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I punti dolenti dei prof: stipendi da fame, full time, scarso riconoscimento e zero carriera

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Scarso riconoscimento sociale del ruolo di insegnante, nessuna possibilità di fare carriera e basse retribuzioni: sono i tre punti dolenti della professione dell’insegnante in Italia. E, non a caso, sono i contesi evidenziati dai docenti torinesi che hanno espresso i giudizi sul loro lavoro, rispondendo ai questionari predisposti da alcuni ricercatori.

Lo studio sulle condizioni di lavoro dei docenti, realizzato dalla Flc-Cgil in collaborazione con l’Università di Torino, ha fatto emergere che gli insegnanti torinesi non vedono negativamente l’introduzione della valutazione sul loro operato, ma solo laddove questa viene finalizzata a migliorare la prestazione senza minacciare la cooperazione fra colleghi.

No alla competizione a scuola

La rifiutano invece se mirata alla competizione o a una differenziazione nella retribuzione. Stipendi diversi sono ritenuti giusti solo se le differenze vengono legate a criteri indiscutibilmente oggettivi, come le ore lavorate o gli incarichi aggiuntivi.

Dopo una serie di focus-group con insegnanti di diversi orientamenti culturali e sindacali, un campione rappresentativo della realtà torinese è stato sottoposto a un approfondito questionario. Ciò che è emerso è che sulla stessa valutazione degli istituti i docenti sono a favore se vista “come una riflessione della comunità educante per migliorare l’insegnamento, e non come uno strumento di marketing commerciale delle scuole”.

Basso riconoscimento sociale del ruolo

Inoltre, i docenti piemontesi interpellati lamentano “lo scarso riconoscimento sociale del loro ruolo, l’impossibilità di una carriera e le basse retribuzioni”. Sono invece soddisfatti per il senso di utilità del loro lavoro. “In sostanza – sintetizza il sociologo Giancarlo Cerruti, autore della ricerca – il corpo docente sposa una scuola dell’inclusione”.

Fra i dati emersi, il segretario Flc-Cgil del Piemonte, Igor Piotto, segnala come “emerga molto chiaramente che le ore lavorate sono di gran lunga superiori a quelle fatte in aula, configurando di fatto un lavoro full time”.

Sarà compito del contratto, rimarcano i lavoratori, farlo emergere ufficialmente: quello prossimo, però, perché nell’accordo sottoscritto ed in via di approvazione finale non c’è traccia di tutto questo.