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A scuola di Multitasking

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Avete presente i bambini piccoli, quando giocano ma riescono contemporaneamente a partecipare a un dialogo? Spesso ne rimaniamo sorpresi ma è un’abilità che abbiamo tutti e purtroppo sparisce con l’età dopo la fase del pruning, o “potatura” delle connessioni neurali. Questo multitasking nativo fa leva sull’effetto Zeigarnik, la tendenza a ricordare meglio ciò che non abbiamo terminato e ad “archiviare” i compiti che riteniamo conclusi, ed è un’abilità energivora insostenibile a lungo.

A un certo punto però si è fantasticato di ripristinarla a fini produttivi, ma già negli anni ’60 lo psicologo Mihály Csíkszentmihályi (quello del Flow) aveva calcolato che gli umani adulti non elaborano più di 100-120 bit al secondo, circa la capacità di capire ogni parola di due persone che parlano contemporaneamente. La psicologa Gloria Mark, che da anni studia la soglia di attenzione dei lavoratori, ha rilevato che negli anni ’20 del nostro secolo questa è scesa a una media di 47 secondi ed è in costante calo dagli anni ’70, cioè dall’introduzione del computer in ufficio. Tenere molti progetti aperti quindi non è che un’illusione di maggiore produttività perché non viene conteggiato mai il costo di switch e di monitoraggio dei task aperti, e alla fine svolgendo i compiti in parallelo si termina più tardi e più stanchi che non in modo seriale.

Sono un insegnante e mi interessano molto le nuove tecnologie perché non appena vengono introdotte impattano quasi immediatamente su come insegniamo ai ragazzi. La velocità e la conoscenza sono gli aspetti operativi più caratteristici delle IA, e forse il successo immediato che hanno avuto è dovuto al fatto che riescono a coniugare la nostra perduta capacità infantile di multitasking con le competenze adulte, incarnando l’ideale lavorativo che abbiamo inseguito per decenni.

Alcuni think-tank come il Center for Humane Technology e il Future of Life Institute negli USA, o il Future of Humanity Institute di Oxford, oggi chiuso, criticano l’eccessiva presenza di tecnologia nelle nostre vite ma ammettono che l’idea neoliberista di progresso infinito ancora non viene messa in discussione da nessuno, anche perché l’innovazione procede così veloce che è difficile starle dietro, figuriamoci avanti. Chi dovrebbe guidarci – politica, scuola, famiglia – spesso sceglie la via facile e replica schemi conservatori, a volte beceri, che auspicano un confortante ritorno alla tradizione scegliendo semplicemente di schivare o toccare solo superficialmente la questione.

Il Regolamento Europeo sulla IA è una legge importante ma dobbiamo decidere anche cosa fare del principio di Copyright in vigore dal 1886, dato che per la prima volta Meta ha dichiarato di avere usato (“correttamente”) materiale in diritto d’autore per i suoi Large Language Model (LLM) ed è facile pensare che l’abbiano fatto tutti gli altri produttori di IA. Molti lavori (creatività, ricerca, coding) non saranno più appetibili perché replicarli è fin troppo facile e investirci anni di studio diventa sconveniente. Se per un adulto forse sarà più semplice riciclarsi grazie a un’educazione analogica, come dobbiamo orientare i quattordicenni di oggi che saranno laureati nel 2035? Dieci anni è quattro volte il tempo che è passato da ChatGPT 3 a oggi, e intanto forse già nel 2027 avremo un’Intelligenza Artificiale Generale. Con queste premesse, frutto non della natura ma di un’ideologia, le IA ci batteranno sempre proprio perché riescono a lavorare sia veloci che in multitasking. Come dice il professor Benjamin Breen (traduzione mia): “gli LLM […] rischiano di produrre una generazione di studenti che semplicemente non ha mai sperimentato la sensazione di un lavoro intellettuale concentrato”.

La scuola insegna a coltivare lentezza e profondità perché solo così si allena il sistema lento, la meno spontanea delle due modalità di pensiero – lenta e veloce – ben descritte dal premio Nobel Daniel Kahneman. Ed è il sistema lento quello che realisticamente ci può far conservare un margine di vantaggio che ci consenta di collaborare con le IA e non competere con loro. Oggi è prima di tutto importante ribadire che il ruolo sociale della scuola non si fonda sulla logica economica di velocità e profitto che sottostà al pensiero veloce. E se da un lato è giusto avvicinare la scuola al mondo del lavoro, dall’altro lato non si può snaturarne il compito per inseguire un paradigma di efficienza; compito che è dare alle persone conoscenze, saper fare e strumenti per un apprendimento permanente, e non produrre degli automi lenti in competizione con un’economia moderna di automi veloci.

Giordano Vintaloro