Home I lettori ci scrivono Considerazioni “inattuali” sull’Esame di Stato riformato

Considerazioni “inattuali” sull’Esame di Stato riformato

CONDIVIDI

Da docente in servizio ormai da trent’anni, sono nelle condizioni di fare un bilancio non estemporaneo ma che sia piuttosto il risultato di un ampio bagaglio esperienziale maturato nel corso della mia lunga carriera.

Ho fatto gli esami ed ho partecipato agli stessi come docente con il vecchio ordinamento, quello, per intenderci, del ‘69, con i famigerati giudizi di ammissione da scrivere a mano con buona calligrafia (dopo averli sapientemente preparati, analitici e globali) e…buona pace dello spirito ,con la commissione esterna, il membro interno unico e le due materie :una scelta dal candidato e l’altra…pure!!!

Ho seguito l’iter della riforma negli anni novanta con impegno e diligenza, frequentando il corso satellitare di preparazione impartito dal MIUR attraverso Rai Scuola a tutti i docenti delle scuole secondarie di secondo grado (di cui ancora conservo “gelosamente” l’attestato).

Ho partecipato nel 1998-99 ai primi esami quale membro interno (1 su 4 nel Progetto Brocca); ci avevano insegnato che non si chiamava più esame di maturità ma di stato, che le materie diventavano tutte oggetto di colloquio pluridisciplinare, che le prove scritte sarebbero state tre, con l’aggiunta della famigerata terza prova (con tipologie, simulazioni e quant’altro).Nel 1999-00 e nel 2000-01 sono stata commissario esterno, meritando, come altri colleghi nella mia stessa situazione, ben tre punti nella graduatoria docenti per aver partecipato ai primi tre esami.

E poi? Dopo qualche anno la commissione si è ridotta da otto a sei docenti, in seguito da mista è diventata solo interna, con la presenza di un Presidente esterno per tutte le classi-commissione di un Istituto.

Questi sono stati gli anni più belli ma poi qualcuno ha detto che non aveva più senso fare il Documento del 15 maggio in quanto era come se una scuola si auto-referenziasse. Così è ritornato, tra il plauso dei tanti nostalgici del viaggetto retribuito, la commissione mista, interni-esterni, ma sempre ridotti a sei.

E l’esame? La pluridisciplinarità? Che importa? L’importante è stato risparmiare. Quanto al resto…tutto preparato, spesso in piena era digitale, con il contributo di Internet:

-Tesina (percorso del candidato con cui iniziare il colloquio)

-Tipografie indaffaratissime per preparare e stampare, entro giugno, i lavori dei giovani studenti e poi..qualche domanda e fuori! Finiva male se c’era il Presidente o il commissario “segugio.it” (razza in estinzione) altrimenti… una passeggiata!

Colleghi intenti a ratificare, tranne qualche accanimento particolare, quanto stabilito dal C.d. C.

(soprattutto quando con una successiva revisione il credito scolastico è stato aumentato da 20 a 25 per dare maggiore peso alle attività didattiche), annoiati ma “inchiodati” in quel ruolo più per motivi economici che per realizzazione personale.

Ma anche oggi (e qui subentra l’amarezza) qualcuno degli esterni legge davvero tutto il Documento? Gli interessa il percorso di crescita umana e culturale che in una scuola, come quella attuale, si è intrapreso anche attraverso la “progettopoli” sapientemente costruita dalle scuole in piena autonomia con il patrocinio del MIUR?

Le parole d’ordine sono state “competenze chiave”; ma io ho visto tanti, troppi alunni fare gli esami e pochi, pochissimi,essere giudicati e valorizzati per quello che è stato il loro percorso di crescita umana e culturale a scuola. Non è una domanda su un autore, un collegamento che non c’è a dire chi è una persona… quell’adolescente che abbiamo di fronte e magari avrà già fatto tante esperienze in contesti totalmente diversi da quel mondo che dimostra di “non sentire” suo, di non conoscere.

La scuola spesso non è la vita, quest’ultima offre molto di più di lezioni svolte con passione e dedizione solo da pochi; i ragazzi sono lo specchio di quello che noi siamo, non dimentichiamolo.

Ora il Ministro Bussetti, per aggiungere la ciliegina sulla torta, ad una riforma già scritta e preparata da chi lo ha preceduto, ha ideato la scelta delle buste per favorire pari opportunità, uniformare l’esame di stato, ha creato griglie di valutazione nazionali per evitare discrepanze vistose nella valutazione tra studenti del nord e del sud. Ma sicuro?

Non sono mai stata così incerta come nel momento della discussione prima e poi della preparazione delle buste, mi sentivo come lo studente di Summerhill della scuola del “fai quello che ti pare!” Mi sono avvilita vedendo le proposte da cui partire, io stessa ho avuto difficoltà nella scelta delle tematiche. Che poi, diciamo la verità, come si fa a giudicare più o meno valido un collegamento piuttosto che una altro? A costruire un percorso pluridisciplinare che non sia un’interrogazione tradizionale…e infatti molti hanno interrogato in maniera tradizionale!

E il Documento del C.d.C? Le 200 ore di ex A.S.L.? Duecento ore di viaggi, pendolarismo, esperienze, sacrifici che hanno tolto tempo prezioso allo studio, risorse alle scuole che mancano di tutto? Una breve barzelletta!

E la cittadinanza? Che ci sia qualcuno lo dice, in quale parte del colloquio nessuno lo sa! Risultato? Bocciato, non l’esame della riforma, l’esame in se stesso. Se dobbiamo uniformare la valutazione delle competenze a livello nazionale, e per quanto possibile, in maniera oggettiva, partiamo da prove da somministrare, tipo Invalsi, ma più aderenti al percorso scolastico.

Solo così si potrà parlare di dati quantitativamente e qualitativamente rilevanti. Del resto per avere la patente di guida europea le interrogazioni sono state sostituite da test oggettivi e misurabili con semplicità, i test d’inglese delle scuole più accreditate in buona percentuale sono corretti con il lettore ottico. Bisogna andare in questa direzione.
Capisco che in Italia sarà molto difficile, perché, come fa un computer a distinguere chi è raccomandato da chi non lo è? Scusate lo sfogo ma sono stanca, dobbiamo insegnare ai ragazzi a produrre in maniera autonoma. Se l’esame deve avere un valore i ragazzi devono rendere per quello che sanno fare, altrimenti non capiranno mai perché al compagno che ha copiato esattamente come lui il compito è stato valutato meglio. Meno che mai capirà colui che, sfortunatamente, non essendo furbo, ha perso l’anno perché colto in flagrante a fare quello che molti fanno, cioè copiare.

Noi non dobbiamo insegnare ad essere furbi ma onesti. Solo così l’esame si potrà trasformare da esame delle conoscenze e dei conoscenti ad esame delle competenze.

“Picconate” di una docente che…ama la scuola.

 

Angela Maniscalco