Home Alunni Qual è la scuola che ci piace pensare per i nostri figli?

Qual è la scuola che ci piace pensare per i nostri figli?

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È quella che coinvolge, che trasmette il sapore del sapere, il gusto della ricerca, la capacità di domandare, prima del semplice rispondere ai quesiti, ai test, ai compiti, alle interrogazioni.

Insomma, la scuola che fa brillare gli occhi. Che non si limita a insegnare le singole materie o nozioni, ma che, “attraverso” le materie e le nozioni, allena al pensare, al riflettere, al prendersi cura.

Tanti sono i docenti che, nelle nostre scuole, rappresentano per i nostri bambini e ragazzi queste figure di adulti significativi. Veri “maestri”. Tanti, ma non tutti.

Non ci sono contratti di lavoro che tengano, di fronte a questi “maestri”, come non ci sono contratti in grado di limitare la presenza a scuola di docenti mediocri, staccati educativamente, disinteressati ai percorsi formativi dei loro ragazzi. I contratti, perché format generali, in questi casi non servono. Anzi, di solito sono invocati da chi ha qualcosa da farsi perdonare. Perché i “maestri” non ne hanno bisogno. Sono già riconosciuti dai loro ragazzi, meno dal Miur, dai sindacati, dalle burocrazie. Una grande ingiustizia. Come sono ingiusti tutti i meccanismi, i matematismi, come le graduatorie varie, perché prescindono dalle persone reali, cioè dalle loro effettive capacità e competenze oggi richieste. Hard e soft skills, per usare un linguaggio che oggi va per la maggiore. Per questo difendo, ovviamente nella trasparenza, le “chiamate dirette”.

Ieri è uscito, finalmente, il Manuale operativo del PON sulle “competenze di base”, con scadenza il prossimo 28 aprile. Tutti i presidi, i docenti ed il personale di segreteria devono sentirsi coinvolti nel “valore aggiunto” di queste progettualità, oggi imprescindibili.

 

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A quando contratti di lavoro, su una base comune generale ma con una sostanziosa autonomia di istituto, capaci di riconoscere questo “valore aggiunto”, cioè di pensiero positivo, di presidi, docenti e ata? Ci sarà mai un momento nel quale i nostri giovani in gamba, costretti ad andare all’estero o a rifugiarsi nella precarietà, troveranno che le loro capacità e competenze verranno riconosciute dal mondo della scuola e dell’università?

I licei sperimentali degli anni ottanta e novanta, con i comitati di valutazione, avevano la possibilità di esprimere una valutazione sul valore effettivo del “servizio” dei docenti “comandati” dalle altre scuole per un incarico ad hoc in questi percorsi sperimentali: in caso di giudizio negativo a questi docenti veniva annullato il comando e lasciavano la scuola. Un segnale di intelligenza concreta.

Invito tutti a leggere bene l’intervento di questa mattina su La Stampa di Alessandro D’Avenia intitolato “Cara ministra, deve difendere gli studenti”.

Intelligenti pauca.

 

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