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Valutare senza i voti anche alla secondaria: c’è già chi lo fa e organizza anche percorsi di formazione in autonomia

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Mentre ferve il dibattito sul docente esperto, il docente stabilmente incentivato e la formazione più o meno obbligatoria, con sindacati che chiedono che il diritto-dovere all’aggiornamento e alla formazione venga definito in modo chiaro per via contrattuale, nella scuola reale le cose vanno talvolta un po’ per conto loro, anche al di fuori delle consuete ritualità.
Come è accaduto nella giornata di sabato 17 presso l’Istituto Padre Semeria di Roma dove si sono incontrati una cinquantina di insegnanti di scuola secondaria che, per tutta la mattinata si sono confrontati con docenti universitari (i pedagogisti Fabio Bocci e Cristiano Corsini di Roma e Roma Tre e Simone Giusti docente di didattica della lingua italiana a Siena). Nel corso dell’incontro Vanessa Roghi, storica, autrice di un recente e fortunato libro (Il passero coraggioso. Cipì, Mario Lodi e la scuola democratica) ha presentato un video con una raccolta di interviste e testimonianze passate sul tema del voto.
Altri interventi da segnalare, quelli della dirigente scolastica Serenella Presutti e dell’insegnante Marina Monaco.
A coordinare il dibattito Alessia Barbagli, docente presso l’IC Padre Semeria.

Il dato “curioso” e irrituale è che non si è trattato di un corso di formazione ufficiale e formalizzato, ma di un incontro auto-organzzato promosso da docenti di scuola secondaria che nelle proprie classi stanno sperimentando concretamente (o intendono “attrezzarsi” per farlo) modalità di valutazione in cui non si prevede di usare il voto numerico. Il massimo della irritualità è arrivato al termine dell’incontro con le conclusioni affidate non al cattedratico di turno, ma ad una studentessa, Valeria Cigliana.

Nella scuola primaria il voto è già stato abolito più di un anno fa, ma nella secondaria (e soprattutto in quella di secondo grado) lo si può fare?

“Certo che è possibile e senza violare alcuna norma – risponde Cristiano Corsini – al posto dei numeri, si possono benissimo usare quei riscontri descrittivi che, al contrario del voto, possono incidere positivamente sullo sviluppo degli apprendimenti. È possibile, senza violare alcuna norma, usare il voto soltanto a fine quadrimestre o a fine anno”.

Ma allora perché troppo spesso non avviene?

Per molti motivi, per esempio perché ci sono docenti che ignorano la normativa e credono che essa imponga loro di erogare un ‘congruo numero di voti’. Nulla di più falso. E poi ci sono gruppi di docenti e dirigenti che si autoimpongono l’erogazione del famigerato congruo numero di voti, approvando regolamenti che identificano valutazione e voto e rinunciano a usare la valutazione come strategia didattica.


Magari in qualche scuola c’è qualche docente che vorrebbe provarci

Sì certo, ma di fatto si ritrovano in minoranza.

Ovviamente c’è anche chi difende il voto in modo sincero…

Proprio così, ci sono docenti e dirigenti che credono sinceramente che il voto sia educativo. L’evidenza empirica dice altro? Pazienza. Poi ci sono anche famiglie, studentesse e studenti che pretendono il voto. Il punto è che c’è una società che giustifica il voto. La società che giustifica il voto è la stessa società che viene giustificata dal voto.

Ci spieghi meglio…

Il voto scolastico giustifica competizione, coercizione e mercificazione della conoscenza e competizione, coercizione e mercificazione della conoscenza giustificano il voto scolastico. Si tratta di scegliere da che parte stare.

Ma questo è un dibattito che arriva da lontano

Esattamente. In Lettera ad una professoressa della Scuola di Barbiana (1967) c’è un passaggio molto interessante.
Anche il fine dei vostri ragazzi è un mistero. Forse non esiste, forse è volgare. Giorno per giorno studiano per il registro, per la pagella, per il diploma. E intanto si distraggono dalle cose belle che studiano. Lingue, storia, scienze, tutto diventa voto e null’altro. Dietro a quei fogli di carta c’è solo l’interesse individuale. Il diploma è quattrini. Nessuno di voi lo dice. Ma stringi stringi il succo è quello. Per studiare volentieri nelle vostre scuole bisognerebbe essere già arrivisti a 12 anni. A 12 anni gli arrivisti sono pochi. Tant’è vero che la maggioranza dei vostri ragazzi odia la scuola. Il vostro invito volgare non meritava altra risposta.

E poi?

Poi ci sono docenti, dirigenti, studentesse e studenti, madri e padri che la pensano diversamente. Persone che si sono incontrate ieri in una scuola romana. Piano piano.

Insomma, possiamo dire che “c’è speranza se questo accade a..” ?

Direi proprio di sì, nella scuola italiana c’è di tutto, ci sono anche persone che rinunciano ad un giorno di riposo per confrontarsi, per studiare e per dare qualche opportunità in più ai propri studenti. Il dibattito finale è stato talmente intenso e articolato che i lavori sono proseguiti ben oltre l’orario previsto.