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IA promossa in latino e bocciata in matematica: tutte le materie in cui può servire a scuola (e quelle in cui sbaglia)

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Se uno studente chiedesse all’Intelligenza Artificiale quanto fa due più due, essa risponderebbe quattro. E tuttavia lo farebbe perché le informazioni a disposizione le suggeriscono questa risposta, non sulla base di vero e proprio ragionamento. Con calcoli più complessi, infatti, l’IA, si comporterebbe “decisamente peggio”, essendo più abile “nella comprensione e nella produzione di testi“, piuttosto che “negli esercizi quantitativologici“. Almeno per il momento.

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Se l’algoritmo non sa l’aritmetica

È quanto emerge dal rapporto “Generazione AI. La nuova sfida della scuola”, realizzato dal think thank Tortuga in collaborazione con la società specializzata Yellow Tech. Uno studio che getta nuove prospettive sull’utilizzo dell’Intelligenza artificiale da parte degli studenti. Smentendo un luogo comune molto diffuso, cioè che l’IA, in quanto prodotto della tecnologia, sia automaticamente a suo agio con i numeri. Cosa tutt’altro che vera.

Il problma dell’addestramento online

I software di IA liberamente accesssibili, si legge nel rapporto, vengono addestrati “su una grande quantità di contenuti reperibili online”, compresi “i quesiti delle competizioni matematiche“. Per il fatto stesso di lavorare su dati presenti in rete, tuttavia, “aumenta la probabilità che abbiano già incontrato i quesiti o addirittura le soluzioni”. Il calcolo, dunque, “non misura la sua reale capacità di risolvere nuovi problemi, ma solo quella di ripetere informazioni già raccolte”.

Verso un “supporto concreto” nei calcoli

Gli autori precisano che quando la ricerca è stata effettuata “le funzionalità di ragionamento dell’algoritmo erano per la maggior parte a pagamento e quindi poco fruibili da docenti e studenti rispetto agli strumenti gratuiti”, e che nel frattempo le cose potrebbero essere cambiate. “La progressiva riduzione dei costi e la diffusione di modelli sempre più potenti rendono già oggi possibile un supporto concreto nello svolgimento di molti problemi matematici“.

Intelligenza artificiale forte sulle lingue…

Sul fatto che l’IA sia più a suo agio in altri ambiti, in ogni caso, non ci sono dubbi. Come detto, se la cava abbastanza bene con i testi.

Ma un suo punto forte sono anche le traduzioni. Per quanto riguarda le lingue moderne, ammettono i tecnici, al momento i software “non hanno ancora superato i sistemi basati su algoritmi supervisionati di machine translation: restano meno efficaci, soprattutto per lingue poco rappresentate nei dati di training”.

… in particolare su quelle antiche

A sorpresa, invece, l’Intelligenza artificiale se la cava bene con le lingue antiche, come ad esempio il latino. In questo ambito, “se l’IA riceve un prompt ben strutturato, le sue prestazioni risultano migliori rispetto agli strumenti di traduzione automatica disponibili in passato”.

Se poi si tratta di riassumere il testo tradotto, “i risultati raggiungono un livello paragonabile a quello di una sintesi scritta da un essere umano“. Capacità destinate a migliorare ulteriormente.

Insegnanti poco preparati al cambiamento

Non serve un esperto di IA capire che tutto ciò ha delle ripercussioni sul mondo della scuola. Spesso, però, mancano le competenze.

Come spiegato dalla Tecnica della Scuola in un altro approfondimento, gli insegnanti italiani ed europei ammettono senza fatica di non essere preparati a gestire questa svolta epocale, soprattutto nel rapporto con gli studenti. Questi ultimi, molto spesso, mostrano una maggiore capacità di comprendere i nuovi meccanismi.

Studenti più intuitivi sulle competenze dell’IA

Lo dimostrano le risposte fornite da alunni e insegnanti per il rapporto.

“Circa la metà degli studenti (45%) indica la conoscenza generale come l’area in cui gli LLM offrono le risposte migliori; la traduzione da lingue straniere e i quesiti matematico-logici raccolgono meno fiducia, rispettivamente il 30% e il 25%. Quanto ai docenti, “per il 52% la GenAI funziona meglio negli esercizi quantitativo-logici, mentre solo il 24% segnala gli altri ambiti”.

La scuola non sfrutta gli algoritmi come potrebbe

Conti alla mano, “l’esperienza concreta con GenAI mostra che lo strumento esprime al meglio le proprie capacità nella costruzione testuale, confermando quindi la percezione degli studenti”.

Non sempre però questi ultimi “riescono a tradurre questa capacità in un vantaggio pratico per i loro compiti o per la loro preparazione scolastica. In sostanza, conclude il rapporto, “il potenziale della GenAI non viene sfruttato appieno nel contesto didattico”.