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Divieto di smartphone: ma siamo sicuri che le restrizioni servano ad educare i giovani?

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Signor Ministro,

Le scrivo in merito alla circolare n. 3392 del 16 giugno 2025, che introduce il divieto generalizzato dell’uso dello smartphone nelle scuole secondarie di secondo grado.

Parto dalla premessa, che a mio avviso fraintende il problema.
I dati richiamati nella circolare si riferiscono in gran parte a un uso smodato e nocivo dello smartphone fuori dall’ambiente scolastico, non dentro la scuola.
È ragionevole rispondere a queste evidenze con una misura restrittiva rivolta proprio all’istituzione pubblica che negli anni ha cercato di regolamentare e orientare in senso educativo l’uso dei dispositivi?

Negli istituti italiani esistono già regolamenti interni che disciplinano l’uso dei cellulari, spesso elaborati in modo condiviso con studenti e famiglie. E questo perché a scuola i dispositivi, quali che siano, si impara a usarli in modo formativo e responsabile.
Molti docenti e molte docenti impiegano lo smartphone come strumento didattico e relazionale: per sviluppare competenze digitali, stimolare la collaborazione tra pari e promuovere un uso consapevole e critico delle fonti e della tecnologia.
In attività collaborative peer-to-peer o cooperative come i jigsaw, la didattica a stazioni, i podcast o la co-costruzione di altri contenuti digitali, lo smartphone si è rivelato uno strumento prezioso per un approccio attivo all’apprendimento.
Perché introdurre un divieto generalizzato che finirebbe per indebolire tale efficacia didattica e socializzante?

Mi permetto inoltre di evidenziare possibili contraddizioni e problemi di equità.

Nella circolare si fa riferimento alla possibilità di utilizzare tablet e pc. Tuttavia, aule e studenti non dispongono in maniera sistematica di queste dotazioni. Senza un investimento strutturale per ogni studente e in tutte le scuole, questa misura rischia di rivelarsi non solo contraddittoria, ma anche socialmente iniqua: chi potrà permettersi un tablet, un pc e una connessione privata continuerà ad accedere alle risorse digitali, chi no ne sarà escluso.

Sappiamo bene, inoltre, che negli ultimi anni – e in particolare in quello in corso – sono stati attivati numerosi corsi di formazione sull’uso didattico dei dispositivi, smartphone inclusi. Che ne sarà di questi investimenti, ora che lo strumento più diffuso e accessibile diventerà inutilizzabile?

La circolare introduce anche un provvedimento potenzialmente discriminatorio.
Prevedendo un’eccezione per studentesse e studenti con disabilità o con DSA, rischia di rendere esplicito l’uso di strumenti compensativi solo per alcuni di loro, sottolineandone la condizione e compromettendo uno dei principi cardine dell’inclusione scolastica: la discrezione nell’adattamento.
Mi chiedo: quanto fin qui osservato è in sintonia o in conflitto con i principi costituzionali della scuola «aperta a tutti» (art. 34) e di uguaglianza sostanziale (art. 3, comma 2)?

Ci sono inoltre ricadute concrete dell’utilizzo dello smartphone in classe, ad esempio la riduzione significativa del ricorso a supporti cartacei.

Mi permetto, a tal proposito, di citare alcune prassi della mia didattica, che so essere condivise e attuate da altri colleghi e colleghe.
Fino a qualche anno fa, quando ancora non inviavo materiali e istruzioni per la didattica attiva tramite smartphone, stampavo in media una ventina di fogli a lezione, spesso a mie spese. Ciò implicava modalità di distribuzione e di raccolta che inevitabilmente riducevano i tempi didattici, oltre ovviamente all’impossibilità di utilizzare supporti audio-video diversificati.
Oggi, grazie all’uso del digitale, risparmio tempo, risorse economiche e materiali, rendendo l’apprendimento più fluido, efficace e sostenibile.

L’uso degli smartphone ottimizza la gestione del tempo, migliora la puntualità nelle consegne, facilita l’autovalutazione di studentesse e studenti attraverso griglie e feedback su piattaforma e stimola una maggiore responsabilizzazione, in loro e in me.
Tutto ciò, negli ultimi anni, ha avuto ricadute positive e tangibili sugli esiti delle classi che seguo: miglioramenti nei processi di apprendimento, risultati finali complessivamente positivi e una crescita significativa in termini di autonomia.

Fare ricerche in classe con lo smartphone, signor Ministro, può offrire una valida alternativa all’uso smodato e nocivo che emerge dagli studi citati nella circolare e può tradursi in prassi virtuose anche al di fuori della scuola.
Con il divieto incluso nella circolare 3392, il prossimo anno scolastico mi troverò davanti a un bivio: rinunciare a strumenti didattici efficaci, con inevitabili ripercussioni sugli apprendimenti e sulle relazioni in classe, oppure continuare a impiegarli e incorrere nel rischio di una sanzione disciplinare.
Farò le mie scelte.

Ma mi chiedo: può una circolare ministeriale comprimere diritti fondamentali come la libertà d’insegnamento – e di apprendimento – garantiti dalla Costituzione (art. 33)?
Perché non lasciare che gli smartphone siano utilizzati per fini didattici, limitandone l’uso, com’è giusto che sia, per il resto delle attività scolastiche?
Sono certo, signor Ministro, che Lei stia agendo in buona fede, con l’intento di affrontare un problema reale.
Vale e varrà anche per me, nel mio ruolo di insegnante.

Giulio Iraci, docente di scuola secondaria di secondo grado