Home I lettori ci scrivono Carissimo deputato Guglielmo Epifani

Carissimo deputato Guglielmo Epifani

CONDIVIDI

Carissimo deputato Guglielmo Epifani, mi permetto di rivolgerle questa breve per invitarla alle dimissioni dalla carica di parlamentare. Mi rivolgo alla sua persona, in quanto rappresentante più titolato e più prestigioso, per carriera, meriti e competenza, del drappello di ex sindacalisti che poltronano in Parlamento in danzante e finalizzato “pantouflage”.

Chi le scrive è uno dei tanti “utile idiota”, il penultimo degli sherpa, iscritto alla Cgil da quasi venti anni, che ha quasi sempre condiviso con attenzione e partecipazione ciò che il suo (ex) sindacato, in tema di diritti e doveri del lavoro (uguale: Costituzione) ha proposto, discusso e contribuito a stabilire e attuare. Perché, dal sottofondo della mia ingenuità e presunzione, la invito alle dimissioni, insieme ai suoi “colleghi” parlamentari? Perché dopo avere votato, serenamente e pacatamente, l’osceno Jobs Act (perfino la Commissione europea…!!! – cioè una entità trascendente, non elettiva, e sicuramente baluardo del capitale privato e privante – ha avuto qualcosa da censurare circa l’asprezza delle misure in esso contenute), vi accingete a votare il Ddl sulla scuola (e non saprei dirle se è più “pericolosa” la prima o la seconda parte del Ddl stesso) che il Governo vi ha, graziosamente, concesso di esaminare, cronometrandovi anche i nano-secondi. Sa…, le esigenze della “ditta”… non tollerano i vincoli costituzionali; e il Pd, il novello partito della Nazione del fiorentino novello cesarino, non può tollerare intralci, “gufi” e “professoroni”… ma è stato comodo e facile intascare i voti, nel 2013, generati dalla macchina organizzativa della Cgil: la rodata cinghia di trasmissione… (Quindi, è in buona compagnia: anche il segretario del suo partito, il Pd, persevera in dissociazione”).

Vi siete rivelati come garbati e inquietanti pesafumo, in Parlamento, dopo una vita intera trascorsa a difendere, argomentando con sapienza e passione, i più elementari diritti del e sul lavoro: non concessi, ma conquistati da chi si confronta con il lavoro quotidianamente, con sacrifici e rinunce, battaglie perse e vinte. Sarebbe stato bello sapere cosa avrebbe pensato di questa “situazione ossimorica” un Giuseppe Di Vittorio qualsiasi… Probabilmente ne avrà sentito parlare. Chi ha la ventura di conoscervi in questa nuova e gravosa missione, atta a difendere i destini della Patria, duramente minacciata dai redditi mensili di pensionati a 400/900 euro e dipendenti a 1200/1700 euro, vi ri-conosce solo come degli sfiatati tromboni, adusi a smerendare con i Calderoli Brunetta Iachino Sacconi, cioè proprio con quelle personalità che, nell’altra “vita”, ci avete indicato come degli avversari, talvolta sleali, da affrontare e contrastare lealmente. Ora sapete solo trombare, in silenzio poco onorevole, i diritti (e doveri) faticosamente acquisiti da chi lavora a reddito fisso/fesso; reddito corrisposto da una “moneta privata” e privatizzante il quale ha dimezzato il potere d’acquisto del conio precedente. (cfr. altra trascendenza: la Bce)

Ma forse, dico forse, a lenire questa esaltante “dissociazione” in cui lei e i suoi colleghi ex sindacalisti siete incappati, ma a vostra insaputa, può contribuire la rendita dei 300.000 euro annui che i contribuenti italiani, con sicuro affetto, vi assegnano. (Più o meno sarebbero 300 milioni di vecchie lire… si ci può campare!)

Con sincera disistima, e sempiterno rispetto.