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Disabilità e inclusione, 50 anni fa il “Documento Falcucci”: chiuse le scuole speciali che oggi qualcuno vorrebbe riaprire [INTERVISTA]

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Sono passati 50 anni da quando la “Commissione Falcucci”, su incarico del Governo, produsse un ampio documento sul tema della inclusione scolastica (all’epoca, per la verità, si parlava di “integrazione degli alunni handicappati” nelle scuole comuni). Ne parliamo con Raffaele Iosa, già dirigente tecnico e responsabile fino agli inizi degli anni 2000 dell’Osservatorio nazionale sull’handicap.

Allora, Iosa, è passato mezzo secolo da quel documento che sembra quasi “fantapedagogia” perché – mentre esistevano ancora, anzi soltanto, le scuole e le classi speciali – la Commissione presieduta dalla senatrice democristiana Franca Falcucci parla di inserimento nelle classi comuni e, preferibilmente, in classi di tempo pieno.
Cosa è successo in questi decenni?

Il documento Falcucci faceva parte di un sistema culturale e di un’epoca in cui pensare e dire quelle cose era quasi normale.
Per la verità il documento legittimava una piccola legge del 1971 che aveva cominciato ad aprire le scuole normale ai ragazzi con disabilità consentendo alle famiglie che lo volevano di mandare i figli nelle scuole comuni.
Era un’epoca nella quale l’espansione sociale aveva contribuito a creare l’idea di una società diversa, comunitaria e capace di garantire i diritti di tutti.

Cosa è accaduto nel primo trentennio della storia repubblicana?

E’ presto detto: la nascita del tempo pieno, la legge 517 con l’inserimento di tutti i disabili nelle scuole “normali” e con la chiusura delle scuole speciali, la nascita degli organi collegiali e la riforma dei programmi della scuola elementare. Senza dimenticare riforme straordinarie come quella della chiusura dei manicomi voluta da Basaglia.

Oggi ci sono addirittura associazioni di genitori che parlano di scuole speciali: che cos’è che è andato storto in questi 50 anni?

Sta accadendo che siamo di fronte ad una grande crisi valoriale, siamo al degrado di un’idea di società come comunità.
E poi ci sono dati incredibili: nel 2000 avevamo nelle scuole 100mila alunni disabili, oggi ne abbiamo più di 300mila, senza contare gli alunni con DSA e con BES.
Secondo una mia stima oggi abbiamo un milione di alunni che sono in qualche modo “segnalati” come bisognosi di attenzioni specifiche. E ancora: alla fine del ‘900 l’autismo quasi non c’era.
E che dire dei ragazzini con sindrome ADHD o DOP (oppositivi provocatori)? Il fatto è che siamo davanti a una mutazione profondissima dell’idea di salute e di malato.

In questo ci sono forse anche ragioni “scientifiche”…

Certamente: quando noi andavamo all’università si studiavano la psicologia dinamica e la psicanalisi. Oggi queste due psicologie sono totalmente fuori moda ed è esploso il neo-comportamentismo che ha un fondamento completamente diverso: non si parla più di passioni e di potenziali ma di rinforzo, termine che, in fondo, nasconde rinforzo nasconde la parola punizione. L’idea è che sia possibile (e forse necessario) condizionare le persone a cambiare per eliminare ciò che c’è di sbagliato dentro di sé.

Molto spesso sono le famiglie degli alunni con disabilità che cercano percorsi “speciali” per i loro figli…

E’ così: ormai proliferano strutture molto frequentate dove i nostri bambini vanno anche di mattina a “fare terapia”. E così ci sono molti ragazzini che non frequentano tutto l’orario scolastico ma una buona fetta la fanno in questi centri.
La mia tesi è che questa è l’anticamera delle scuole private e delle scuole speciali.

Tutto questo è vero, ma provo a fare una obiezione.
Ma non è che invece questi problemi sono legati al fatto che le soluzioni pedagogiche e organizzative che noi abbiamo pensato in questi decenni sono sbagliate? Cioè è sbagliata la “lezione” di Don Milani, è sbagliata la pedagogia cooperativa, è sbagliato il progetto di inclusione che abbiamo fin qui tentato di perseguire…

Questa è una tesi che sta incominciando a prendere piede nel sentire comune. Ernesto Galli Della Loggia, che sembra stia ispirando il Ministro Valditara per le operazioni di riforma della scuola, lo va ripetendo da mesi.
Il fatto è che ormai sta vincendo la parte politica che teorizza che non è possibile una società di uguali e che non è possibile garantire a tutti il proprio spicchio di vita e di felicità. Che non significa che dobbiamo diventare tutti uguali ma che tutti abbiamo il dovere e il diritto di sviluppare al massimo le nostre potenzialità.

Concludiamo.
Ma allora perché dobbiamo perseguire l’obiettivo di integrare e includere tutti? Per una questione etica? Diciamo che dobbiamo essere più umani e più “buoni”?

Stiamo vivendo un’epoca dove pezzi del mondo sono disumani, si sta perdendo l’etica della responsabilità.
Ma c’è anche un’altra ragione che Franca Falcucci richiamava spesso: noi non inseriamo gli handicappati perché siamo buoni (e questo, detto da una cattolica democristiana, è un dato incredibile) ma perché attraverso la loro presenza cambi la scuola.
Queste parole rappresentano una vera e propria rottura politica oltre che etica dell’idea delle diseguaglianze. C’era già mezzo secolo fa l’idea che la scuola potesse diventare un posto adatto alla convivenza fra le diversità. C’era l’idea l’educazione non può fare a meno delle diversità.