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Cosa penso di Sergio Mattarella

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Oggi Sergio Mattarella compie 78 anni. Molti mi hanno chiesto di Sergio Mattarella in questi anni di presidenza. Su cosa ne penso, avendolo conosciuto bene.

Era con me componente del gruppo alla Camera dei Popolari. In tutto 33. Capogruppo Nino Andreatta, il maestro di Prodi. Andreatta, una persona geniale.

Un bel concentrato, quei 33, di grandi personalità. Per me una grande scuola di vita.

Penso qui alla mia amicizia, in particolare, con Gabriele De Rosa e Alberto Monticone, grandi storici cattolici.

Per non dire dei rapporti quotidiani con i quasi coetanei Letta, Franceschini, Fioroni.

Io facevo parte della Commissione Cultura.

Andreatta mi chiese, poi, di far parte, assieme a Sergio Mattarella, della Commissione Antimafia assieme a Nicola Mancino. Ricordo che il tema più importante che affrontammo in questa Commissione fu la questione dell’usura, e la verifica dei tassi bancari. Oltre ovviamente ai temi correnti delle infiltrazioni mafiose.

Così con Mattarella nacque non direi un amicizia, vista la differenza d’età, ma una consuetudine.

Lunghe chiacchierate. Ovviamente non solo di politica. Ricordo qui il suo ricordo del padre Bernardo, per la nascita dei Popolari e della DC, come ricordo le sue parole sul fratello Piersanti, ucciso dalla mafia il 6 gennaio 1980.

Fu quella tragedia che portò Sergio Mattarella alla decisione che segnerà anche la sua vita, cioè la partecipazione attiva alla politica.

Ricordo alcune situazioni curiose: lo accompagnai in qualche occasione in alcuni appuntamenti istituzionali. E ciò avveniva con la macchina blindata, perché lui aveva la scorta.

Gli chiesi più volte come si viveva sotto scorta. Facile immaginare la risposta: una necessità, visti i tempi, ma carica di disagi.

Ricordo che mi fece studiare il caso di un senatore DC ucciso dalla mafia nel 1988, Roberto Ruffilli, incaricato di presentare una riforma dello Stato incentrata sul principio “il cittadino come arbitro”.

Studiai il caso, l’intelligenza di questa proposta, e compresi che dopo l’uccisione di Moro del 1978, la morte di Ruffilli avrebbe cancellato ogni ipotesi di riforma e di modernizzazione dello Stato italiano. Con le conseguenze che sappiamo, cioè la degenerazione della Prima Repubblica e Tangentopoli, una degenza ione che portò ad una seconda Repubblica piena di contraddizioni.

Quella insipienza fu coperta, l’anno dopo, nel 1989, dalla caduta del Muro di Berlino, e non si parlò più della proposta di Ruffilli, vero antesignano della applicazione del principio di sussidiarietà.

Principio oggi dimenticato, e centrale nella storia dei cattolici in politica.

Ricordo Mattarella come studioso attento, sempre puntuale, informato, disponibile. Ma sempre discreto, mai sopra le righe.

Una altissima sensibilità istituzionale, una inflessibile caratura etica, una sobrietà di fondo che mal si concilia con la politica-spettacolo di oggi, fatta da troppe parole al vento.

Per questa ragione oggi è apprezzato da tutti: un grande Presidente.

Lo stesso rigore morale, mi verrebbe da dire, del suo maestro politico, Aldo Moro. Che in tante occasioni è stato oggetto delle mie domande.

La conseguenza di questi contatti furono gli studi di quegli anni, guidato dallo storico De Rosa all’Istituto Sturzo, il mio impegno riformatore nel mondo della scuola e dell’università, sino al 2001, dopo l’iniziale esperienza da deputato, nella commissione cultura della Camera e da capo segreteria del ministro dell’università.

Dopo il 2001 la mia scelta di ritornare a Bassano, cioè di privilegiare la mia passione educativa.

Scelta che mantenni anche nel 2006, quando rifiutai l’offerta dell’allora ministro Fioroni di fargli da consigliere al ministero dell’istruzione.

A me interessano più i contenuti, non i contenitori, culturali o politico-partitici.