Home Politica scolastica Verso una nuova scuola che vorrebbe essere “buona”

Verso una nuova scuola che vorrebbe essere “buona”

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Domanda) Il disegno di legge sulla riforma della scuola viene portato in discussione alla Commissione Cultura della Camera. Quali sono le previsioni? Si rispetteranno i tempi? La scuola italiana avrà una vera riforma?

 

Risposta) Come ho avuto modo di dichiarare sono estremamente favorevole sulla procedura che ha portato al DDL. Su questioni scottanti che coinvolgono non solo milioni di cittadini (ad es. le famiglie dei centocinquantamila precari e quelle del milione abbondante di studenti delle scuole pubbliche paritarie) il governo – sicuramente ben consigliato dal presidente Mattarella – ha saggiamente preferito la strada maestra del DDL piuttosto che quella ripida e insidiosa del DL. Ebbene sia, purché in una gestione ragionevole di tempi parlamentari che non uccidano le buone intenzioni, di chi governa e di chi è all’opposizione. Chi è attento al destino della scuola italiana sa che il dialogo è cosa buona, ma non all’infinito indeterminato futuro. Infatti il Ministro, nell’intervista di giovedì 3 aprile, al video forum di Repubblica ha assicurato per giugno l’approvazione. I nostri Parlamentari già stanno lavorando sul DDL con serietà per una riforma della scuola che deve sanare guasti incancreniti da decenni e deve liberare le forze positive che la scuola italiana ha dalle sue origini culturali solidissime. Non dimentichiamo che la “fuga dei cervelli” italiani all’estero è, sì, motivo di sofferenza, ma – sotto sotto – anche di orgoglio…. Dove e come si sono formati questi cervelli?

 

D) Nel documento sulla buona scuola ci sono elementi di qualità e prospettive di sviluppo. Quali i punti di forza e di debolezza.

 

R) Sul tappeto istituzionale ci sono temi che scottano e che da decenni erano dei tabù: autonomia delle istituzioni scolastiche (ad oggi più sulla carta che nella realtà); precariato a vita, del tutto anticostituzionale; efficacia ed efficienza dei servizi anche in rapporto ai costi; flessibilità dei ruoli in rapporto alle esigenze, nuove tecnologie, edilizia e strutture, potenziamento delle competenze scientifiche e linguistiche degli studenti; apertura della comunità scolastica al territorio e per gli alunni agli stage in azienda, ma anche la detrazione per le rette versate dal milione abbondante di famiglie italiane che esercitano la propria libertà di scelta educativa, scegliendo la scuola pubblica paritaria. Un passaggio di diritto: solo per metterlo all’OdG l’Italia ha impiegato ben 66 anni dal 1948 ad oggi. Chi va piano…

Il massimo punto di forza del DDL è stato la condivisione dei contenuti a livello nazionale, attraverso la consultazione sulla Buona scuola. Un accentuato punto di debolezza sta nel desiderio – pure comprensibile ma inattuabile – del cittadino di avere “tutto subito”. Le polemiche sterili possono danneggiare l’opera facendo perdere tempo. Occorre rispettare i criteri di intervento che il governo si è dato: senza criteri di scelta non si va da nessuna parte.

Alcuni passaggi segnano un cambiamento radicale della scuola italiana che passa dalla pura organizzazione dal fiato corto alla gestione progettuale.

Ritrovo passaggi di riorganizzazione gestionale, di management, che lungo gli anni ho sostenuto indispensabili per rendere la gestione di una scuola efficace ed efficiente: piano triennale che abbandona la logica del pronto soccorso; il dirigente scolastico assume un ruolo centrale di una comunità educante che sa definire il proprio organico in coerenza con l’offerta formativa ma nel giusto vincolo di obiettivi nazionali che le scuole sono tenute ad osservare (Cap. II art. 2).

Un piano triennale che solo dopo gli iter autorizzativi regionali e romani (spediti e di qualità) sarà efficace; quindi una autonomia garantita e controllata come è giusto che sia e come si è sempre richiesto. Significativo il passaggio dell’alternanza scuola-lavoro se non verrà bruciato da superficialità, pastoie burocratiche e disinteresse da ambo le parti. Bene il dirigente leader capace di progettare, coinvolgere, stimolare, incentivare, purché sia uno scopritore di talenti e non vittima di un clientelismo sempre in agguato. Perché non si corra questo rischio è indispensabile che i vincoli e i controlli all’art. 7 non siano lettera morta.

All’art. 8 c’è il cancro del precariato da sanare, svuotando le GAE, mostruosità tutta italiana.

Un ulteriore punto di debolezza è dato da una ambiguità: il DdL scuola fa passi significativi di diritto quando in svariati passaggi parla di sistema scolastico pubblico integrato e statale e paritario; non si capisce quale sia la sorte dei docenti della scuola paritaria, laureati e abilitati, e spesso anche vincitori di concorso. Fra quei 130mila precari ci sono anche quelli che precari non sono, essendo di ruolo in una delle scuole pubbliche del sistema scolastico integrato, cioè la scuola paritaria; ma di fatto sono considerati docenti di serie B. Perché di ruolo si parla solo ed unicamente per la scuola pubblica statale: allora che sistema scolastico integrato è? I docenti della scuola paritaria, che pure “producono” alunni con titoli validi su tutto il territorio nazionale, ed esercitano un servizio pubblico, sono peggio dei figli in provetta che non si sa di chi sono (che l’esempio piaccia o no ai progressisti!).

E qui il mio pensiero si smarrisce: ritrovo un DdL ancora troppo timido e non ha saputo evitare la contraddizione in termini (per Aristotele sarebbe come un tronco…): mentre afferma che in Italia, come avviene in tutti i paesi civili d’Europa e d’oltreoceano, il sistema scolastico è integrato e le scuole paritarie e statali ne fanno pienamente parte, il DdL discrimina i docenti a seconda di dove insegnano, quasi a dire: “Caro docente, nel sistema scolastico pubblico e integrato i titoli da te ricevuti (laurea, abilitazione, eventuale concorso) si depotenziano magicamente se decidi di scegliere il pubblico paritario rispetto al pubblico statale, perchè la primogenitura è della scuola statale e solo qui sarai di ruolo, farai carriera e avrai uno stipendio, seppur basso per la categoria professionale, sempre però più alto dei tuoi colleghi che a parità di titolo e di competenza insegnano nella scuola paritaria”. Accettabile? Da parte di chi ragiona, non penso proprio.

Occorre almeno avere chiaro il problema: i docenti tutti del sistema pubblico e integrato di istruzione, a parità di titolo e di competenza, dovrebbero essere chiamati dal dirigente della scuola pubblica statale e dal dirigente della scuola pubblica paritaria, scegliendo dove insegnare, senza alcun ricatto economico, ma unicamente per la condivisione di una identità scolastica. Questa è civiltà. Almeno poniamoci la domanda: come è possibile che in un sistema pubblico, integrato ci siano ingiustizie così gravi?

Mi auguro che le leve di trasparenza e di buona organizzazione che questo DdL ha introdotto possano liberare le risorse dalla morsa dello spreco e reinvestirle nel sistema scuola.

Si riconferma il costo standard come il solo anello mancante che, mentre consente alla famiglia di scegliere, innesca una sana concorrenza tra le scuole sotto lo sguardo garante dello Stato. La strada è tutta in salita, ma è quella giusta: le detrazioni sono uno strumento di breve periodo, utili – più che a risolvere il problema – a sancire un passaggio culturale dal quale non si torna indietro. Il passo successivo sarà il costo standard dello studente e la piena garanzia di scelta della scuola da parte della famiglia senza dover pagare due volte, le imposte allo Stato e il funzionamento alla scuola pubblica paritaria. Interessante all’art. 14 la pubblicità dei dati, dei bilanci, del SNV, che rappresenterà un portale di accompagnamento delle istituzioni scolastiche, un supporto alle scuole su tematiche anche di natura amministrativa, contabile e gestionale, oltre che didattica. Introdurre il costo standard significa accompagnare le scuole verso la riqualificazione delle risorse e l’acquisizione di competenze di riorganizzazione amministrativa prima e gestionale poi, per rendere sostenibile la buona scuola di qualità ma senza sprechi. Ecco, credo sia questa contraddizione e lacuna il punto di debolezza più evidente del DDL, che comunque ha il merito di proporre passaggi coraggiosi.

 

D) La progettazione triennale e l’organico funzionale sono una risposta adeguata alle emergenze della scuola italiana?

 

R) Credo siano un ottimo punto di partenza, cosi come descritto all’art. 2. Lo sa bene un preside: una’identità non nasce dal nulla, necessita di un progetto almeno triennale, condiviso in un sistema più ampio, in cui il piano triennale sviluppi i punti di forza della scuola, che emergono dalla sua storia. E’ evidente che la vitalità di una scuola sarà rafforzata da una serie di piani triennali non in contrasto l’uno con l’altro, ma frutto di uno sviluppo coerente che costituisce – come dire – il “piano carismatico” della scuola, anche pubblica statale. Ogni scuola dovrà riflettere su questo aspetto di fondo, chiedendosi, in sostanza: “Chi sono? Come mi manifesto? Qual è il mio stile di formazione e di relazione con le varie componenti del progetto educativo”?

 Il piano triennale ha senso solo nel quadro di una identità. Che è, del resto, l’oggetto della scelta delle famiglie. L’organico funzionale alla progettazione, di conseguenza, risulta indispensabile per attuare il piano. Senza organico funzionale sarebbe come pretendere di volare senza ali, o di correre senza ruote… Il dirigente scolastico presenta il piano triennale al Miur che, oltre a verificare il rispetto degli indirizzi strategici di cui al comma 3 del DDL, ne valuta la sostenibilità di risorse finanziarie e di organico in una visione di insieme. Nel saggio del 2010, “La Buona Scuola pubblica statale e paritaria”, al Cap V Casus di specie, definivo la buona gestione per una buona scuola con una esemplificazione molto concreta: una gestione innovativa consente una ristrutturazione organizzativa che, attraverso alcuni processi sistemici, porta l’organizzazione ad un equilibrio economico finanziario nonostante le scarse risorse.Tale equilibrio consente, ad esempio, di monitorare, abbassandoli, i contributi al funzionamento delle scuole pubbliche paritarie per renderle accessibili ad un numero molto più elevato di famiglie.

Pertanto: una gestione innovativa consentirà alla scuola pubblica (non solo paritaria, ma anche statale) di avere dei costi molto più contenuti; superando lo spreco delle risorse, la buona scuola pubblica potrà recuperare lo spazio per un reale investimento progettuale.

Soltanto una sana gestione, fondata sopra una solida identità carismatica, superata l’emergenza degli sprechi potrà segnare il passaggio dalla politica del “mantenimento” a quella del “rilancio progettuale”. Questo percorso darà l’avvio ad un corretto investimento delle risorse nella formazione dei docenti e di tutto il personale scolastico, nel congruo riconoscimento della loro professionalità, nel miglioramento degli standard educativi e formativi dell’allievo, nella ristrutturazione e messa in sicurezza degli edifici e delle attrezzature scolastiche.

Da qui il mio giudizio positivo su una programmazione triennale come all’art. 2 del DDL se si rispettano le condizioni che ho descritto.

 

D) L’organizzazione della scuola cattolica potrà essere un modello?

 

R) Credo di sì se sappiamo discernere la scuola pubblica paritaria cattolica alla quale fare riferimento. E’ data infatti l’esperienza, da un lato, di una scuola contestata, strumentalizzata, considerata un bene di lusso che regala i titoli di studio, ledendo ogni criterio di equipollenza; una scuola dove non mancano atteggiamenti di discriminazione nei confronti di alunni disabili – non supportati economicamente dallo Stato, come da loro diritto – o con cittadinanza non italiana e dove non mancano abominevoli episodi di docenti costretti a lavorare gratis.

Da un altro punto di vista si constata l’esistenza di una scuola pubblica paritaria cattolica rimasta tenacemente ancorata alla sua linfa secolare, che si è evoluta rispetto all’utenza delle origini, che forma eccellenze culturali a livello mondiale, animata dall’unico scopo di essere una scuola di qualità accessibile a tutti quanti ne condividono l’offerta formativa, nessuno escluso per ragioni sociali economiche religiose, oltre ogni filtro impostole dal sistema legislativo.

Si tratta realmente di un modello distonico da Mr. Jackill e Mr. Hyde? 

Probabilmente sarebbe considerato meno distonico se il cittadino iniziasse a selezionare e distinguere in modo serio e rigoroso – mettendosi nei panni del desiderato, agognato Stato Verificatore e Valutatore – i soggetti che operano nell’ambito del Sistema Nazionale d’Istruzione (SNI): si potrebbe smascherare in tal modo la “finta scuola paritaria business” indegna dell’attributo di “scuola” – su cui spargere il sale dopo averla rasa al suolo -, gravemente lesiva del SNI, e la scuola pubblica paritaria cattolica di qualità.

In questi anni la scuola pubblica paritaria cattolica seria ha introdotto tecniche organizzative, gestionali, manageriali per raggiungere un sano equilibrio economico-finanziario, consapevole che l’assenza di un supporto dello Stato l’avrebbe costretta ad applicare rette sempre più alte, ledendo così sempre più gravemente la libertà di scelta delle famiglie.

La scarsità delle risorse la vede impegnata quotidianamente in una lotta da un lato per l’esistenza e dall’altro per una intraprendenza profetica, nel disperato tentativo di conciliare solidarietà ed efficienza, gestione e fedeltà all’ispirazione della sorgente. La difficoltà di questa lotta per l’esistenza e per l’intraprendenza, che rappresenta il Tallone d’Achille di una scuola pubblica paritaria, ne rappresenta anche la chance che la rende una scuola efficiente ed efficace, scelta da molte famiglie nonostante il non indifferente impegno economico.

Gli innumerevoli vincoli, che legano la scuola pubblica paritaria cattolica, invece di stenderla al tappeto l’hanno resa una scuola che funziona. Al fine di ottenere e mantenere la parità, offrendo una proposta formativa fedele alla mission di ispirazione – oltre ogni fatica economica e ogni solitudine – essa ha tenacemente cercato le vie percorribili al fine di rispettare le seguenti condizioni di qualità:

 

• locali idonei, sicuri e rispondenti alla normativa;

• programmazione curricolare pienamente rispondente alle Indicazioni Nazionali;

• iscrizioni regolari degli alunni;

• assunzione di docenti abilitati – spesso dopo estenuanti e inutili ricerche nelle uniche graduatorie disponibili, quelle dei non abilitati, di certi uffici scolastici.

 

In realtà è solo la fedeltà alla Mission che ha permesso alla scuola pubblica paritaria cattolica di trasformare questi filtri e vincoli da semplici elementi funzionali e strumentali a punti di merito, perché mossa non dal mito dell’efficienza, ma dall’obiettivo della qualità; solo attraverso quest’ultima passa la strada che contribuisce alla formazione dei giovani che renderanno migliore la società. Che è il compito della scuola da sempre.

Si scopre così una scuola pubblica paritaria cattolica che, secondo un autentico spirito evangelico:

 

– contribuisce al superamento del gap economico fra gli allievi;

– favorisce in ogni modo il diritto di tutti ad acquisire le conoscenze necessarie per partecipare alla vita sociale e politica nel mondo contemporaneo;

– incentiva e promuove l’integrazione del diverso (diverso da chi, poi, e chi lo stabilisce?)

– incrementa la collaborazione e la crescita professionale dei docenti, qualificandoli e formandoli alla Mission spesso secolare, insieme a tutto il personale;

– approfitta della riforma scolastica come occasione di ampliamento, piuttosto che di riduzione, dell’offerta formativa (a parità di spese);

– segue gli allievi one to one, con una particolare attenzione ai ragazzi diversamente abili o con DSA (avendo attrezzato i docenti con l’opportuno aggiornamento);

– valorizza e persegue la centralità dell’alunno, nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle vocazioni, delle differenze e della identità di ciascuno nel quadro di una cooperazione tra scuola e genitori;

– migliora la qualità e i livelli del servizio scolastico, rilanciando in modo propositivo il sistema dell’istruzione e della formazione anche attraverso iniziative di supporto, di promozione e di potenziamento, finalizzate ad una scuola di qualità;

– propone un’offerta formativa di alto e qualificato livello, capace di corrispondere alle esigenze di sviluppo del territorio;

– responsabilizza i presidi e i consigli di presidenza anche in ordine ai risultati delle attività amministrative e della gestione e valutazione degli stessi secondo criteri oggettivi, chiari e misurabili.

 

La Mission diviene così forza motrice che sollecita alla scuola gli interventi di carattere strutturale e organico, ma suggerisce anche tecniche e metodologie funzionali che le consentono di interpretare le attese e le esigenze dei giovani: in regime di parità, è una scuola pubblica che, facilitando ed orientando le scelte, offre reali opportunità formative attraverso la flessibilità e la personalizzazione dei percorsi, avvalendosi di competenze umane e professionali idonee allo scopo. E’ questo l’elemento qualificante di una scuola paritaria cattolica seria che ha saputo trasformare il proprio punto limitante, cioè il filtro di accesso e i vincoli, in intraprendenza profetica.

In generale, una scuola paritaria che ha saputo trasformare un proprio limite in una chance di qualità, nonostante enormi sacrifici economici, viene scelta dalle famiglie per i suoi tratti distintivi e questo può certamente essere utile anche alla scuola statale come emerge dal DdL:

 

  1. L’originalità della scuola paritaria di qualità (SPQ) va ricercata nella libertà. E’ la libertà che ne presidia l’autenticità e ne fonda l’utilità per il Sistema Nazionale di Istruzione;
  2. Il fine: la SPQ si configura come scuola per la persona e delle persone. Questa consapevolezza esprime la centralità della persona nel progetto educativo, in particolare della scuola di ispirazione cristiana, ne rafforza l’impegno educativo e la rende idonea ad educare personalità forti; è la scuola che ha il coraggio di stipulare un patto formativo con i propri allievi e ristabilisce la responsabilità educativa delle famiglie.
  3. L’impegno a guidare gli alunni nella conoscenza di se stessi, delle proprie attitudini e delle proprie interiori risorse, per educarli a spendere la vita con senso di responsabilità.
  4. La funzione di trincea:la SPQ, fedele alla propria mission di fondazione, spesso sceglie di essere presente nei luoghi più dispersi ove non è presente la scuola pubblica statale, affinché nessuno resti escluso. Se è vero che una caratteristica del modello di scuola pubblica è che lo Stato non può esimersi dall’essere presente ove il territorio chiama, è altrettanto reale che la scuola pubblica paritaria cattolica spesso soddisfa questa necessità rispondendo ad un bisogno con intraprendenza coraggiosa e liberando per lo Stato risorse preziose da impiegare altrove.
  5. Nella dimensione ecclesiale della scuola cattolica, si radica anche il distintivo della scuola pubblica paritaria come scuola di tutti e “per ciascuno”, con particolare attenzione ai più deboli. La storia ha visto sorgere la maggior parte delle istituzioni educative scolastiche cattoliche come risposta alle esigenze delle categorie meno favorite sotto il profilo sociale ed economico. Non è una novità affermare che le scuole cattoliche sono state originate da una profonda carità educativa verso giovani e ragazzi abbandonati a se stessi e privi di qualsiasi forma di educazione. Le fatiche economiche l’hanno spinta negli anni a ricercare un equilibrio interno al fine di non applicare rette troppo elevate e di introdurre borse di studio, consentendo l’accesso ai meno abbienti e sensibilizzando i più abbienti a farsi carico del costo delle persone più deboli.

 

In estrema sintesi: una scuola pubblica paritaria cattolica di qualità, realizzata attraverso la razionalizzazione e l’ottimizzazione di tutte le risorse disponibili, la centralità dell’investimento educativo e formativo per meglio corrispondere alle attese e alle aspirazioni degli studenti e delle loro famiglie, e in cui è valorizzato il lavoro degli insegnanti; una scuola all’insegna di due fondamentali principi, quello della solidarietà e quello dell’eccellenza per tutti e per ciascuno, può essere considerata un punto di partenza per il sistema scolastico italiano teso a formulare il “Modello di una Buona Scuola Pubblica”, statale e paritaria.

 

D) La scuola cattolica dalle innovazioni proposte potrà avere dei benefici e dei vantaggi?

 

R) Credo che la scuola pubblica paritaria cattolica, da questo DdL, si ritrova pienamente parte del SNI come da anni è stato dichiarato. Potrà certamente innovarsi alla luce di quanto sopra detto e sperare in una leale e bella concorrenza sotto lo sguardo di uno Stato garante; questo la renderà una scuola sempre più al servizio della societas.

 

D) Nei cortei si accusa il Governo che sostiene la scuola cattolica per lo sgravio fiscale di 400 euro. Che ne pensa? Cosa rispondere a quanto prevenuti contestano e accusano?

 

R) Da anni la mia risposta resta la medesima e non arretra di un centimetro.

 

– Dal 1948 ad oggi si è assistito alla discriminazione degli allievi, figli di famiglie che, volendo caparbiamente esercitare il diritto alla libertà di scelta educativa, che fa parte dei Diritti Umani, hanno affermato questa libertà indirizzandosi verso la scuola pubblica paritaria. Discriminazione che appare feroce verso i figli dei poveri, che non possono scegliere.

– E’ proprio la nostra Repubblica che ha riconosciuto loro questo diritto all’art. 3 della Cost., in un pluralismo educativo all’art. 33; l’Europa, con le Risoluzioni del 1984 e del 2012 lo ha espressamente richiesto; la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo rivendica la libertà di scelta educativa sia per l’individuo che per la famiglia.

– La libertà di scelta educativa può esercitarsi solo ed unicamente in un pluralismo educativo come sancito dalla Costituzione italiana all’art. 33 e all’art. 118 “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.”.

 

Dunque, mentre è stato chiarito che publicum est pro populo, si è evidenziato che pubblico è ciò che è fatto per l’interesse pubblico, quindi non implica necessariamente e solo la gestione statale.

Chi non intende le ragioni del diritto, intenderà quelle dell’economia: le famiglie che scelgono la scuola pubblica paritaria pagano e le tasse per la pubblica statale e le rette per formare i loro figli. Dunque, triplo vantaggio: 1) offrono un gettito di imposta per la scuola statale a fondo perduto; 2) fanno risparmiare ben sei miliardi di euro allo Stato, costituenti un’entrata a fronte della mancata spesa, e 3) formano per la collettività cittadini in grado di produrre ricchezza con il loro lavoro. Attualmente, i cittadini lavoratori formati dalle scuole pubbliche paritarie non sono costati una lira allo Stato: semplicemente lo arricchiscono. Dunque gli convengono.

Ma in una democrazia non possono esistere cittadini di serie A e di serie B.

Pertanto ben venga la detrazione fiscale nel breve periodo, che si perfezioni speditamente verso il costo standard per allievo, fattore di efficienza e di sostenibilità nel buco nero della pubblica istruzione.

Detrazioni fiscali di massimo 400 euro annui per una famiglia della pubblica paritaria, a fronte del costo di un allievo alla scuola statale di ben 8.000 euro annui solo di spese correnti, mi pare una cifra ben meno che simbolica – seppur ribadisco garantisce un diritto in capo alla famiglia per la prima volta. Entrambe le famiglie (della paritaria e della statale) hanno pagato le tasse per un sistema scolastico integrato e plurale. Poi, se quello che fa problema è che vi siano scuole cattoliche – anche se lo abbiamo detto in tutte le lingue del mondo che la scuola pubblica paritaria è sia cattolica, sia laica, sia ebraica ecc. – si dia alla famiglia la possibilità di scegliere e se nessuna di queste scuole sarà scelta, bene: avranno chiuso. Se questi signori sono cosi certi della loro idea raccolgano la sfida che forse questo governo ha lanciato. Si badi bene: la laicità pura non teme mai il confronto e se non genera autentica libertà di scelta, smette di chiamarsi laicità e si chiama dittatura, monarchia assoluta.

L’homo ideologicus del corteo dichiari apertamente che l’individuo, la famiglia non ha il diritto di scegliere l’educazione per il figlio e pertanto non ne ha la responsabilità; quindi deve essere interdetta e lo Stato deve intervenire in sua vece.

 

D) Ai cinque punti di criticità: titolarità territoriale, eliminazione delle garanzie contrattuali, valutazione, scatti di anzianità e assunzioni, ci sarà forse di aggiungere altro: ruolo dei genitori.

 

R) Non sono certa che questi aspetti siano critici, o meglio, che non abbiano i loro tratti interessanti. Sono a favore della valutazione seria, trasparente, pubblicizzata in modo puntuale, di tutto il sistema scolastico poiché rappresenta una leva di buona gestione. Sugli altri aspetti mi riservo di attendere gli sviluppi. Ritengo inoltre che, benché la famiglia entri in questo DDL e in qualche modo la si coinvolga, essa non è ancora un attore principale quale dovrebbe essere, avendone la responsabilità educativa, in quanto non ha la possibilità di scegliere il progetto educativo, l’identità di scuola pubblica (paritaria oltre che statale) che i genitori ritengono consoni alla propria visione della vita. Questo DDL ha il grande pregio di introdurre criteri di autonomia, competenza, merito, valutazione, ma lascia, proprio per questo, un po’ l’amaro in bocca poiché la detrazione di 400 euro, benché sia un passo avanti, non può considerarsi la garanzia di un diritto inalienabile qual’ è la libertà di scelta educativa in un pluralismo educativo. Il cittadino povero, la badante, l’operaio semplice, il fattorino, il portinaio non possono scegliere. Ma occorrono fiducia e volontà di non mollare riguardo ad un aumento della detrazione e soprattutto riguardo alla “prospettiva salvifica” – per scuola pubblica statale e pubblica paritaria – del costo standard.

 

D) Come saranno gli studenti della scuola con una così ricca overdose di competenze?

 

R) Le competenze non potranno mai essere una “overdose” perché la persona umana non è un vaso da riempire… La scuola pubblica italiana, paritaria e statale, ha già una tradizione avanzatissima di conoscenze, come dimostrano i nostri nomi di eccellenza sparsi per il mondo. Ciò che le occorre ora è un collegamento più diretto con la realtà delle aziende, del mondo produttivo, anche culturale. Occorre che gli studenti siano messi in grado di “far fruttificare” i loro talenti e non solo gli alunni dei CFP o dei Licei Tecnologici e Scientifici, ma anche quelli che scelgono studi classici. Il mondo deve ripartire con uno slancio di competenze culturali basate soprattutto sulla riflessione, sul pensiero, sulla logica, sull’apertura mentale. Il massacro dei 147 studenti universitari in Africa deve dirci qualcosa…. Vogliamo finire tutti così? Il mondo si è distratto: ha tralasciato la cultura, la riflessione, il pensiero fecondo sulla storia e sulla persona umana. E questo è il risultato.

 

D) La centralità educativa sembra poco evidenziata esplicitamente. Cosa si suggerisce per rimetterla al centro del sistema?

 

R) Non potrà farlo certamente un DDL. Potremmo riporla al centro se avessimo tutti il coraggio di ricollocare la famiglia quale cellula fondante alla base della societas; una famiglia soggetto del diritto, messa in condizione di orientare a proprio favore le scelte educative, culturali, sociali, economiche, politiche. La scuola pubblica (paritaria e statale) si deve preparare ad “essere scelta” dalla famiglia e quindi dovrà avere una propria identità nell’assoluto rispetto degli standard dettati dallo Stato garante. Ma finché la famiglia sarà considerata un mero strumento da sfruttare per politiche di mercato e sociali utili ad un sistema di “sussidiarietà al contrario” (la famiglia sostiene lo Stato e non viceversa, come dovrebbe essere), nessun ddl potrà ridare senso all’educazione. Si restituisca da parte di ciascuno di noi, chiesa, politica, economia, scuola, la dignità alla famiglia riconoscendole quel ruolo educativo defraudato da tante logiche miopi e da tanti compromessi.

 

D) Le nuove tecnologie saranno veramente il futuro della scuola?

 

R) Credo delle nuove tecnologie nella misura in cui saranno strumenti, mezzi e non fini.

Spesso noi viviamo di mode che passano,ma sui ragazzi non possiamo rischiare. Le nuove tecnologie, in sé, non sono solo il futuro della scuola, ma della società civile. Già sono in uso dappertutto. Si pensi alle transazioni e agli acquisti online, all’uso degli smartphone. Non parliamo di chi, come la sottoscritta, opera in campo amministrativo e gestionale… Vivo di pane e schermate di bilanci. Per fortuna anche di Altro… Ma la tecnologia non deve essere sdoganata come l’eccellenza di una scuola. Dovrà essere uno degli elementi di normalità e neppure ciò di cui vantarsi. La classe della primaria 2.0 mi fa paura se non è accompagnata da docenti ben preparati, equilibrati, consapevoli del loro ruolo educativo, edotti sulle radici identitarie della propria scuola, disponibili al dialogo costruttivo con la famiglia, collaborativi nella propria équipe socio-educativa…

Mi sono spesso domandata se l’utilizzo dei tablet non sia spesso lo specchietto per le allodole e lo strumento di un inganno ulteriore per la famiglia. Il tablet è divertente, all’inizio, ma non è da questo strumento – sicuramente utile – che dipendono le sorti della cultura e della civiltà italiana. Le LIM sono strumenti meravigliosi,ma ho notizia di scuole che hanno dovuto aspettare un mese per ricevere la promessa assistenza tecnica per il piccolo guasto… Lascio immaginare quando le scuole hanno duemila alunni e 100 classi… Resta sempre valido il consiglio di tenere sempre una lavagna bianca con pennarelli cancellabili nelle classi!