
Alla fine ha chiesto scusa. Con una lettera.
Ha ammesso che “non ha giustificazioni né spiegazioni” per un sondaggio choc che ha fatto il giro d’Italia.
E’ importante che l’abbia scritta la lettera. Una dura lezione di vita.
Perché, a pensarci bene, la decisione di costruire a Bassano del Grappa un sondaggio nella chat di classe di questo tipo, via WA, non poteva non sconcertare: “Tema femminicidio: chi si meritava di più di essere uccisa? Giulia Tramontano, Mariella Anastasi o Giulia Cecchettin”.
L’Associazione “Women for freedom” ha avuto modo di venirne a conoscenza e a denunciare pubblicamente l’episodio: “non possiamo tacere, ha ribadito l’Associazione, perché il silenzio è il miglior alleato della violenza”. Non può cioè essere fatta passare per una ”bravata”.
L’autore, visto il clamore, prima ha subito cancellato il sondaggio, poi, appunto, ha chiesto scusa.
Tutti, nel frattempo, hanno condannato l’episodio. Dal ministro Valditara in giù.
Resta la domanda: se non fosse stata letta dalla Associazione, sarebbe maturata nella classe coinvolta la comsapevolezza della gravità dell’accaduto?
Poi si tratta di capire se l’autore abbia di sua iniziativa deciso di scrivere la lettera di scuse. O se indotto dai genitori o dal legale di famiglia. Ma a questo punto poco importa.
Perché deve essere stato anche uno choc personale prendere coscienza di non avere messo in preventivo le conseguenze di una scelta gravissima.
Questo vuol dire la parola libertà come responsabilità: rispondere dei propri comportamenti. Non fare quello che si vuole.
Quanto avvenuto fa il paio, mutatis mutandis, ad altri gravi episodi che sono successi negli ultimi tempi. Penso qui ai cosiddetti gruppi di maranza, cioè a quei giovani che, da soli o in gruppo, assumono atteggiamenti fortemente irrispettosi, smargiassi, violenti, con linguaggi volgari.
Questa sua lettera ci dice che solo a cose fatte, cioè in un secondo momento, ha capito che era cosa che non doveva fare. Che aveva dunque superato il limite del rispetto e della dignità delle persone. In questo caso vittime di femminicidio.
Perché solo dopo?
Perché oggi mancano alcune evidenze etiche, valoriali, psicologiche, conoscitive. Mi verrebbe da aggiungere: spirituali. Perché le persone non sono solo figlie dei bisogni e dei desideri. Non siamo solo proiezione del mito della auto-realizzazione egocentrica.
Ci ripetiamo spesso a scuola che è il villaggio che educa. Ma la prima responsabilità è delle famiglie, in simbiosi col contesto sociale. La scuola cioè non può sostituirsi o sovrapporsi alle famiglie.
A scuola ci chiediamo spesso in che mondo, quello interiore anzitutto, vivono i nostri bambini e ragazzi. In quali universi paralleli. E si tenta di aprire continui canali di dialogo.
E ci chiediamo quanto li conosciamo. Quanto parliamo realmente con loro, li ascoltiamo, dialoghiamo in modo aperto.
Perché, per esperienza, posso dire che questo chiedono i nostri adolescenti: di essere ascoltati, di trovare riconoscimento, autorevolezza, quale parola saggia.
Nel recente passato valeva il principio di autorità in casa, a scuola, nei diversi contesti. Si viveva in un universo sociale di certezze, o presunte tali.
Oggi non più. Conta di più l’autorevolezza.
E quando si dice autorevolezza in causa sono gli adulti significativi. Non gli eterni adolescenti che vivono in balia solo dei propri desideri egocentrici.
Le difficoltà delle famiglie le conosciamo, ma non dobbiamo generalizzare. Come non dobbiamo generalizzare sui giovani d’oggi.
La scuola oggi cerca di fare la sua parte. Ma tutto non può. Tratta ad esempio tanti temi culturali, assieme alle diverse proposte educative di contorno, per cercare di accompagnare la crescita dei ragazzi e dei giovani, per dare loro una mano educativamente, ma non sempre riesce ad incidere realmente. Se non trova supporti nelle famiglie e nei vari contesti sociali.
Perché le proposte conoscitive possano essere significative devono però entrare nell’universo di vita di questi adolescenti, devono farsi coscienza pensante e pensata.
Tanto pensata da prevenire episodi come questo sondaggio.
Invece, dobbiamo ammettere che oggi il tema della conoscenza e delle competenze è in difficoltà, se non in crisi.
Anzi, le conoscenze e competenze sono a volte vilipese. Non solo a scuola. Penso alla aggressione verso i medici ed i sanitari. Per dire di altri contesti.
Quasi a dire che, in fin dei conti, nella vita conta solo l’apparenza, contano solo il successo, e che la fatica della crescita culturale è solo fuffa. Per non parlare del mito della forza e della violenza sugli altri.
Insomma, è un contesto che va ripensato. A partire dal senso e valore del ruolo di genitori. Ma non solo. Perché, resta sempre vero che questi ragazzi sono figli nostri, di tutti noi. Parlo del piano educativo.
Il disagio giovanile c’è, è inutile nasconderlo, e va affrontato comunitariamente, come ha detto bene il sindaco di Treviso Mario Conte, presidente regionale dei comuni.
Non riguarda tutti i giovani, ma una parte sì.
Con risvolti a volte difficili da gestire. Penso qui al tema dell’integrazione e al fatto che a scuola vige già una sorta di ius scholae.
La scuola, lo ripeto, per tutti questi aspetti da sola non può fare tutto quanto serve.
Una parola a parte dovrebbe essere detta sui social, sul loro uso nei ragazzi di oggi.
Non tutti, nemmeno i genitori, sono consapevoli che sono strumenti che possono diventare armi pericolose. Vere armi improprie. E che non possono essere lasciati a cuor leggero liberamente nelle mani dei propri ragazzi: dovremmo tutti essere più avvertiti.