Home I lettori ci scrivono C’era una volta l’ipotesi. Come muta la scuola con la legge 107

C’era una volta l’ipotesi. Come muta la scuola con la legge 107

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Una riflessione critica su alcuni punti della legge 107/2015, cosiddetta “buona scuola” ci consente di capire come questa legge non cambia solo la condizione dei docenti, ma cambia tutta la scuola, il suo modo di essere e di funzionare.
Ancor di più, ci consente di vedere come le disposizioni in essa contenute rappresentino un grave vulnus alla centralità assegnata dalla Costituzione alla scuola statale. Una centralità ed un ruolo tanto rilevante da far dire a Piero Calamandrei, che della Costituente fece parte, che la scuola è “un organo costituzionale”, come lo sono il Parlamento, il Governo, la Corte Costituzionale. E, più recentemente, da far dire a Ferdinando Imposimato che la scuola è “organo centrale della democrazia”, da cui parte il sangue che rinnova tutti gli altri organi, giorno per giorno.
Allora, aggiungo, se quest’organo smette di alimentare gli altri organi con la sua linfa vitale, che è l’educazione alla libertà e alla democrazia, è l’intero corpo sociale a risentirne e ad ammalarsi. Una pessima scuola formerà dei pessimi ingegneri, e avremo palazzi, ponti e strade insicure; dei pessimi architetti, e avremo città brutte e case invivibili; dei pessimi medici, e correremo sempre il pericolo di essere operati per un raffreddore o di non alzarci da un letto di un ospedale; dei pessimi giudici e dei pessimi avvocati, e staremo a cercare una giustizia che essi non saranno in grado di darci; dei pessimi insegnanti che continueranno a formare quelli che saranno pessimi ingegneri, pessimi architetti, pessimi avvocati, pessimi giudici, che renderanno il Nostro un pessimo Paese.

In ogni Paese democratico, ed evoluto socialmente ed economicamente, la scuola ha un ruolo centrale, non solo perché contribuisce a “formare” le intelligenze e le competenze che reggono un Paese; non solo perché contribuisce allo sviluppo economico del Paese (l’innalzamento di un anno della scolarità media determina un incremento di un punto di Pil, Ocse), ma anche perché la scuola rappresenta il primo contesto sociale in cui la persona viene a contatto quotidianamente con una comunità di pari. In questa comunità apprende le prime regole dello stare con gli altri e a sperimentare l’importanza dell’ascolto e del parlare ed essere ascoltato. Si tratta di sensazioni che, credo, tutti abbiamo sperimentato e, sicuramente, molti conservano nella mente. Ovvero conservano nella memoria quell’immagine della scuola quale primo spazio di libertà e di democrazia ove non solo si poteva dire quello che si pensava, ma addirittura si era incoraggiati a farlo.

Si tratta, ovviamente, di quella libertà che alcuni nostri insegnanti hanno saputo trasmetterci, come educazione al pensiero critico, all’anticonformismo, ai valori fondanti e irrinunciabili della persona, in alcuni casi anche alla valorizzazione della contestazione verso comportamenti e norme ingiuste e governanti tiranni, come direbbe Imposimato.

Quegli insegnanti potevano farlo, perché erano persone libere, la loro libertà era legata alla loro missione educativa che si esplicava nella libertà di insegnamento, garantita e tutelata dall’ordinamento giuridico, dall’alto della Costituzione fino alle più minute norme regolamentari. Un sistema di garanzie importanti ed essenziali, perché importante è la funzione dell’insegnante, delicato e attento è il suo compito. L’insegnante non è un operatore, l’attività che svolge non è una semplice prestazione, il suo non è un mero servizio, la sua non è un’attività burocratica. Quella che l’insegnante svolge è una professione complessa che richiede ad un tempo, spesso in situazioni concrete e non mediate, conoscenze e competenze molteplici di tipo antropologico, psicologico, pedagogico, didattico-metodologico e, naturalmente, disciplinare.

L’insegnante non produce manufatti, ma concorre alla crescita culturale della persona, favorendo l’acquisizione delle competenze che le possano permettere di organizzare e di gestire saperi che nella scuola e fuori della scuola lo studente acquisisce. All’insegnante è affidato l’arduo compito, insieme alla famiglia e al contesto sociale e culturale nel quale lo studente vive, di concorrere allo sviluppo cognitivo, relazionale, affettivo, psicologico e culturale dello studente.

Insomma, che lo si voglia o no, su quello che “sono” i nostri ragazzi e soprattutto in quelli che “saranno” i loro convincimenti, i loro atteggiamenti culturali e sociali, c’è e rimarrà sempre il segno della scuola. Perché, comunque, la scuola e la formazione hanno occupato molti giorni della loro vita, per molti oltre un quarto dei giorni dell’intera esistenza. Proprio per questo, il costituente prima e il legislatore dopo avevano creato un sistema di garanzie a tutela della delicatezza del ruolo e della funzione degli insegnanti. Questo è avvenuto da noi, ma anche in altri Paesi democratici ove gli insegnati e la loro funzione godono della giusta considerazione sociale, giuridica ed economica.

Questo sistema di garanzie, a partire dagli anni ‘90, prima con la contrattualizzazione del rapporto di lavoro degli insegnanti, poi con gli interventi sulle tutele disciplinari e con i tagli elefantiaci alle risorse finanziarie, è stato progressivamente disgregato e in parte smantellato. Si è trattato, tuttavia, fino alla scorsa legislatura, di interventi che contestualmente interessavano altri settori della pubblica amministrazione. Ma mai, finora, si era intervenuti cosi direttamente e pesantemente sulla scuola e sul sistema dei diritti della scuola.

Ancor di più, molte riforme precedenti sottraevano alla scuola solo risorse. La legge 107/2015, invece, polverizza diritti e norme di garanzia e di tutela dell’intero sistema scolastico statale italiano. E ancor peggio sarà quando anche le deleghe in essa contenute saranno scritte e i decreti ministeriali attuativi avranno chiuso il cerchio normativo di questa triste fase storica della nostra scuola.

Certo, guardando al particolare, che è la scuola, non si deve perdere di vista il generale. Il generale è il contesto politico/legislativo/amministrativo, in cui sovrasta “un’aggressione” inusitata alle garanzie che promanano dai diritti politici, sociali e civili. Questi stessi diritti, a loro volta, sono oggetto di una profonda e pervasiva opera di destrutturazione che stanno segnando assai negativamente il nostro sistema democratico.

La legge 107/2015 opera in questa direzione. Essa, infatti, destruttura il modello di scuola democratica qual era quella delineata dai decreti delegati del ‘74, svuotando il ruolo degli organi di partecipazione, rendendo la loro funzione, come nel caso del Comitato di valutazione, meramente consultiva.
Ma la legge 107/2015, ancor di più rispetto ad altri interventi normativi emanati in questi anni, presenta profili in evidente contrasto con principi e norme di rilievo costituzionale che interessano sia la procedura di approvazione della legge, sia alcuni punti chiave del testo normativo, tra cui anche le deleghe legislative prive di quei principi e criteri direttivi richiesti dalla Costituzione. Essa, infatti, oltre ad agire indirettamente su un caposaldo del nostro sistema educativo, qual è la libertà di insegnamento, interviene anche su altri elementi chiave dell’impianto del nostro sistema educativo. Elementi che connettono la scuola e l’istruzione a principi fondanti del nostro Ordinamento Costituzionale, espressi nei nessi che legano l’istruzione alla democrazia, l’istruzione alla solidarietà sociale, l’istruzione all’equità sociale.

Si potrebbe a questo punto parafrasare il discorso pronunciato 65 anni fa da Piero Calamandrei e, anziché: “Facciamo l’ipotesi”, dire: “C’era una volta l’ipotesi”.