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Concorso docenti riservato e il ricorso dei laureati non abilitati

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Riteniamo corretto e doveroso il presente intervento, scaturito a seguito di un ricorso giurisdizionale prima innanzi al Tar Lazio e poi presso il Consiglio di Stato, ricorso che ha impugnato il bando relativo al c.d. “concorso riservato” ai soli docenti abilitati in una situazione paradossale che coinvolge anche migliaia di altri ricorrenti che abbiamo scoperto avere subito un gravissimo danno dallo Stato Italiano per quanto di seguito detto.

Precisiamo che il presente scritto non è spinto da interesse di parte, ma vuole essere un sasso lanciato nello stagno al fine di porre i riflettori su una situazione che colpisce tutta la classe docente (intesa nella sua globalità).

All’attualità – sebbene destinatario di un provvedimento favorevole del Giudice amministrativo relativo all’urgenza della fissazione dell’udienza di merito innanzi al TAR – ci troviamo nell’impossibilità di sostenere la prova concorsuale, mentre altri ricorrenti (nella mia medesima situazione di fatto e diritto) sono chiamati a sostenere l’esame, solo perché destinatari di un provvedimento cautelare diverso (ossia di ammissione in via cautelare all’esame) reso dallo stesso Consiglio di Stato 20 giorni prima della mia udienza.

Non siamo esperti della materia, ma al fine di capire il mondo verso cui ci eravamo affacciati, abbiamo trascorso gli ultimi mesi – non senza difficoltà – a ricostruire l’attuale situazione in cui si trovano decine di migliaia di docenti della scuola secondaria, che quotidianamente si trovano a portare avanti con gravi difficoltà logistiche ed economiche l’educazione dei nostri figli e nipoti che saranno la classe dirigente futura del nostro Paese. In questo intervento non distingueremo fra docenti abilitati e docenti non abilitati, non certamente per rendere uguali due cose che fra loro uguali non sono, ma perché entrambe le categorie sono state oggetto di una stratificazione legislativa, resa negli anni, con provvedimenti privi di una prospettiva futura e di lungo respiro che ha vanificato, compromesso e distrutto le aspirazioni al lavoro, alla crescita professionale ed alla stabilità economica e familiare a cui tutti i cittadini di questa Nazione aspirano.

Dette omissioni da parte dello Stato Italiano non saranno sicuramente silenziate, ma dovranno essere risarcite nelle opportune sedi, anche con richiesta di intervento delle Istituzioni Europee, in vista del fatto che anche il nuovo Governo sembra, negli annunci resi dalla stampa nazionale, voglia perpetrare la scarsa attenzione rivolta a chi è già stato più volte ingiustamente offeso e denigrato.

Un breve riepilogo storico-legislativo è però necessario.

Il sistema di reclutamento ai ruoli fino al 1970 era fondato sull’esame di concorso ai posti di insegnamento. Tale sistema aveva, come obiettivo, accertare se il candidato possedesse il sapere ufficiale, definito dai programmi dello Stato, da trasmettere ai cittadini che aspiravano ad un determinato titolo di studio. Il principio che l’accesso ai ruoli avvenga tramite il concorso è stato recepito dalla Costituzione repubblicana. La stessa Costituzione esige che per l’esercizio professionale si possegga una apposita abilitazione da conseguirsi con l’esame di Stato.

Dunque nel nostro Paese né (quello che si chiamava) il capo d’istituto, né i genitori, né gli studenti possono scegliere i docenti di loro gradimento, in quanto l’insegnante è funzionario dello Stato.

Gli eventi socio-politici successivi al 1968 (noti a tutti) e la c.d. “esplosione scolastica” hanno portato nel decennio 1970/1979 ad immettere nei ruoli ben 436.400 docenti (su un totale di 704.400) senza il prescritto esame di concorso.

Dunque oltre agli insegnanti ope legis, ci sono state in Italia anche delle leggi che istituivano corsi abilitanti in epoche precedenti (si ricordi la Legge 15 dicembre 1955 n. 1440).

In ogni caso per non appesantire la lettura sono da segnalare il D.P.R. 31 maggio 1974 e la Legge 9 agosto 1978 n. 463. Comunque quello che conta è che la Scuola – fin dal passato – è stata oggetto di interventi che hanno messo delle “pezze a colore”, compromettendone funzionalità e futuro.

Comunque, per quello che interessa noi nello specifico, il passaggio a livello universitario delle abilitazioni all’insegnamento è avvenuto (dopo lunga gestazione) con la legge 19 novembre 1990 n. 341, di riforma degli ordinamenti didattici universitari, per attuare le direttive 89/48/CEE e 92/51/CEE, che prevedono il reciproco riconoscimento delle abilitazioni all’esercizio della professione di docente da parte di ciascuno degli Stati membri e richiedono un livello omogeneo di preparazione professionale dei cittadini europei, quale presupposto necessario per la libera circolazione delle attività intellettuali, da raggiungere attraverso obiettivi formativi altamente qualificanti che tengano conto di ampi sbocchi occupazionali e della necessità di maggiore spendibilità a livello internazionale di nuove tipologie di corsi e di titoli universitari (art. 17. comma novantacinquesimo, della legge 15 maggio 1997 n. 127. come integrato dall’alt. 6 della legge 19 ottobre 1999 n. 370).

L’art. 4 della legge 341 del 1990 istituisce specifiche scuole di specializzazione, articolate in indirizzi, le quali provvedono alla formazione dei docenti delle scuole secondarie e rilasciano, con l’esame che conclude il corso, un diploma che ha valore di esame di Stato e abilita all’insegnamento per le aree disciplinari alle quali si riferiscono i relativi diplomi di laurea (che sono ovviamente requisiti richiesti per l’iscrizione ai corsi).

Il diploma rilasciato dalla scuola di specializzazione, costituisce titolo di ammissione ai corrispondenti concorsi (per titoli ed esami) per i  posti di insegnamento nelle scuole secondarie ed è tra i titoli valutabili in relazione al punteggio col quale l’esame è superato.

Ora, a questo punto, va fatta una riflessione… e qui va evidenziata la prima, ingiusta, ferita inferta, che dovrà essere risarcita agli aspiranti insegnati in quanto il sistema disegnato dalla riforma del 1990 non ha avuto attuazione per dieci anni.

In effetti, solo con Legge 3 maggio 1999 n. 124, di parziale modifica del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, approvato con decreto legislativo 16 aprile 1994 n. 297, si è finalmente rinnovato il sistema di reclutamento degli insegnanti della scuola pubblica, applicando con fedeltà il precetto dell’art. 97 della Costituzione, in base al quale agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvi i casi straordinari stabiliti dalla legge.

Anche per l’attivazione delle SSIS si è dovuto attendere l’anno 2000/2001, per poi vederle abrogate nell’anno 2008 con L. 133/2008.

Solo nel gennaio 2011 è entrato in vigore il Decreto 10 settembre 2010, n. 249, del Ministro dell’istruzione, che riforma la disciplina relativa alla formazione iniziale degli insegnanti.

Dunque, la regola della necessità di un percorso abilitante ha avuto nel nostro paese un iter incredibilmente tardivo, addirittura più volte bloccato negli anni.

Questa gravissima tardività ha prodotto la realtà dei fatti di oggi, ossia la formazione di un enorme precariato e il colpevole divorzio ideale all’italiana tra merito e servizio (nei fatti gli insegnanti hanno meriti enormi, sia giovani sia precari).

Non parleremo dei decreti ministeriali n. D.M. n. 81/2013 e D.M. n. 58/2013 volti a sanare il precariato per evitare interventi da parte dell’Europa.

L’omessa attivazione (esempio ITP) ovvero il ritardo nella loro attivazione (per tutti gli altri laureati) dei corsi abilitanti è stata oggetto di interventi da parte della Giustizia Amministrativa (sentenze n. 3544/18 e 3456/18 del Consiglio di Stato) nei quali è dato leggere che “L’abilitazione all’insegnamento come titolo distinto e ulteriore per accedervi, ovvero per intraprendere la professione di insegnante iscrivendosi al relativo concorso, è stata creata per effetto dall’art. 4 comma 2 della l. 19 novembre 1990 n.341. La norma, per l’abilitazione all’insegnamento nelle scuole secondarie superiori prevedeva un diploma post universitario, che si conseguiva con la frequenza ad una scuola di specializzazione biennale, denominata appunto Scuola di specializzazione per l’insegnamento secondario – SSIS, e con il superamento del relativo esame finale. Secondo il testo della norma stessa, infatti, “Con una specifica scuola di specializzazione articolata in indirizzi, cui contribuiscono le facoltà ed i dipartimenti interessati, ed in particolare le attuali facoltà di magistero, le università provvedono alla formazione, anche attraverso attività di tirocinio didattico, degli insegnanti delle scuole secondarie, prevista dalle norme del relativo stato giuridico. L’esame finale per il conseguimento del diploma ha valore di esame di Stato ed abilita all’insegnamento per le aree disciplinari cui si riferiscono i relativi diplomi di laurea. I diplomi rilasciati dalla scuola di specializzazione costituiscono titolo di ammissione ai corrispondenti concorsi a posti di insegnamento nelle scuole secondarie”. 4.2 Tale sistema ebbe però vita relativamente breve, perché l’art. 64, comma 4-ter del d.l. 25 giugno 2008 n. 112, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2008 n. 133, sospese le procedure per l’accesso alle SSIS, di fatto abolendo il relativo percorso di abilitazione. Decorse così un considerevole lasso di tempo, nel quale nell’ordinamento non era disponibile alcun percorso per coloro i quali, interessati ad intraprendere la professione di insegnante, volessero conseguire l’abilitazione di cui fossero privi, presupposto necessario per accedere al concorso Infatti, le abolite SSIS furono sostituite solo successivamente dall’analogo istituto del tirocinio formativo attivo – TFA, anch’esso con valore abilitante, creato con l’art. 2 comma 416 della l. 24 dicembre 2007 n. 244 e concretamente attivato solo con successivo D.M. 10 settembre 2010 n. 249. Solo per completezza, si ricorda che il sistema non può ancora dirsi assestato a regime, poiché anche il TFA è stato abolito dal 2017, e attende di essere sostituito da un nuovo percorso abilitativo, il percorso di formazione, inserimento e tirocinio – FIT, previsto dal d. lgs. 13 aprile 2017 n. 59 e dalle norme attuative del D.M. 10 agosto 2017 n.616.

Detto orientamento giurisprudenziale giunge a precisare che “allorché si richieda l’abilitazione quale necessario requisito di partecipazione ai pubblici “concorsi a posti e a cattedre di insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado” deve essere in via transitoria consentito parteciparvi anche a chi dell’abilitazione sia sprovvisto, purché ovviamente munito del prescritto titolo di studio, finché non sia stato almeno astrattamente possibile conseguire l’abilitazione stessa in via ordinaria, ovvero all’esito di un percorso aperto ad ogni interessato, senza necessità di un precedente periodo di precariato.”.

Infine con ordinanza n. 5134/2018 (il Consiglio di Stato) è stato ulteriore precisato che “Nel sistema attuale, infatti, il possesso, ovvero il mancato possesso, di un’abilitazione all’insegnamento dipende da circostanze non legate al merito, ma soltanto casuali, ovvero in sintesi estrema dall’essersi o no trovati, per ragioni anagrafiche, o di residenza, nella posizione di poter partecipare ad uno dei percorsi abilitanti ordinari di cui si è detto, ovvero dall’avere o no potuto frequentare una SSIS ovvero un TFA, ovvero ancora dall’avere potuto usufruire di un PAS, legato quest’ultimo, come pure si è detto, ad una circostanza ulteriore a sua volta casuale, ovvero all’avere o no prestato servizio come docente precario”.

Detta ordinanza ha rimesso alla Corte Costituzionale “comma 2 lettera b) e del comma 3 dell’art. 17 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59, nella parte in cui prevedono un concorso per l’accesso ai ruoli dei docenti della scuola secondaria riservato, ai sensi del comma 3 citato, alle sole categorie dei docenti in possesso, alla data di entrata in vigore del decreto legislativo citato, del titolo abilitante all’insegnamento nella scuola secondaria o di specializzazione di sostegno per i medesimi gradi di istruzione, degli insegnanti tecnico-pratici iscritti nelle graduatorie ad esaurimento oppure nella seconda fascia di quelle di istituto sempre alla data di entrata in vigore del decreto legislativo citato, nonché dei docenti che conseguono il titolo di specializzazione per il sostegno entro il 30 giugno 2018, nell’ambito di procedure avviate entro la data di entrata in vigore del decreto legislativo stesso;

Con successive ordinanze del 20.09.18 il Consiglio di Stato ha – sempre in relazione al sistema di reclutamento riservato agli abilitati – negato la possibilità ai ricorrenti di accedere alle prove concorsuali, atteso che vi sarebbe stata una sospensione dell’efficacia della norma impugnata prima della pronuncia della Corte Costituzionale.

Ciò – senza entrare nel merito delle decisioni del Consiglio di Stato – chiaramente porterà ad ulteriori contenziosi e cause.

Dunque, allo stato attuale, abbiamo esistono abilitati tramite il concorso effettuato nel 1998, abilitati con PAS, abilitati SISS, abilitati TFA, vincitori concorso 2016, abilitati che stanno partecipando al concorso non selettivo dell’anno 2018, ricorrenti ammessi alle prove concorsuali e ricorrenti esclusi dalle prove concorsuali e precari storici non abilitati, che giornalmente sono costretti a rincorrersi e combattere nelle aule di Giustizia controllando siti dei vari USR Regionali al fine di verificare se il loro nome è presente nelle convocazioni d’esame.

Su tutto questo poi aleggia la decisione della Corte Costituzionale, che cambierà (si spera) nel bene la vita di migliaia di persone, ma non si parla assolutamente di come saremo risarciti di occasioni perse, di vite non vissute appieno con la sicurezza di un posto di lavoro, delle possibilità di carriera perse, di matrimoni rinviati etc.

Vorrei a nome di tanti colleghi ed amici una risposta a queste domande evidenziando che la mancata risposta dovrà portare a mobilitarci tutti insieme (senza nessuna distinzione) essendo stati lesi nel diritto fondamentale su cui è fondata la nostra Repubblica, ossia il lavoro.

Augusto Di Boscio

Simona Barretta