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Presidi: ingiustizia negli stipendi?

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Hanno ragione quelli che dicono che la “buona scuola”, all’atto pratico, potrà funzionare solo se le persone si lasceranno coinvolgere, oltre i vincoli normativi, nella sua realizzazione.

Sono e saranno, cioè, le persone le protagoniste. In termini di valorizzazione, e quindi anche di valutazione, del loro reale “servizio pubblico”. Sapendo, poi, che sono e saranno gli studenti, con le loro passioni, sensibilità, attitudini, ad essere il cuore pulsante della vita delle scuole. Tutti al loro servizio.

Tra le professionalità che per prime si trovano e si troveranno al centro della scena, volenti o nolenti, ci sono i presidi. Tutti capaci, tutti adatti a questi nuovi compiti, cioè alle nuove responsabilità? Facile immaginare le risposte, perché poi le situazioni sono diverse. Anche qui la valorizzazione valutativa dovrà dire e dare delle risposte. Anche con trasferimenti d’ufficio o altro.

Una strana categoria, se così posso dire, quella dei presidi.

Al centro delle mille complessità delle scuole di oggi, o scarsamente considerati secondo la loro professionalità. Ben venga, quindi, la loro valorizzazione/valutazione, prima di quella dei docenti e del personale.

Un punto è giusto che, a questo punto, venga preso in considerazione. A parole affrontato dai sindacati degli stessi presidi, ma in realtà sempre lasciato ai margini.

Le organizzazione sindacali, è sempre bene ribadirlo, sono importanti in una società democratica. Il problema è che i sindacati devono fare i sindacati.

Per il mondo della scuola, è facile notarlo, la crisi della rappresentanza sindacale non riguarda solo i docenti ed i non docenti, ma anche i presidi: difficile oggi trovare luoghi adeguati di lettura delle nuove professionalità richieste dalla nostra “società aperta”.

Perché di questioni aperte ce ne sono molte, visto che il ruolo dei presidi nella vita delle scuole è e sarà sempre più importante. Per la domanda sociale di diretta responsabilità e di concreta risposta alle esigenze formative delle nuove generazioni.

Prima però di parlare di cultura professionale, c’è un problema irrisolto che sembra non interessare nessuno.

Parlo di una evidente ingiustizia. Sino ad oggi senza soluzione.

Di cosa sto parlando? Della sperequazione degli stipendi tra i dirigenti scolastici. In poche parole: presidi che fanno lo stesso mestiere, ma con stipendi diversi. Parlo dello stipendio base, non di quella parte che è legata alla complessità della propria scuola, secondo una specifica “fascia”, differenza prevista dalla contrattazione integrativa regionale (“retribuzione di posizione nella parte variabile”).

Parlo cioè dello stipendio al netto della diversità delle proprie scuole, grandi o piccole.

Abbiamo, in poche parole, tre diverse situazioni stipendiali: lo stipendio di chi era preside prima del passaggio nel 2001 alla dirigenza scolastica (quando era più facile fare il preside); lo stipendio di chi era preside “incaricato” da docente prima di diventare “di ruolo” attraverso, soprattutto, concorsi riservati, cioè delle autentiche sanatorie; lo stipendio infine di coloro che sono diventati presidi vincendo da docenti un vero concorso, cioè un concorso ordinario, iper-selettivo e per pochi fortunati.

Qui, ovviamente, non si discutono tanti colleghi in gamba, ma l’ingiustizia della non-pari opportunità, della non “pari dignità”.

Provo a spiegare.

Per coloro che erano già presidi prima del 2001 c’è la Ria, per i vecchi docenti a suo tempo presidi “incaricati” c’è ancora oggi, anche se sono diventati presidi di ruolo dopo il 2007, cioè dopo i vincitori del primo concorso ordinario (l’unico vero concorso in uno Stato serio), un assegno ad personam (sic!).

La Ria dei vecchi presidi invece è una sorta di rivalutazione, chiamata “retribuzione individuale di anzianità”, calcolata sugli anni di presidenza prima della dirigenza scolastica. Una stranezza.

Dire queste cose secondo verità è fare polemica fine a se stessa, o invece iniziare a mettere ordine nella confusione generale della burocrazia statale?

Prima, dunque, di invocare la “dirigenza unica”, perché non fare chiarezza su questo punto?

Ce lo diciamo oramai ogni giorno: è nei momenti difficili che si possono e si devono fare le riforme serie.

Non solo. Perchè i presidi oggi hanno un’altra responsabilità: aprire per primi la strada al sistema di valutazione nel mondo della scuola.

Se dunque differenza anche stipendiale ci deve essere, è giusto che derivi da una valutazione concreta del proprio “servizio”, non dai retaggi corporativi del passato. Un sindacato serio questo dovrebbe mettere tra le proprie priorità!

A dire il vero qualcosa si è mosso negli ultimi anni: parlo qui del progetto VALeS, con un invito alle scuole e ai presidi italiani di accettare una sperimentazione della auto-valutazione, e della cosiddetta “buona scuola” appena approvata.

Ma se i presidi è giusto che vengano valutati, è giusto che vengano date a loro anche le possibilità e le risorse per gestire con qualità queste responsabilità. Ad oggi discorsi ancora tabù, fonte delle infinite polemiche di questi mesi.

Polemiche figlie della assenza, sino ad oggi, di valutazioni sul merito del nostro lavoro.

Perché, per ritornare all’ingiustizia denunciata, i sindacati, Anp in testa, non fanno una proposta semplice ed incisiva, per ragioni di equità? Basta poco: riassorbire la Ria e l’assegno ad personam ridistribuendoli in modo equo. In forma proporzionale. Senza più figli e figliastri.