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Giusto che si discuta. Giusto che si ragioni. Ma la scuola di cosa ha bisogno?

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Giusto che si discuta, giusto che si ragioni.
Sulla pressante domanda di autonomia, sulla gestione regionale di personale e risorse, riservando al livello ministeriale la definizione di standard, livelli di prestazione, finalità ed obiettivi, ma, soprattutto, un serio sistema di valutazione.

Ma non v’è un ragionare assieme senza un punto di partenza condiviso, senza una evidenza conoscitiva ed etica.

Parliamo della scuola reale, di chi la pratica e la vive, e non di chi la critica da lontano senza conoscerla: penso qui alle prese di posizione, molto fumose, dei vari Galli della Loggia, Cacciari, Ronchey, Recalcati, Augias, tutti ad invocare la centralità delle conoscenze rispetto alle abilità e capacità. Forse che sono possibili le competenze senza conoscenze? Ma queste non possono più essere fine a se se stesse, nel mondo di oggi. Perché, forse non se ne sono accorti, il mondo è cambiato, anche il mondo mentale, nel senso che il mondo è cambiamento, ed i ragazzi hanno bisogno oggi, più di ieri, di sentieri, di metodi, di percorsi, che diano speranza, che suscitino passione, sguardi di futuro possibile. Il mondo è dunque cambiato.

Da cosa partite, dunque, quando si è chiamati a pensare al mondo della scuola, della formazione? C’è una evidenza?

Possiamo trovare questa evidenza nella “centralità dello studente”, mentre sino ad oggi ha sempre dominato, oltre alla massa di nozioni da imparare, la centralità occupazionale del personale, con un riscontro, anche stipendiale, che mette tutti sullo stesso piano, in una forma di egualitarismo sovietico che non dice, lo sappiamo bene, la realtà delle cose?

Ed in relazione alla centralità del servizio agli studenti e alle famiglie, al nostro tessuto sociale, dovremmo chiarirci cosa vuol dire cultura dei risultati.

Faccio un esempio: sto preparando il piano cattedre dei docenti.
Ed accanto ho un fascicolo nel quale mi ritrovo tante richieste, di studenti e genitori, per questo o quel docente definito “bravo”.
Ovvio che, per equità, non consento alle famiglie e ai ragazzi di scegliersi i docenti, ma sono cose comunque che dicono qualcosa.
In una società aperta, come la nostra, domina il concetto di “reputazione”, e questo vale quando noi stessi scegliamo un servizio qualsiasi.

Dunque, ritornando a noi, è possibile che su questi temi vi sia una condivisione?
Se questa condivisione è possibile, si tratta di verificare, sulla base della situazione attuale, quali risposte, compresa la verifica, vedendo cosa sta già succedendo in Trentino.

Perché se vale in Trentino, ed è cosa buona cosa, con i risultati positivi che conosciamo, perché non è possibile in tutte le regioni?
Senza quindi divisioni nel Paese, ma, anzi, una modalità di unione, sui risultati e non solo sulle carte, del nostro Paese.
Si chiama sussidiarietà.

Insomma, le scuole, sulla base del Ptof, devono potersi dotare di un “organico di istituto” che sappia rispondere alle belle intenzioni condivise dagli organi collegiali, misurandosi sulle proposte come sui risultati, perché tutti si sia funzionali all’effettivo “servizio pubblico”.
Perché, ad esempio, vista l’imminente assegnazione dei nuovi presidi alle scuole, non sperimentare una forma, per loro, di “chiamata diretta”, con candidature, CV e colloquio con il consiglio di istituto della scuola prescelta dallo stesso candidato?

Perché un preside, lo sappiamo, non è un uomo solo al comando, ma si inserisce in una comunità che si è già data un profilo formativo, uno stile, delle priorità.
Lo stesso vale per un docente: hanno ancora senso i trasferimenti come sono oggi, oppure le graduatorie?

Non dico niente di offensivo, credo: tutti conosciamo, nelle scuole, presidi in gamba e presidi non adeguati, come conosciamo docenti o personale in gamba e quelli non adeguati.
Ricreare le condizioni per una unità di intenti, per una condivisione di responsabilità, secondo obiettivi misurabili, sapendo di un sistema di valutazione alle spalle come garanzia di equità e di pari opportunità: forse terminerebbero certe logiche del sospetto, comprese certe strumentalizzazioni di qualche parte politica, in un senso o in un altro. Comprese certe prese di posizione sindacati, del tutto inadeguate ai nostri tempi.

La scuola ha bisogno di un terreno comune, ma di un terreno che non abbia paura di mettersi in gioco, sapendo della responsabilità che abbiamo nei confronti dei ragazzi e delle loro famiglie.
Perché, lo ripeto, sono loro la nostra stella polare.