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Formazione obbligatoria: è corsa contro il tempo per raggiungere il tetto-ore stabilito in Collegio

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Nell’anno dell’avvio, sembra piegarsi verso il basso la qualità della formazione obbligatoria del personale docente della scuola pubblica.

Giungono in redazione notizie di diverse scuole dove il monte ore annuale da svolgere, stabilito dal Collegio dei docenti non è stato ancora completato: si tratta delle lezioni formative che si rifanno al Cfu, il credito formativo universitario, il quale, secondo le specifiche Anvur, è pari ad un riconoscimento di un impegno complessivo pari a 25 ore complessive.

Ad oggi, ad anno scolastico quasi terminato, per la stragrande maggioranza dei docenti quel “pacchetto” minimo è ancora da raggiungere. E si prevede, quindi, un mese di maggio, appena iniziato, durante il quale molti insegnanti saranno costretti agli “straordinari”, proprio per completare quelle ore sinora non svolte.

Ora, il fatto che per frequentare i corsi formativi organizzati dalle scuole ci sia tempo fino al prossimo 30 settembre (per la rendicontazione delle scuole al Miur il 30 ottobre 2017), non deve ingannare: perché è altamente improbabile che i docenti si iscrivano ai corsi in piena estate o in corrispondenza dell’inizio del prossimo anno scolastico. Come è ancora meno probabile pensare che possano contare sul mese di giugno, votato alle valutazioni finali, agli scrutini, agli Esami di Stato e ai tanti adempimenti di fine anno.

Ecco perché nel corso dei prossimi 30 giorni è verosimile un’alta frequenza dei corsi formativi utili a raggiungere la soglia minima annua. Corsi che, come previsto dalla normativa, potranno svolgersi anche in orario di servizio.

Lo sanno bene i dirigenti, molti dei quali nei giorni scorsi hanno monitorato la situazione formativa del loro corpo insegnante: preso atto della poca partecipazione, hanno organizzato e proposto loro dei corsi formativi interni alla scuola. Sempre attinenti al Ptof, anche questo votato in Collegio.

Solo che questi corsi, organizzati in fretta e furia dalle scuole, ci dicono sempre gli insegnanti, non sembrano sempre garantire un alto livello qualitativo. In alcuni casi, sembrerebbero quasi forzati, se non improvvisati. Su questo aspetto, potrebbe anche aver influito la bassa remunerazione (42 euro lordi, poco più di 20 euro netti) che viene assegnata ai formatori.

Andando così a costituire un divario, non indifferente, tra le conoscenze, capacità e competenze che si accingono ad acquisire, rispetto ai contenuti previsti dal comma 124 della Legge 107/15, in base al quale “la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale”, al fine di alzare l’asticella dell’offerta formativa individuale e di equipe.

Il gap sembra evidente anche rispetto all’allegato 1 allaNota Miur 9684 del 6 marzo scorso, che ha previsto la partecipazione ai corsi formativi presupponendo un’efficace governance tra tutti i soggetti che organizzano la formazione; la continuità nel tempo delle iniziative formative; la ricaduta delle attività per lo sviluppo professionale; la costruzione in itinere di figure e strutture dedicate alla formazione; la messa a punto di strumenti per sostenere standard di qualità della formazione.

 

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Per soddisfare tali requisiti-base, i corsi formativi rivolti al personale docente dovrebbero anche essere attivati in coerenza “con i bisogni delle istituzioni scolastiche (RAV, PdM, PTOF, PAI, ecc.), sino all’implementazione di dispositivi per incrementare lo sviluppo professionale dei docenti (bilancio di competenze, portfolio personale, patto/piano per lo sviluppo professionale)”.

Sinora, gli uffici scolastici regionali hanno dato seguito alle indicazioni del Miur, producendo modelli standard di attestati di unità formativa. Nel frattempo, le scuole hanno programmato le proprie priorità nel Piani dell’Offerta Formativa sulla base delle priorità segnalate nel piano nazionale.

Anche se, ci risulta che molte delibere sono rimaste ancora troppo generiche. Inoltre, la loro organizzazione dovrebbe essere finalizzata a trasmettere una delle nove priorità considerate dal Miur per il triennio 2016-2019: Autonomia organizzativa e didattica; Didattica per competenze, innovazione metodologica e competenze di base; Competenze digitali e nuovi ambienti per l’apprendimento; Competenze di lingua straniera; Inclusione e disabilità; Coesione sociale e prevenzione del disagio giovanile globale; Integrazione, competenze di cittadinanza e cittadinanza globale; Scuola e Lavoro; Valutazione e miglioramento.

E qui sta il punto: diverse scuole pur di far completare l’obbligo formativo ai docenti, sembrano lasciare troppa discrezionalità sulla tipologia di corsi da far frequentare autonomamente ai docenti, rischiando di uscire fuori dai nuovi parametri previsti dalla nuova legge sulla formazione obbligatoria.

In molte scuole, infatti, l’unico vero vincolo, ai fini della validità, è che siano svolti da Enti formatori riconosciuti dal Miur, senza valutare la qualità dei corsi che tali enti erogano e facendo passare in secondo piano l’attinenza di tali corsi alle linee stabilite dal Collegio dei Docenti, sulla base del Ptof.

I dubbi riguardano, quindi, sia i contenuti proposti, non sempre coerenti con il piano formativo emesso dalla scuola di appartenenza; sia per la loro tipologia di “trasmissione”, nel senso che potrebbe non essere ininfluente il genere di corsi frequentati, quindi se in presenza, on line o “misti”.

Ricordiamo che le indicazioni del Miur specificano come debbono essere organizzate le attività formative da svolgere: una parte di interventi frontali o espositivi; una parte di studio, approfondimento personale e/o collegiale ed eventuale documentazione anche in modalità on line (preferibilmente con assistenza di tutor on line); una parte per le attività di laboratorio e ricerca (in forma di sperimentazione in classe, di confronto, di ricerca-azione, di simulazione, di produzione di materiali)”.

Per tutti questi motivi, quindi, il fatto che si svolga un corso presso un ente accreditato Miur, potrebbe essere un requisito insufficiente per essere considerato utile a raggiungere il monte ore minimo prefissato da ogni istituto.

In conclusione, è bene che i docenti sappiano che la filosofia dell’obbligatorietà indicata dal Miur non si traduce automaticamente in un numero di ore da svolgere ogni anno, ma si soddisfa solo se viene rispettato il contenuto del piano, modulato in relazione alla tipologia delle attività previste.

In caso contrario, si rischia di vanificare quanto di buono aveva previsto la Legge 107/15 proprio sulla nuova formazione dei docenti.

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