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Abbigliamento ed educazione

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Alcuni degli studiosi che hanno contribuito (e continuano) al dibattito culturale sull’adolescenza, da Charmet, a Crepet, a Françoise Dolto, propongono e hanno proposto uno stesso messaggio che viene fornito agli educatori e che nasce da una profonda riflessione sui ragazzi e sulla crescita: per crescere è necessario il No, tanti No.

Per crescere è necessario che questi No siano ragionati e condivisi fra i genitori, numerati anche,

Per crescere è necessario che questi No siano coerenti, non umorali,stabiliti e non negoziabili, se non in situazioni particolari, in cui le forze in campo, più punti di vista, consentono di rivedere un contesto e i fatti accaduti al suo interno, da prospettive diverse, ognuna delle quali ha una sua quota significativa di verità e utilità.

Perché il No aiuta a crescere? Perchè impone una crisi, ovvero l’esperienza del limite; essa costringe a strutturare e ristrutturare i significati stabiliti, che se lasciati lì a cristallizzare aprono le porte allo stereotipo, al pregiudizio, al prodotto di serie piuttosto che all’originalità dei percorsi, tragicamente anche al delirio.

Il No costringe il ragazzo a rivedere, a pensare in altri termini, a cercare alternative, strategie…è un dono verso la crescita che gli facciamo, non una prepotenza o un abuso.

Non è del tutto senza precedenti il fatto che ha dato vita all’attuale discussione sull’abbigliamento dei giovani; a memoria ne ricordo altri simili e ogni volta, dopo un gran parlare e scrivere, la questione è caduta in un progressivo oblio, fino alla volta successiva. Questo deve far riflettere! Questa volta vogliamo andare oltre le parole?

Dover vietare ai ragazzi di vestirsi da discoteca per andare a scuola , adesso, è il risultato di un lassismo educativo che sta dando i suoi frutti e che richiama in causa responsabilità collettive, ma anche generazionali e che, in una prospettiva anche sociologica, affonda le radici in un lavoro di sedimentazione e consolidamento di profili generazionali.

Sarebbe auspicabile che una società,una comunità, non debba arrivare al divieto ufficializzato; sarebbe stato necessario quindi che come società, come comunità educante, fossimo stati capaci di creare lo spazio ed il tempo per spiegare i divieti progressivamente proposti , lasciarli comprendere ed elaborare verso l’accettazione della diversità dei contesti di vita, micromondi, ognuno con delle regole di comportamento e di convivenza; ognuno di questi micromondi è una palestra al vivere sociale e civile, ma anche all’affettività a cui il ragazzo va gradualmente educato e non perentoriamente introdotto sulla base di una progressione anagrafica ( crescita) che ormai, nel senso comune, fa tutt’uno con deresponsabilizzazione da parte degli adulti.

E’ evidente, e si coglie nei discorsi , un atteggiamento da parte dei grandi ad attendere le età, come tappa anagrafica, e ad attribuire a quel cumulo di giorni, quasi una raccolta di punti, un valore di maturazione che sembra investire il giovane nell’interezza dei processi di crescita che lo riguardano e che invece rispondono, solo e realmente, ad un aumento di statura, di peso, di forme, di forza anche. Gli adulti si stanno abituando a considerare grandi i giovani sulla base dell’esteriorità, in un processo a ritroso che esclude ed ignora invece il percorso interiore che è molto più importante dei processi accrescitivi in cui è coinvolto il corpo. Si dà per scontato che un ragazzo sia grande perchè è alto, perchè guida il motorino o è in grado di farlo- si confonde l’effetto con la causa- che una ragazza sia grande perchè usa i tacchi o indossa la minigonna…mentre si ignora, (volutamente? per quieto vivere?) che questi sono solo segnali esteriori che dovrebbero essere supportati da un percorso interno.

La ragazza che protesta alle restrizioni sull’abbigliamento e si dichiara matura quanto ha veramente la consapevolezza, affettiva, emotiva e cognitiva, dell’impatto della sua "maschera" sulla società? Quanto saprà veramente stare in quel ruolo di donna che si è tagliata addosso? E quanto quel ruolo da adulta, che gli riconosciamo perchè appare da donna, la priverà di quel naturale sostegno che invece si garantisce ai piccoli, ai soggetti in crescita?
E perchè gli adulti sentono il bisogno di sottrarre quanto prima possibile quel sostegno?

Quanti ragazzi e ragazze, percepiti "grandi", hanno pagato la loro presunta maturità sull’asfalto delle nostre città?Forse troppi… le cronache del fine settimana urlano impietosamente.

Ora i ragazzi, quelli dell’ombelico al vento e dei piercing ovunque,vivono la critica con fatica, anche con dolore, spesso con rabbia e tacciano i grandi di anacronismo, anche perché la critica gli arriva forte, prepotente ed arrogante come spesso sappiamo essere dall’alto delle nostre età e della fretta….anche invadente. I ragazzi amano essere al centro se lo stabilisco loro…li stiamo disturbando due volte…criticandoli senza assumerci le responsabilità di adulti educatori e mettendoli al centro di luci che non hanno chiesto di accendere.
Il risultato?

Si arrabbieranno, si sono arrabbiati, si allontanano ancora di più, si chiudono nel gruppo e si sostengono fra di loro. E questo è un bene, nel gruppo, in quel farsi da genitore l’un l’altro i ragazzi imparano i ruoli e i giochi della vita, affinano l’affettività, le abilità sociali, ma il gruppo non deve mai diventare l’unico posto in cui sentirsi Persone. I ragazzi devono potersi riconoscere individui anche al di fuori del gruppo… che svolge una funzione di supporto unica nell’arco della vita. Quel bisogno del gruppo, di confondersi al suo interno, attraverso una somiglianza digesti, linguaggio, gusti, abbigliamento ed interessi non è espressionedi una mancanza di valori, di intelligenza, o personalità ma l’anticameradi una fioritura che trova, nella discrezione dell?omologazione temporanea, lo spazio per la cura del proprio seme. Il gruppo quindi è un luogo di crescita che va rispettato e protetto, non attaccato o temuto ma avvicinato, discretamente,guardato ma non invaso. Ancora una volta è una questione di dialogo, di spazio di confronto; un genitore che si ferma a parlare con il figlio, che parli dell’ombelico o di quel maglione enorme o di un viso imbronciato, sta regalando un’esperienza che non ha prezzo:il proprio tempo, l’attenzione, il riconoscimento di uno stato di esistenza, che non deve necessariamente darci dei frutti…non possiamo pensare di parlare per ottenere…ma di parlare per aprire un dialogo, per educare all’ascolto…i ragazzi amano essere notati, essere confermati come persone…ma poi amano che li si lasci fare…lasciare fare…il difficile compito di chi accompagna una persona come si lascia camminare il bimbo piccolo ai primi passi e gli si sta accanto pronti a sollevarlo se va giù…anche l’adolescente sta imparando a trotterellare, questa volta non sulle gambe ma sulle strade della vita e deve potere cadere, sapere di potere cadere…e questo avviene se è stato amato, educato al confronto, alla discussione, al limite, ai confini…se ha chiarezza del proprio esserci nel mondo- e che questo esserci si incrocia con quello di altri- e questa chiarezza germoglia solo lentamente, in una relazione profonda , in cui si parla, si ascolta, si tace, si cura…una relazione che fa anche del silenzio ( ci vuole anche quello) lo spazio dell’elaborazione e della crescita.

Allora la domanda: vietare o non vietare l’abbigliamento da discoteca a scuola?

Vietare per creare il dibattito, la discussione, per mettere in campo le forze e giocare una partita nuova, quella del confronto. Partire da un atto di forza, da un No che si fa negoziabile per una doppia lezione ai nostri ragazzi: una sul valore sociale dell’abbigliamento e una , molto più importante, consentitemi, sulla flessibilità , sulla capacità di ascoltare, mediare esigenze e punti di vista diversi…più lunga come strada…ma forse, tra qualche mese vedremo meno ombelichi…nonostante i 40° delle nostre estati sempre più anticipate e calde.

Bibliografia e siti
Françoise Dolto, "Adolescenza", Oscar Mondadori

Paolo Crepet in: http://www.paolocrepet.it/index.htm

Gustavo Pietroppolli Charmet in: http://www.minotauro.it/

Massimo e Niccolò Ammaniti, "Nel nome del figlio", Psicologia Oscar Mondadori