Home Politica scolastica Calo demografico nella scuola: il punto di vista di Elvira Serafini (Snals)

Calo demografico nella scuola: il punto di vista di Elvira Serafini (Snals)

CONDIVIDI

Sul tema del calo demografico e delle conseguenze sul sistema scolastico abbiamo già pubblicato due interviste, una a Maddalena Gissi (Cisl Scuola) e una a Pino Turi (Uil Scuola).
Abbiamo raccolto anche l’opinione di Elvira Serafini, segretaria nazionale dello Snals

La Fondazione Agnelli ha riportato l’attenzione sul problema del calo demografico e delle conseguenze sul nostro sistema scolastico. Lei pensa che sia davvero un problema importante?

Penso sia un problema grave e anche molto complesso che interessa non solo la scuola ma la società intera, dove il tasso di invecchiamento della popolazione sta già provocando ricadute negative su tutto il sistema nazionale.
Sulla scuola il trend evidenziato dall’Istat e ripreso dalla Fondazione Agnelli è davvero preoccupante e va a incidere ulteriormente su una classe docente la cui età media già oggi raggiunge percentuali allarmanti.
I maestri e i professori italiani sono i più vecchi di tutto il continente. A dirlo è Eurostat, in un rapporto che dà conto dell’età del corpo insegnante a livello europeo con dati aggiornati al 2014. Nella scuola primaria italiana il 52,7% delle maestre (a livello europeo le donne rappresentano l’84% del corpo docente) ha più di 50 anni.
Questo significa che in media un’insegnante su due ha mezzo secolo in più dei propri studenti. Se si guarda alle secondarie di primo grado la percentuale sale al 54,3%. Mentre, in quelle di secondo grado, si sale addirittura al 59,6%.
Il confronto con le altre nazioni europee è impietoso. In Turchia, nelle primarie, solo una maestra su dieci ha più di 50 anni, nel Regno Unito il 17,8%, in Grecia il 18,5%. In Gran Bretagna un’insegnante su cinque ha tra i 25 e i 29 anni, mentre nel nostro paese questa fascia d’età rappresenta appena lo 0,5% del corpo docente, ovvero una maestra ogni 200, risultato che fa dell’Italia il fanalino di coda a livello europeo. Alla luce di questi dati non potrebbe avere nessuna giustificazione l’inerzia da parte della politica e delle organizzazioni sindacali.
Lo Snals-Confsal sta studiando il problema e a breve renderà note le sue proposte che coniugano il mantenimento degli organici con il miglioramento dell’offerta formativa e dell’insegnamento.

La sensazione è che in questi anni le organizzazioni sindacali si siano preoccupate poco di questo tema. E’ così?

La scuola nell’ultimo decennio ha subito diverse modifiche organizzative e di contenuto, ultima in ordine di tempo la Legge 107 del 2015. Queste riforme hanno impegnato le organizzazioni sindacali a studiare e seguire le diverse novità, spesso negative e confuse, nonché di difficile applicazione. Lo Snals non solo si è impegnato in tutte le sedi e ai tavoli negoziali per modificare gli aspetti più controversi delle riforme ma anche a evidenziare i numerosi aspetti che non sono stati considerati, soprattutto rispetto alle politiche del personale, dove sono mancate partecipazione e progettazione di lungo periodo. Anche le prospettive di diminuzione della popolazione scolastica sono finite in secondo piano, ma certo lo Snals non le ha trascurate, anzi segue questo fenomeno con non poca preoccupazione.

Lasciando da parte l’ovvia proposta di diminuire il numero di alunni per classe, come andrebbe affrontata la questione secondo voi?

Penso si debba partire proprio dal dato relativo all’anzianità anagrafica del personale. Si deve agire sulla leva dei pensionamenti anticipati per i docenti, riconoscendo il “lavoro gravoso”, come è stato fatto per la scuola dell’infanzia, ma spostando la soglia d’età dai 63 ai 60 anni.  Lo stato di forte disagio della categoria è testimoniato da un po’ di tempo anche dai sempre più frequenti e gravi atti di bullismo contro gli insegnanti.
Per migliorare la qualità dell’insegnamento e dell’offerta formativa si potrebbe anche introdurre in modo sistematico il lavoro in équipe, sulla falsa riga della legge 148 del ‘90 che, a suo tempo, diede buoni risultati con il cosiddetto sistema dei moduli nella scuola primaria.
Questa modalità organizzativa potrebbe essere estesa a tutti gli ordini di scuola e sarebbe molto più produttiva di un confuso organico di potenziamento che si è rivelato poco utile per la mancanza di un’adeguata programmazione e che, tra l’altro, è stato spesso utilizzato impropriamente per la sostituzione dei docenti assenti.
Questa misura e i pensionamenti anticipati consentirebbero uno svecchiamento dell’organico e una migliore qualità della scuola supportata da personale preparato al lavoro in équipe.
Anche l’ipotesi di utilizzare i docenti oltre i 60 anni in altri compiti utili all’insegnamento potrebbe rivelarsi utile al miglioramento dell’offerta formativa grazie all’esperienza da loro maturata.

Con il vistoso calo demografico che si preannuncia nei prossimi anni, ha ancora senso chiedere un incremento generalizzato degli organici?

Avrebbe senso se l’incremento non fosse a pioggia e non si configurasse come un semplice ammortizzatore sociale, ma fosse mirato al miglioramento dell’offerta formativa, attraverso modelli organizzativi che rendano più facile il lavoro in équipe e con un maggiore controllo sugli obiettivi da raggiungere. L’attuale sistema di valutazione dell’Invalsi andrebbe rivisto e reso più aderente alla realtà e soprattutto gli esiti delle rilevazioni dovrebbero essere utilizzati dai governi per stanziare risorse adeguate, finalizzate a intervenire sulle criticità riscontrate dalle indagini. Non è certo un caso se non si riesce a porre un argine al fenomeno della dispersione scolastica.