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Bambini e dipendenza dagli schermi: in Francia è forte la tentazione del proibizionismo

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È tempo di referendum in Italia e anche in Francia il Presidente Macron era stato tentato di lanciarne uno all’attenzione del popolo francese. Ma non su un tema politico, no. Almeno non nel senso che si suole attribuire al termine. Macron già l’anno scorso aveva dato mandato a una commissione scientifica di studiare gli effetti degli schermi – smartphone, tablet, computer, televisione – sul cervello dei più piccoli. Qualche settimana fa il responso: i bambini andrebbero esposti agli schermi non prima dei sei anni, perché l’impatto sul loro cervello è devastante. Ad esempio, è triplicato il rischio dell’insorgenza di disturbi primari del linguaggio, rischio che si raddoppia ulteriormente se il bambino non discute mai o raramente con i suoi genitori.

Secondo quanto registrato in questi giorni dalla stampa francese, Macron avrebbe, comunque, abbandonato l’idea di sottoporre il tema a referendum. Anche perché una larghissima parte dell’opinione pubblica e degli specialisti in materia ritiene che il ‘proibizionismo’ non serva a nulla. Proprio qualche giorno fa il quotidiano Le Figaro ha pubblicato un articolo –  firmato da medici, docenti universitari ed esperti in psicologia clinica – il cui titolo focalizza bene il problema: “Vietare gli schermi prima dei sei anni: una falsa buona idea”. Buona perché in realtà sono tutti concordi nell’affermare che l’esposizione agli schermi dei bambini troppo piccoli è certamente dannosa; falsa perché proibire così, tout court, non paga mai.  I firmatari dell’articolo, cofondatori e membri del consiglio d’amministrazione dell’associazione ‘1001 parole’, non hanno dubbi:  occorre ridurre il più possibile l’esposizione agli schermi dei bambini più piccoli, per evitare disturbi del sonno, sovrappeso e altri problemi che possano comportare un ritardato sviluppo del linguaggio. Ma soprattutto per dare spazio a tutte quelle attività favorevoli a un sano ed equilibrato sviluppo cognitivo dei bambini.

Molti genitori – sostengono gli specialisti dell’associazione – sono affascinati dalle nuove tecnologie e sono convinti che un tablet, con i suoi cosiddetti contenuti educativi, sia più utile per i loro figli rispetto a un momento, percepito come banale, trascorso insieme a loro a osservare il mondo esterno dalla finestra di casa. In realtà – continuano –  è tutto il contrario. Non è da retrogradi desiderare un mondo in cui i bambini stiano alla larga da tablet e smartphone, anzi, è il modo migliore per sviluppare in loro curiosità, capacità di ragionamento, empatia. Insomma, il modo migliore per preparare il loro avvenire.

Tuttavia, l’associazione ‘1001 parole’ comprende bene che per molte famiglie è complicato educare correttamente un bambino: ad esempio, le mamme che da sole devono crescere un figlio trovano che sia  molto più comodo piazzarlo davanti alla televisione o a un computer mentre stirano o preparano da mangiare. Una soluzione-miracolo non esiste, ma di certo non è il proibizionismo. Perché poi, parliamoci chiaro, come fare a controllare che i genitori rispettino il divieto?

L’unica, possibile, via d’uscita è ricostituire una forte alleanza tra scuola e famiglia. A fronte di famiglie fragili e socio-culturalmente deprivate, i docenti – soprattutto nella scuola dell’infanzia e nella primaria – dovrebbero consigliare ai giovani genitori, spesso inesperti, come intrattenere proficuamente i loro bambini durante il tempo libero: semplici giochi, storielle e filastrocche, disegni e costruzioni, attività che rendano il bambino sempre più sveglio e attivo e sempre meno fruitore passivo e dipendente dagli schermi.