Home I lettori ci scrivono Chi vuole educare deve comandare, il bambino ha bisogno di essere guidato

Chi vuole educare deve comandare, il bambino ha bisogno di essere guidato

CONDIVIDI

Una cosa è certa. Il bambino deve essere guidato, non guidare. La disciplina è la seconda cosa più importante che i genitori devono ai figli, dopo l’amore. È come dire che chi vuole educare, deve anche comandare. Questa affermazione può sembrare autoritaria. E siamo anche portati a pensare che il comando ci faccia perdere l’applauso e l’affetto del figlio. In realtà è il bambino stesso ad attendere i comandi degli adulti. Infatti, se lo comandiamo, dimostriamo di interessarci di lui, di volergli bene.
Lo stesso Benjamin Spock, considerato il grande teorico dell’educazione permissiva, diceva: “Il bambino ha bisogno di una guida sicura: si sente infelice se non la trova nei genitori”. Ed è accertato che i bisogni fondamentali del figlio sono tre: bisogno di sazietà, bisogno d’amore, bisogno di sicurezza. Ma la sicurezza deriva dalla certezza delle regole e dalla fermezza con cui i genitori le fanno rispettare.
“Ci sono momenti – continua Spock – nei quali il bambino ha bisogno di trovare nei genitori un atteggiamento severo, deciso, sicuro. Un bambino che le ha sempre tutte vinte, che può fare qualsiasi cosa senza che nessuno gli dica: ‘No, questo non si fa’, un bambino lasciato insomma completamente in balia di se stesso, non avrà mai un senso del limite. Non avrà nessuna sicurezza su ciò che è giusto o non è giusto fare. Vivrà senza mai uscire da quel senso di onnipotenza infantile che, da bambino, ne faceva un piccolo tiranno infelice”.
Del resto, diciamolo, in una famiglia in cui i bambini fanno tutto quello che vogliono, regna il caos. Senza però mai essere contenti. Ed in questo caso, neanche i genitori sono felici. Occorre, dunque, evitare di lasciarci colpevolizzare dai divieti che diamo ai nostri figli, considerandoli come un attentato alla loro libertà. Così, come dobbiamo prendere coscienza che l’educazione permissiva o, peggio, indifferente (‘Ma sì, fa quello che ti pare!’) produce gli stessi danni di quella autoritaria.
In entrambe i casi, infatti, il comportamento del ragazzo è guidato, non da principi razionali, sempre validi, ma dal mutevole umore dei genitori. L’unico modello educativo valido è dunque quello del dialogo coscientizzatore: “Perché ti comporti così? Hai pensato alle conseguenze delle tue azioni?”.
Come agire, allora, e cosa evitare? Primo. Ripartiamo, innanzitutto, dal significato etimologico di ‘disciplina’, vocabolo che significa semplicemente ‘insegnamento’. Il che è come ammettere che i figli sono i nostri ‘discepoli’. Cosa del tutto accettabile. Secondo. Occorre ridurre al minimo il numero dei divieti. Troppi comandi irritano e si svalutano da soli. Terzo. Evitare che i comandi dipendano dal nostro umore del momento. Quarto. Assicurarsi che i nostri divieti non siano in contraddizione con quelli impartiti da altri educatori: maestre, parenti ecc. Quinto. Se stabiliamo una regola, non cambiamo idea quando il bambino strilla. Ciò lo convincerà che con i capricci si ottiene tutto. Sesto. Soprattutto, guardiamoci dall’imporre qualcosa in nome della nostra autorità (‘Perché, qui comando io!’). Se vogliamo educare qualcuno ad un comportamento razionale, dobbiamo sempre partire dal perché un’azione è buona o cattiva in sé stessa. Solo in questo caso, un ragazzo potrà essere virtuoso per convinzione e non per costrizione. Pervenendo così ad una ‘morale autonoma’.

Luciano Verdone