Home I lettori ci scrivono Ecco perché il divieto di smartphone non funziona a scuola

Ecco perché il divieto di smartphone non funziona a scuola

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Aiutare i nostri studenti a disintossicarsi da smartphone e dispositivi elettronici. Dall’inizio di questo anno scolastico noi insegnanti di scuola secondaria di secondo grado abbiamo questa responsabilità educativa in più. Chi lo avrebbe mai detto? Siamo abituati a concepire la dipendenza legata a una sostanza da assumere e scopriamo che no, si può essere dipendenti (anche gravi) dai social network. Ho visto con i miei occhi studenti scrollare in modo compulsivo, dondolandosi avanti e indietro come in trance, immagini di Tik tok o tremare e sudare per l’urgenza di visualizzare una notifica. Ragazzi che spendono sei o dieci ore al giorno attaccati allo schermo. Consiglio, per chi ancora non lo avesse letto, tra i testi pubblicati negli ultimo tempi da autorevoli psicologi, ”La generazione ansiosa” di Jonathan Hadit. I dati empirici sugli effetti della dipendenza da social sono recenti

Studiare è necessario per capire quali conseguenze devastanti possono avere questi dispositivi sui nostri ragazzi. Con questa premessa vorrei sottolineare che dovremmo essere innanzitutto noi, adulti, a conoscere gli strumenti che utilizziamo ogni giorno. Il punto è proprio questo: il divieto di smartphone nelle scuole italiane non può funzionare perché non c’è abbastanza consapevolezza tra noi docenti non dell’utilità ma dell’urgenza cui la norma varata dal Ministero dell’istruzione tenta di porre, tardivamente, rimedio. Urgenza legata alla salute psichica dei nostri ragazzi, un problema non ancora del tutto compreso.

Sappiamo bene che un tablet è una sorta di grande smartphone. Non ci sono differenze sostanziali. Entrambi sono collegati alla rete. Entrambi hanno social e notifiche. Dunque se crediamo di aiutare i nostri studenti consentendogli di “prendere appunti” o di “consultare il libro” tramite il tablet, stiamo solo aggirando una norma di buon senso. Per motivi didattici, certo, possiamo farlo. Ma stiamo solo schivando il problema. È ovvio che se abbiamo bisogno di far fare una ricerca particolare o se ci fossero altri fini, realmente didattici, lasciare questi strumenti in mano ai ragazzi può essere utile. Pensare però che lo scopo del loro uso sia prendere appunti o consultare il libro vuol dire aggirare la norma e far finta di non vedere il loro disagio. Credere di essere in grado di controllare cosa accade su quei dispositivi (appunti e libro o social) mentre siamo alla cattedra vuol dire nasconderci dietro a un dito, non avere il coraggio di affrontare la loro dipendenza. Lasciar correre però, per quieto vivere, credo voglia dire rinunciare a una parte importante della nostra funzione educativa.

Marco Ferini