
Oggi, 18 giugno, ha inizio ufficialmente la maturità 2025 con la prima prova d’italiano, scelta a livello ministeriale e uguale, per contenuti, per tutte le scuole. Tra le tracce della tipologia C, riflessione critica, c’è un articolo del 7, settimanale de Il Corriere della Sera, di Anna Meldolesi e Chiara Lalli, dal titolo “L’indignazione è il motore del mondo social. Ma serve a qualcosa?”, uscito a dicembre 2024.
Ecco il testo integrale proposto ai maturandi.
“L’indignazione è il motore del mondo social. Ma serve a qualcosa?”, il testo
di Anna Meldolesi
Cattiva informazione fa rima con indignazione, anche e soprattutto sui social. Stimolare un sentimento di sdegno nel lettore frettoloso è il modo più facile per spingerlo a condividere contenuti di dubbia credibilità e renderli virali. Chi si scandalizza davanti a una presunta ingiustizia non perde tempo a cliccare sui link, non sente il bisogno di leggere. Commenta a prescindere, segnalando la propria militanza nel partito dei “giusti”, e contribuisce a far circolare. È una dinamica che abbiamo visto all’opera mille volte nelle piazze sgangherate a cui accediamo via app. Ora a certificarne l’esistenza arriva anche una ricerca pubblicata su Science.
Killian McLoughlin e colleghi hanno studiato i comportamenti degli utenti di Facebook e Twitter in periodi diversi, analizzando circa un milione di link e cinquantamila tweet. Quindi hanno svolto due esperimenti comportamentali, coinvolgendo 1.500 persone. Ne hanno dedotto che l’indignazione è il motore del mondo social e che si accompagna spesso a contenuti discutibili, ovviamente con la complicità di algoritmi costruiti per sollecitare reazioni. Il corollario è che sperare di bonificare questi ambienti invitando le persone a verificare le fonti e ad approfondire le cose
rischia di essere una pia illusione.
Chissà se migrare da una piattaforma all’altra, alla ricerca di contesti meno avvelenati, risolverà il problema o è solo questione di tempo e di massa critica. Ce lo diranno i futuri studi sulla tracimazione di utenti che hanno lasciato X per Bluesky dopo la vittoria di Trump. La piattaforma d’approdo funzionerà come una megabolla detox o le solite dinamiche si rimetteranno in azione? Intendiamoci, essere capaci di ribellarsi al degrado sociale e politico è importante, ma lo sdegno non è tutto uguale. Può essere troppo o poco, bene o mal indirizzato. Se tutti si indignano per la stessa causa, per esempio, una coltre di indifferenza coprirà tutte le altre cause meritevoli di indignazione.
C’è solo un tot di rabbioso disgusto che la psiche umana può esprimere giornalmente. E di solito la protesta si accende più facilmente per le battaglie che rafforzano giri di amicizie, alleanze, preconcetti diffusi. Per le altre si resta in silenzio (crickets, come dicono gli americani). Mi torna in mente Peter Sandman, con la sua formula psicologica: rischio percepito = danno oggettivo + sdegno. Serve a spiegare che ci sono problemi consistenti di fronte a cui siamo poco reattivi, perché assuefatti, rassegnati, distratti da altre minacce meno reali. Lui si riferiva ai rischi ambientali e sanitari, a chi magari se ne va in montagna con le infradito (ignaro del pericolo) e si preoccupa degli OGM (che non hanno mai fatto male a nessuno). Ma il messaggio potrebbe avere un valore più generale.
di Chiara Lalli
Qualunque scandalo di ieri sembra risalire a sei secoli fa. Eppure ancora non abbiamo imparato che tutto passa sempre più velocemente e ogni scandalo ci pare inconsolabile. E se è vero che l’internet non è scritta a matita, il prossimo caso che farà esplodere cervelli soppianterà il precedente in una ruota della fortuna e dell’oblio.
Quando sto scrivendo non si è ancora esaurito lo scandalo sul pianeta Più libri, più liberi – alcuni hanno vita un po’ più lunga e Più libri, più liberi è una fiera di libri il cui tema del 2024 è «La misura del mondo». Uno scandalo che importa probabilmente solo a chi vive in un mondo abbastanza piccolo da considerare una fiera di libri che nessuno legge il
centro dell’universo. Una mia amica, non proprio disattenta a questioni importanti, l’altro giorno mi ha scritto: scusa, ma chi è Leonardo Caffo? E ancora rido perché non è così facile spiegare una cosa piuttosto irrilevante e che per giorni ha scatenato tale indignazione sembrare più grave delle guerre e del clima impazzito. Un invito spericolato (Chiara Valerio, curatrice e responsabile del programma della fiera, a Caffo), una segnalazione con i toni apocalittici («una fiera dedicata a Giulia Cecchettin può ospitare un uomo sotto processo per lesioni alla compagna?»), una difesa di un principio giusto ma fuori tema e per le ragioni sbagliate (il garantismo e il diritto di parola di chi non è stato ancora condannato), una lettera per tirarsi indietro (in quanto intellettuale, scrive Caffo, il dettaglio più imbarazzante di tutta questa storia), un circo di vengo o non vengo e mi si nota di più?
Non è riassunto esaustivo e potrebbe essere incomprensibile per chi già non sa. Ora, chi ha sprecato il proprio sdegno e il proprio tempo per questa storia piccola piccola, avrà ancora energie per le cose serie? È servito a qualcosa? Abbiamo imparato qualcosa? La prossima volta faremo meglio? Dubito. Perché quella bava alla bocca, quella ferocia che è un regolamento di conti, quella foga di fare le colonne dei buoni e dei cattivi non serve a niente. Se non a sentirsi migliori di tutti gli altri senza fare alcuna fatica, anzi ostentando che rimaniamo noi stessi – che è la cosa più inutile che si possa fare. Urliamo, ci sentiamo buoni, abbiamo fatto il nostro dovere. Aspettiamo il prossimo giro di giostra. Penso a due cose. Che dovremmo rileggerci Martha Nussbaum sul disgusto (Disgusto e umanità lo pubblica Il Saggiatore) e rimandare questa necessità di commentare tutto. No, non morite se tenete per voi questi pensieri feroci e vani. E che dovremmo anche ripescare la storia di Justin Sacco. Licenziata per una battuta razzista e per un telefono senza fili a cui ormai siamo abituati. Forse qualcosa potremmo impararla, forse potremmo respirare invece di imbracciare i social come un’arma molto poco intelligente. Lo so, il mio è ottimismo”.
Il codice etico per i docenti
La tematica di questa traccia si intreccia fortemente con quanto accaduto di recente, con il docente che ha insultato sui social la figlia della premier Giorgia Meloni, ad esempio. Qualche mese fa si è parlato di un codice etico con norme specifiche per docenti e personale scolastico anche sui comportamenti sui social.
Il Codice dovrebbe essere in linea con il già esistente Codice di comportamento nazionale per i dipendenti pubblici, modificato l’ultima volta nel giugno del 2023. Importante, come anticipato, il capitolo sull’uso dei mezzi di informazione e dei social network, dove già si legge che “il dipendente è tenuto ad astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale”.
E che “le amministrazioni si possono dotare di una ‘social media policy’ per ciascuna tipologia di piattaforma digitale”, che “deve individuare le condotte che possono danneggiare la reputazione delle amministrazioni”.
Tutto avviene dopo che molti casi hanno fatto scalpore: ritorna in mente il caso del docente Christian Raimo, sospeso dal servizio per tre mesi dopo aver criticato il ministro Valditara. O, ancora più recente, quello della maestra di un asilo cattolico che lavora anche sulla piattaforma Onlyfans, per la quale molti genitori chiedono il licenziamento per “comportarsi” in modo poco decoroso. Il nuovo Codice dovrebbe anche regolare la comunicazione in chat come WhatsApp tra docenti e studenti.