Home I lettori ci scrivono Dalla “Buona Scuola” alla “scuola buona”

Dalla “Buona Scuola” alla “scuola buona”

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Ora che sulla fase B è stata finalmente messa la ciliegina, vediamo che il passo da quella che doveva essere la “Buona Scuola” a quella che è diventata la “scuola buona” è stato davvero breve.
Inviterei tutti coloro i quali  si riempiono la bocca con la buona scuola a fare un giro nelle scuole italiane negli ultimi giorni per rendersi conto di quanto realmente ci sia rimasto di buono. Negli ultimi mesi si sono fatte tante ipotesi e si sono sprecate tante parole, ma bisognerebbe avere il coraggio di vedere oltre che guardare e chiamare le cose con il proprio nome.
Questa non è una denuncia contro i docenti della fase C, tanti di loro sono realmente insegnanti che hanno alle spalle anni di precariato e di esperienza, ma contro coloro che hanno accettato di improvvisarsi tali e soprattutto contro coloro che hanno permesso una simile cosa.

Una volta la scuola era fatta da insegnanti e alunni, la “Buona Scuola” era fatta da insegnanti buoni e, di conseguenza, buoni alunni.
Oggi la scuola ha deciso di essere più buona con tutti ed ha aperto le sue porte, come si fa con le chiese, a chiunque voglia entrarci; la conseguenza è che ci sono tanti nuovi insegnanti, dimenticando che un titolo di studio non rende docenti, tantomeno può rendere bravi docenti.
Un docente impara ad insegnare lavorando sul campo, con anni di esperienza e crescita professionale; un docente non diventa bravo se non ha nel cuore la passione per quello che fa, se non riesce a trasmettere il suo amore per le discipline, insegnando ad amarle come lui le ama. Questa passione non si impara strada facendo, è un sentimento che nasce dal cuore e non dal conto in banca; l’insegnamento è una vocazione  non una professione.
Tutte le nostre scuole sono state invase da nuove figure professionali che si sono improvvisate insegnanti dall’oggi al domani, ma che possiamo riconoscere già nell’atrio perché li vediamo arrivare con calma (tanto non devono correre in classe) e non sono carichi di borse e libri (tanto non faranno lezione); prenderanno un posto a sedere e tra uno sbadiglio e l’altro (annaspando come pesci fuor d’acqua) butteranno un occhio all’orologio nella trepida attesa del suono della campana, ma non per andare in classe…..solo per tornare nel proprio mondo e, spesso, al proprio lavoro.