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Rabbia dei precari sul web dopo il suicidio del collega: sgozzato due volte

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“Ministro stai distruggendo il mio futuro”, questo il messaggio che aveva scritto su Facebook qualche giorno prima di togliersi la vita e tanto basta per fare riflettere anche coloro che sul precariato dicono talvolta e adottato termini e linguaggi spropositati, sul tipo dell’ufficio di collocamento che sarebbe diventata la scuola.  
Sicuramente è facile dire: che si cerchino un lavoro altrove quando a casa non manca nulla e il futuro è assicurato. E troppo facile è anche addossare la croce agli altri tagliando posti di lavoro e speranze e l’avvenire dei figli degli altri.
E’ vero che il prof non ha lasciato messaggi d’addio, ma a spingerlo al gesto estremo non può essere stato che la mancanza di un lavoro stabile; e quel messaggio su Fb ne è il testamento: ”Se saremo fortunati, resteremo precari a vita”. E se neanche l’essere precario si concretizza con una famiglia da crescere e un decoro da mantenere? Livelli di sensibilità che inducono a gesti estremi e il prof. Cerbera, sposato e con due figlie, era docente di storia dell’arte, un artista, ma quest’anno non aveva ancora ricevuto incarichi.
La vita si l’è tolta con lo stesso coltellino che adoperava per tagliare le tele dei quadri che dipingeva.
Alcuni siti e blog di scuola parlano appunto di ”suicidio di Stato” in sintonia con la protesta svoltasi stamane all’esterno della sede del ministero, a Roma.
Dice Elena: “Scusami se lunedì non ho capito la tua disperazione e ho sdrammatizzato: questo salva-precari era il tuo tormento…”. E il collega Antonio aggiunge: “A scuola chiediamo un minuto di silenzio per Carmine, vittima di questa scuola e del governo che preclude ogni possibilità ai precari…”.
L’amico Vittorio scrive: “Anche il concorso per la scuola lo preoccupava visto che favoriva i più giovani. Carmine era vincitore di concorso, ma precario. Amava il suo lavoro, ma nonostante gli sforzi, aggiornamenti, abilitazioni, ogni volta che sembrava arrivare il suo turno, una nuova delusione”. Tra poche settimane, il professore avrebbe dovuto partecipare ad una mostra con una sua opera che sarà comunque esposta.
In redazione, sull’onda di tanta raccapricciante notizia, ci giunge pure una nota, fra le tante, di Gianfranco Pignatelli ,prof. di storia dell’arte, che volentieri pubblichiamo
Sgozzato due volte 
Così è morto Carmine Cerbera. Una prima volta ci ha pensato la tagliola della Gelmini e di Profumo. La seconda volta la lama del suo coltello di casa. Lo hanno trovato disperato e dissanguato. Nelle pagine di cronaca Carmine Cerbera è stato definito un precario. Come se precario fosse un nome, una professione e non una condizione.
Condizione che fa il paio con la disperazione, quella alla quale teste vuote e cuori aridi condannano centinaia di migliaia di docenti. Già, perché Carmine Cerbera era un docente. Si sentiva docente senza poterlo essere. Si migliorava per poterlo essere meglio ma non gli consentivano di farlo. Le teste vuote e i cuori aridi che governano il ministero dell’Istruzione, come dependance di quello delle Finanze, preferiscono più studenti per classe, meno tempo scuola per gli alunni e più ore di insegnamento per i docenti. Purché la partita contabile dia meno del meno. E che importa se fa meno sapere, meno formazione e meno istruzione. Che importa se ruba il presente agli insegnanti e il futuro ai giovani ed al Paese. L’essenziale e che le diarie ai politici non varino, che chi evade non sia scoperto e chi corrompe possa continuare a farlo dissanguando il Paese ed i suoi figli.
Carmine Cerbera, nonostante la laurea specialistica appena acquisita, si è reso conto che non avrebbe più insegnato. Lo aveva fatto, lo avrebbe voluto fare ancora. Avrebbe voluto ancora insegnare storia dell’arte, continuare a riempire gli occhi e nutrire la mente dei suoi ragazzi, educarli al vero, al buono e al bello.
Carmine Cerbera, all’alba del due novembre, si è sentito inutile. Le teste vuote e i cuori aridi gli hanno fatto sapere che non sarebbe stato più insegnante e che in questo Paese non c’è più nulla di vero, di buono e di bello.
Lo hanno fatto sentire inutile e fallito. Oramai il Paese è delle teste vuote e dei cuori aridi, a loro spetta il diritto di diseducare, descolarizzare e disoccupare. Costa meno, non fa pensare e fa più a lungo governare. Tutto troppo insopportabile per chi si ostinava a voler scrutare e mostrare il vero, il buono e il bello.