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Renzi non cambia idea: dalla crisi si esce solo con un gigantesco investimento educativo

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Dopo aver vinto le primarie, il programma del premier Matteo Renzi non è cambiato di una virgola: la scuola rimane all’apice della sua agenda di programma. Mancano i dettegli, forse anche i soldi (un particolare non da poco per risollevare un “carrozzone” composto da un milione di lavoratori ed oltre 40mila plessi), ma l’intenzione rimane immutata. E francamente dopo aver ascoltato ministri dell’Economia che senza pudore sostenevano “con la cultura non si mangia”, sin tratta di un particolare che rincuora.

”Dalla crisi – ha detto il 7 giugno Renzi a Napoli partecipando a ‘La Repubblica delle idee’ – si esce solo con un gigantesco investimento educativo non con qualche piccolo aumento del Pil”. Il presidente del Consiglio non ha dubbi: ”serve un investimento nelle scuole, sulla cultura, per non avere più delle sovrintendenze ottocentesche. Dalla crisi – ha concluso – si esce con una scommessa educativa e culturale, non col piccolo cabotaggio economico”.

Insomma, per Renzi, la necessità di risollevare l’Istruzione rimane sempre alta: ”C’è un’emergenza educativa in Italia, che riguarda la scuola, la Rai ed altro. Non si esce dalla crisi con provvedimenti spot” ha sottolineato il presidente del Consiglio.

Ora, come si tradurrà l’impegno del Governo sul fronte scuola? Dopo l’impegno sul risanamento dell’edilizia, la prossima “tappa” è il rinnovo del contratto. Il ministro Giannini, con i suoi sottosegretari, continua a parlare di fine della stagione degli scatti per tutti: è giunto il momento di premiare chi si impegna e si aggiorna di più. Ed entro fine luglio, ha promesso il responsabile del Miur, la proposta sarà nota.

I sindacati, in particolare Flc-Cgil, ma anche la sempre agguerrita Anief, sanno bene che accettare un incremento della basta paga solo per una fetta dei lavoratori sarebbe un suicidio: lo stipendio per tantissimi dipendenti docenti e Ata è fermo al 2009. Bloccarlo ancora, dopo un rinnovo contrattuale, significherebbe percepire buste paga a dir poco inadeguate al costo della vita. E per i rappresentanti dei lavoratori questa eventualità si tradurrebbe in una sconfitta.

Al momento quel che è sicuro, scatti aboliti o meno, serviranno soldi. E nemmeno pochi: centinaia di milioni di euro l’anno. Perché continuare a pagare gli aumenti con i risparmi di settore significherebbe, infatti, la morte del Fis: ovvero, quella parte di pagamenti che nella scuola oggi dovrebbe premiare coloro che si impegnano nelle attività aggiuntive alle ordinarie. In caso contrario, se si continuasse a togliere da una parte per dare all’altra (come del resto indicato nella Legge 150/2009), allora chi continua a fare riferimento al “gioco delle tre carte” avrebbe tutto il diritto ad alzare il dito e prendere la parola.