un massimo di assenze consentite del 20%. In linea di massima vuol dire che alcune Università organizzano questi corsi anche la domenica, ma vuol dire che alcune li organizzano anche il venerdì e non solo, oltre che il sabato. In linea di massima significa fate come volete, l’importante è che questi corsi abbiano, appunto, corso. Ma anche su questo vi sarebbe molto da dire, basta solo pensare ai ritardi di attivazione dei corsi.
E che dire di tutti quelli che hanno invalidità e patologie varie? Insomma una situazione indegna per uno stato minimamente civile. Visto che il sistema Italia ha deciso che questa via è in sostanza obbligatoria da percorrere per conseguire l’abilitazione all’insegnamento, questo sistema dovrebbe garantirti il diritto certo e ben definito di frequentare i detti corsi in modo civile,senza ulteriore stress, senza ulteriori spese. Invece no, accade proprio il contrario.
Un sistema civile vorrebbe che i lavoratori chiamati a partecipare a questi corsi, li frequentassero in orario di lavoro, che tale giornata ti verrebbe garantita come lavorativa pur dedicandola alla formazione obbligatoria per accedere all’abilitazione all’insegnamento. Si vuole tanto emulare il sistema aziendalista e poi? Nelle aziende serie, quelle che vogliono formare i propri dipendenti, i lavoratori hanno diritto al salario stabilito in conformità al contratto individuale di lavoro per il programma ordina rio di lavoro ed il datore di lavoro ha l’obbligo di sostenere le spese di trasporto nel caso in cui la formazione abbia luogo in una città diversa da quella in cui dipendente svolge la sua attivita’ lavorativa, semplicemente perché funzionale all’azienda, semplicemente perché l’azienda investe nella persona perché quella persona sarà utile alla sua attività produttiva. La formazione professionale, di norma e per definizione anche di Confindustria ” comprende sia la formazione professionale iniziale, che assicura la preparazione necessaria per conseguire le competenze professionali minime richieste per l’ottenimento di un posto di lavoro, sia la formazione professionale continua, che segue la formazione iniziale ed assicura agli adulti lo sviluppo delle competenze professionali già acquisite e l’ottenimento di nuove competenze”. Si dirà, ma siamo nel sistema Pubblico e scolastico. No, siamo in un sistema pubblico privatizzato, come ben si evince dal Testo Unico del Pubblico Impiego, solo che del “privato” nel settore pubblico e scolastico, in particolar modo, si prendono le cose di convenienza, mica i diritti riconosciuti ai lavoratori. Ma si dirà anche che la partecipazione ai Pas non è formazione professionale? Ne siamo certi? I Pas servono a maturare i titoli di abilitazione che consentono l’inserimento nella seconda fascia delle graduatorie di istituto e costituiscono requisito di ammissione ai futuri concorsi per titoli e per esami e consentono l’assunzione con contratto a tempo indeterminato nelle scuole paritarie. Io, sinceramente, ci vedo una grande analogia con la tipica formazione professionale che trova luogo nel settore aziendalistico e privato. Ma la scuola non investe nel proprio personale. Anzi lo investe proprio, e non in senso positivo.
Certo, si dirà, ma non ci sono soldi. Solita litania autoassolutoria. Però chiedere migliaia di euro ai lavoratori, costretti a frequentare corsi, magari dopo anni ed anni di precariato, illusioni, ricatti e disillusioni, per conseguire l’abilitazione, che non significa automaticamente contratto a tempo indeterminato, anzi, non è un problema per il sistema. Si potrebbe ricorrere alla via di mezzo. Perché non organizzare allora corsi online, come accaduto in rarissimi casi, per situazioni particolari? Perché non rendere il caso particolare come normale ed ordinario? E’ una questione sia di volontà che di organizzazione. Non parlo di dignità, perché i Pas, per come pensati, e per come nascono, sono semplicemente incompatibili con ogni concetto di dignità. Anzi, a dirla tutta, visto che il motto dell’Unione Europea, per queste elezioni, è agire, reagire, decidere, che il primo esempio, in tal caso, lo diano il Miur e lo Stato italiano, che si decidano ad agire per i diritti dei lavoratori, a reagire per la dignità di una scuola che rischia di perdere ogni autorevolezza ed a decidere che la precarietà, con tutti i suoi annessi e connessi, possa una volta per tutte venire meno.