Home I lettori ci scrivono Docenti precari, risorse che si sentono “usate”

Docenti precari, risorse che si sentono “usate”

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Caro Presidente Conte,

le scrivo perché ci tengo a farle sapere come mi sento. USATA. Ecco come mi sento.
Mi sono laureata nel 2010 In Ingegneria col massimo dei voti, ho un Dottorato di ricerca, insegno nella scuola pubblica da nove anni da precaria. Vengo assunta a metà ottobre e licenziata al 30 giugno. Per la scuola pubblica sono una risorsa, perché senza di me e senza i miei colleghi i ragazzi si ritroverebbero senza metà organico fino a data da destinarsi, ma quando poi si tratta di confermare un lavoro che facciamo da anni arriva il no.
Per cosa poi? Per continuare giochini politici, questa è la verità. La versione ufficiale da dare in pasto ai giornali è che non si accede a incarichi pubblici con concorsi per soli titoli, ma è un falso.
Lei viene come me dal mondo accademico, be’ mi risulta che ormai si diventa ricercatori in università tramite concorsi per titoli.
Per non parlare del fatto che giornalisti che non sanno fare il loro lavoro mettono in bocca ai genitori cose che non hanno mai detto; ai genitori l’unica cosa che preme è la continuità dei docenti, che purtroppo tantissime classi non hanno.
In ogni classe in cui arrivo, ogni anno a metà ottobre, quasi la fine (quest’anno sono stata nominata il 21), più della metà siamo precari.
Colleghi che come me non si tirano indietro davanti a niente, che assolvono a quelle funzioni che nessuno vuole mai fare perché sono rogne e mal pagate, come il coordinatore o altro. Da precari siamo già pronti, da docenti di ruolo no. Mi sembra paradossale. Io non voglio prendere il posto a nessuno, so che prima di me ci sono i colleghi delle GAE e dei concorsi del 2016 e del 2018, aspetterò, ma di certo non posso restare in silenzio se mi viene chiesto di giocarmi dieci anni di lavoro con un quiz a crocette che in pratica va contro tutto quello di cui la scuola si riempie la bocca da anni: saper fare, imparare ad imparare, compiti di realtà.

Dunque, io ho imparato a imparare. Come in questa emergenza che ci è piovuta dal cielo, in cui insieme ai colleghi (quasi tutti precari) ci siamo messi in gioco inventando dal nulla una DAD che fosse davvero per tutti. Così, ai nostri alunni facciamo da professore sì, ma anche da guida, da psicologo. Ci contattano in ogni momento della giornata e noi siamo sempre disponibili, perché abbiamo scelto di fare questo lavoro e amiamo i ragazzi. Ma dovrò fare un quiz, io non sono fortunata con i quiz, perché non so se ne ha visto uno, ci sono quattro possibili risposte, tutte identiche, in cui la variazione è su un numero, una data, un articolo di legge.
Uno dei professori più brillanti che ho avuto al liceo diceva sempre che non è importante immagazzinare un numero enorme di informazioni, ma imparare a fare lavorare il cervello, in modo che se un’informazione dovesse mancare sappia in meno di un secondo come fare a procurarsela. E invece, è questo quello che devo necessariamente dimostrare di sapere? Una data? Un numero? Io non ho mai smesso di formarmi, ovviamente a mie spese perché da precario non ho diritto a niente.
Addirittura, nonostante non fosse richiesto dal momento che già insegnavo da anni, ho pensato di prendere anche i 24 CFU, in cui ho solo scoperto di utilizzare da anni metodologie che nessuno mi aveva spiegato e che avevano nomi esotici: flipped classroom, peer tutoring ecc… ci sono arrivata da sola.
Perché NESSUNO mi è stato vicino in questi anni di didattica. Non si può accedere senza concorso, dicono. Be’, qui mi sembra che bisogna solo avere fortuna a nascere al momento giusto, perché negli anni miei colleghi più fortunati hanno avuto la possibilità di fare il PAS e dunque prendere l’abilitazione senza alcuno sbarramento, e qualche anno dopo il concorso non selettivo del 2018 in cui hanno dovuto sostenere un orale pro forma.
Adesso cos’è cambiato? Glielo dico io, che si parla tanto di buona scuola, ma la buona scuola non si vuole mettere in pratica. L’emergenza ha mostrato tutte le carenze: un’edilizia scolastica inesistente, un organico vecchio, il precariato, le classi pollaio. Servono soldi e nella scuola i soldi non si mettono mai. Perché per fronteggiare questa emergenza e le altre che verranno bisogna lavorare sulle infrastrutture, sdoppiare le classi e assumere.
Il modo c’è per confermarci un lavoro che facciamo da anni. DA ANNI. Quello di farci fare l’anno di prova, in cui veniamo formati davvero su cose che possono tornarci utili acquisendo così l’abilitazione, e poi alla fine fare l’esame orale.
Come del resto è stato possibile in passato. Invece mi viene richiesto ancora di rispondere a domande sulla materia della mia formazione personale, mettendo in dubbio dunque tutto il sistema universitario. Perché se ancora per diventare professore mi vengono poste domande inerenti al mio corso di studi è come se implicitamente se ne mettesse in dubbio la veridicità. Spero che leggerà questo messaggio e che, visto che deve proporre una mediazione, tenga conto del fatto che a noi precari storici dei giochi politici non importa nulla.
Noi non vogliamo stare a casa, non vogliamo perdere il lavoro (perché se non si fosse capito di questo si tratta, se sbaglio le crocette sono fuori).

Sara Maria Serafini